Recensione Tre cuori

Benoit Poelvoorde, Chiara Mastroianni e Charlotte Gainsbourg in una storia di passioni e tradimenti imperniata sul canonico tria

Recensione Tre cuori
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Dopo l’ottimo Les adieux à la Reine, dramma storico ambientato durante la Rivoluzione Francese, purtroppo mai distribuito in Italia, il regista e sceneggiatore francese Benoît Jacquot sceglie di confrontarsi con il genere del melodramma con Tre cuori, film presentato in concorso alla 71° edizione del Festival di Venezia. Al centro della vicenda, un canonico triangolo amoroso attorno al quale si sviluppa uno sfibrante intreccio di passioni, tradimenti e sofferenza, troviamo la figura di Marc, agente del fisco di stanza a Parigi, impersonato dal popolare Benoît Poelvoorde. Nel corso di una trasferta di lavoro in una piccola cittadina di provincia, Marc incontra per caso la malinconica Sylvie (Charlotte Gainsbourg): fra i due sembra scoccare una scintilla, un’imprevedibile sintonia che prelude forse ad un grande amore, e così Marc e Sylvie decidono di rivedersi a Parigi, dandosi appuntamento ai giardini delle Tuileries...
Nella prima parte di Tre cuori, Jacquot sembra ispirarsi a un classico del melodramma diretto da Leo McCarey nel 1939, Un grande amore, rifatto in seguito nel 1957 dallo stesso McCarey con Un amore splendido. L’analogo espediente narrativo, in cui un destino beffardo impone una brusca separazione ai due innamorati, segna il preludio di una svolta ancora più amara, che vede entrare in gioco la sorella di Sylvie, la più fragile Sophie (Chiara Mastroianni), la quale a sua volta perde la testa per Marc, uomo di estrema gentilezza e capace di un grande calore umano. Da qui in poi, la pellicola di Jacquot precede lungo i binari che chiunque, fra il pubblico, si aspetterebbe, ovvero con una sommessa celebrazione dell’amour fou (e dei suoi effetti dirompenti ed incontrollabili) ed echi de La signora della porta accanto di François Truffaut.

Un melodramma azzoppato

Il problema, tuttavia, è che il meccanismo melodrammatico messo in piedi da Benoît Jacquot manca di intensità e di vigore, oltre ad adagiarsi fin troppo sulle convenzioni del filone di appartenenza, senza il minimo spunto di originalità o di scarto dalla norma. La storia di Tre cuori procede in maniera didascalica, oltre che banale, mentre il breve subplot da thriller finanziario, con l’indagine di Marc sull’evasione fiscale commessa dal sindaco, appare totalmente inutile nonché senza la minima connessione rispetto alla trama principale. E non basta la presenza scenica di un'interprete come Charlotte Gainsbourg a conferire il giusto pathos ad un racconto fiacco e con evidenti problemi di ritmo, incapace di ottenere il coinvolgimento sperato. Al punto che perfino la regale presenza di Catherine Deneuve nei panni della madre delle due sorelle finisce per risultare puramente decorativa, mentre l’accompagnamento musicale di Bruno Colais infastidisce per la sua ridondanza. Un passo falso per la carriera di Jacquot e forse la prima, grande delusione tra i film in concorso al Festival di Venezia.

Tre cuori Recuperando alcuni stilemi del melodramma classico hollywoodiano, nonché dei cult sull’amour fou quali La signora della porta accanto, il regista francese Benoît Jacquot dirige Benoît Poelvoorde, Chiara Mastroianni e Charlotte Gainsbourg in Tre cuori, storia di passioni e tradimenti imperniata sul canonico triangolo amoroso; ma il suo film, a dispetto del valido cast, risulta fiacco e privo di mordente, con evidenti squilibri narrativi e l’incapacità di generare un autentico pathos nello spettatore, strappando appena la sufficienza.

6

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