Recensione Apes Revolution - Il Pianeta Delle Scimmie

L'epopea di Cesare continua e, passati dieci anni, è di nuovo scontro aperto con gli umani nel film di Matt Reeves

Recensione Apes Revolution - Il Pianeta Delle Scimmie
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Con ogni probabilità, nel 1973, ai tempi di Anno 2670 - Ultimo atto di Jack Lee Thompson, quinto capitolo della popolare saga fantascientifica iniziata cinque anni prima tramite il super classico Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner che, interpretato dal mitico Charlton Heston, prese le mosse dall'omonimo romanzo scritto dal francese Pierre Boulle per raccontare sullo schermo la vicenda di un gruppo di cosmonauti finiti in un mondo popolato da esseri parlanti caratterizzati da fattezze ominidi, nessuno - al di là di due serie televisive partorite a metà anni Settanta, la seconda delle quali animata - pensò che le idee alla base del franchise sarebbero state rispolverate, a terzo millennio avviato, con l'intento di fornire nuove nozioni relative alla genesi di quell'assurdo universo pseudo-animale.
Infatti, coloro che credevano si fosse già detto tutto in merito per mezzo de L'altra faccia del pianeta delle scimmie di Ted Post, Fuga dal pianeta delle scimmie di Don Taylor e 1999: Conquista della Terra del già citato Thompson, tasselli posti dal 1970 al 1972 tra il primo e l'ultimo di cui sopra, si sono dovuti ricredere quando, nel 2011, ha fatto la sua apparizione sul grande schermo l'ottimo L'alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt, prequel preceduto dieci anni prima dal non troppo riuscito remake Planet of the apes - Il pianeta delle scimmie, firmato addirittura da Tim Burton.

Ridate a Cesare...

Prequel che, partendo dalla figura dello scienziato Will Rodman interpretato da James Franco, lavorante in una grande società farmaceutica e interessato a sviluppare un virus benigno in grado di ricostruire il tessuto cerebrale danneggiato al fine di individuare una cura per il morbo di Alzheimer, portò l'Andy Serkis che concesse anima e corpo al Gollum della trilogia Il Signore degli anelli ad incarnare lo scimpanzé Cesare, esposto alle sperimentazioni quando era ancora nell'utero materno.
Lo scimpanzé destinato a diventare il primate altamente intelligente cui si deve l'Alba raccontata dallo script a cura dei produttori Rick Jaffa e Amanda Silver, sceneggiatori insieme a Mark Bomback (Die hard - Vivere o morire e Wolverine - L'immortale nel curriculum) anche di questo Apes revolution - Il pianeta delle scimmie, continuazione girata in 3D che vede al proprio timone di regia il Matt Reeves autore del monster movie Cloverfield e di Blood story, rifacimento a stelle e strisce del film di vampiri svedese Lasciami entrare.
Alba che, attraversata da un tutt'altro che celato (sotto)testo animalista ed impreziosita da un incalzante ritmo narrativo, si rivelò oltretutto infarcita in maniera efficace di un certo sapore eco-vengeance; soprattutto grazie alla spettacolare seconda parte dell'insieme, volta a mostrare Cesare ed i suoi simili liberatisi dai loro aguzzini umani per seminare terrore e distruzione sulle strade di San Francisco.
Situazione che ha segnato soltanto l'inizio di ciò che costituisce questo nuovo capitolo, nei confronti di cui il produttore Dylan Clark osserva: "Un'apocalisse virale ha colpito gli esseri umani e, dieci anni più tardi, il loro numero è mostruosamente ridotto. Le scimmie, d'altro canto, sono andate a gonfie vele. Cesare le ha condotte alla libertà e gli ha costruito una nuova casa; le scimmie sono quindi aumentate mentre gli umani sono diminuiti, e ora... stanno per scontrarsi".

... quel che è di Koba

Del resto, i circa centotrenta minuti di visione prendono il via dalla nuova nazione di scimmie che, geneticamente evolute ed ancora guidate da Cesare, si ritrovano minacciate da una banda di comuni mortali sopravvissuti al virus devastante scatenato un decennio prima.
Comuni mortali che presentano, tra gli altri, le fattezze del Jason Clarke di Sotto assedio - White House down, di Gary"Léon"Oldman e della Keri Russell di Mission: impossible III, divisi in pacifisti e prepotenti facilmente propensi allo scontro violento; tanto che la fragile tregua raggiunta arriva ad avere soltanto una breve durata, in quanto entrambe le parti vengono spinte sull'orlo di un conflitto per determinare quale specie dovrà dominare il pianeta.
Anche se, in realtà, non è l'apocalisse ma la sopravvivenza a trovarsi al centro di tutto, man mano che la tensione sale lentamente e che, proprio come già detto per l'episodio precedente, l'evoluzione della storia sfiora connotati da eco-vengeance.
Perché, reso a suo modo spaventoso grazie anche al contributo dei toni dark accentuati dalla fotografia di Michael Seresin, a fare da cattivo provvede qui, inoltre, Koba, bonobo dagli occhi bianchi sfigurato da una cicatrice, sotto i cui connotati scimmieschi si nasconde Toby"La furia dei Titani"Kebbell e che, trasformatosi con il trascorrere degli anni in uno spietato guerriero, odia la razza umana tanto da credere che l'unico umano buono sia quello morto.
E, tempestata di effetti pirotecnici, è proprio la lunga e spettacolare sequenza della lotta tra uomini e scimmie a rappresentare uno dei momenti più riusciti del lungometraggio, non ai livelli del film di Wyatt ma sfoggiante una buona visione tridimensionale e, comunque, altamente coinvolgente ed emozionante.
Oltre che chiaramente atto a rappresentare una metafora su celluloide relativa alla pericolosità che la ragione comporta rispetto al solo istinto, se pensiamo che Cesare e compagni apprendono dall'uomo, ovvero dall'essere più evoluto, il dannoso utilizzo delle armi.

Apes revolution - Il pianeta delle scimmie “Un piccolo gruppo di umani sta lottando per cercare di ritornare indietro dalla rovina, mentre le scimmie stanno lottando per la sopravvivenza. È il mondo dei primati e noi cerchiamo di capire se le scimmie e gli umani possono trovare un modo di vivere insieme senza violenza”. Regista di Cloverfield (2008) e Blood story (2010), Matt Reeves sintetizza così il senso del suo film, sequel in 3D de L‘alba del pianeta delle scimmie (2011) di Rupert Wyatt, ovvero il prequel alla popolare saga fantascientifica derivata da un noto romanzo di Pierre Boulle. Con scimmie splendidamente realizzate in digitale che, ancor più che nel capitolo precedente, sfoderano notevoli livelli di umanità, il risultato è un riuscito nuovo tassello che, lasciato opportunamente aperto per la già annunciata terza avventura, fonde ancora una volta in maniera efficace atmosfere quasi horror, metafora socio-politica e, ovviamente, grande senso dell’entertainment hollywoodiano.

7.5

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