Recensione Baarìa

Il nuovo Tornatore spiazza, tra surrealismo e verosimiglianza.

Recensione Baarìa
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Il ruolo del cinema nostrano, sul mercato internazionale, è oramai ben lontano dall'importanza e dai fasti dei grandi registi (e dei grandi attori) del dopoguerra, e questo è un fatto innegabile. Il film italiano non vende all'estero, per mancanza di spettacolarità e per via di una comicità dal gusto troppo locale. E, purtroppo, della valenza sociologica e culturale delle pellicole dei maestri del passato sembra sia rimasta ormai solo l'ombra. Unicamente un pugno di nostri compatrioti rimane nei cuori di spettatori e addetti ai lavori stranieri, autori come Salvadores, Benigni, Tornatore. Troppo pochi per non aspettarsi con disperata fiducia, da ogni loro sortita, un capolavoro degno del riscatto dell'arte italiana nel mondo. Processo, questo, forse un po' malsano, in quanto si caricano eccessive responsabilità sul lavoro di artisti che avrebbero anche il diritto di esprimersi liberamente, spesso in direzione opposta o semplicemente diversa da quanto si aspettano tutti. Come nel caso dell'ultimo film di Giuseppe Tornatore, che ha spaccato opinione pubblica e critica per i motivi più diversi.
Siciliano doc, “Peppuccio” -come lo chiamano gli amici intimi- è tornato a parlare per l'ennesima volta della sua Sicilia, nel contesto che più gli appartiene: la 'selvaggia' Bagheria, suo paese natale situato nell'entroterra palermitano più caratteristico e ricco di suoni, colore, folklore. Che traslati e riprodotti per immagine cinematografica possono inevitabilmente suonare come esagerati e macchiettistici, anche quando sono assolutamente genuini.

I Torrenuova e la Sicilia che si rincorre

Le vicende di Baarìa (antico nome della città di Bagheria, che vuol dire 'porta del vento') prendono in considerazione un largo arco temporale (dall'ascesa del fascismo agli anni '70) visto attraverso gli occhi di Peppino Torrenuova (Francesco Scianna), della sua famiglia e dei suoi compaesani. L'apologia del fascismo, l'opposizione più o meno satirica, la guerra, il duro lavoro nelle campagne, la vita quotidiana coi suoi slanci culturali e i suoi retaggi atavici, la contestazione, la disillusione. E naturalmente il potestato, la mafia, le lotte proletarie che da sempre sono state protagoniste delle vicende isolane. Con la storia di Peppino si incrociano quelle di una moltitudine di personaggi più o meno importanti nella sua vita, ma che a loro modo lasciano un segno, spesso marcato, nei pensieri e nei ricordi di tutti i compaesani, creando (e al contempo suggendola) la storia e il vissuto di un paese legato al concreto quanto al mito. La Storia (ripercorsa attraverso i grandi eventi drammatici di quegli anni e le figure di personalità importanti legate a doppio filo col territorio, come Guttuso e Buttitta) si mischia con l'aneddotica di figure simboliche e rappresentative di un mondo che era e che sarà, al di là dell'incessante scorrere delle stagioni.

“Finchè la pietra non colpisce tutte e tre le rocce, non puoi dire che non è vero”

Baarìa è senza dubbio un'opera di grandi aspirazioni, per certi versi la realizzazione concreta delle fantasie e dei desideri di un grande regista, oltre che un notevole atto d'amore verso la propria cultura. Opere così personali e al contempo ambiziose corrono spesso il rischio di fallire o quantomeno di non riuscire nei loro intenti: si rischia di risultare autoreferenziali e poco comprensibili al grande pubblico, di costruire grandi affreschi pittorici che vengono però recepiti, da chi non ha alle spalle il background di riferimento -ovvero la stragrande maggioranza degli spettatori- come delle belle cartoline stereotipate. Figure già viste da qualche altra parte, che non riescono a restituire quello che il regista ha in mente da una vita, con tutto il relativo bagaglio di emozioni in grado di colpire tutti i sensi.
Qui si apre uno dei dibattiti più controversi relativi al film: chi la Sicilia l'ha vissuta non potrà che constatare l'autenticità di certi personaggi e situazioni, mentre chi la vede solo rappresentata sullo schermo non potrà che averne un'immagine che per quanto autentica risulta in qualche modo distorta, archetipata. Ma pur sempre fascinosa.
Nelle sue precedenti opere Tornatore è sempre riuscito a instaurare un bilancio vincente tra le tematiche della storia, la sua ambientazione e i suoi poliedrici e sfaccettati personaggi; un'alchimia che rendeva credibili e avvincenti anche storie vagamente surreali come La leggenda del Pianista sull'Oceano, o sfacciatamente nostalgiche come Nuovo Cinema Paradiso, che molti ritengono ancora il suo insuperato capolavoro.
Ma l'approccio usato dal regista per questo film è totalmente diverso dai precedenti.
Chi si aspettava un'evoluzione dei suoi precedenti lavori rimarrà senza dubbio spiazzato, e forse anche deluso: il film ha un taglio molto meno internazionale del solito, anzi ha in certi punti dinamiche quasi televisive e impianti narrativi e grafici tipici di casa nostra. Salvo momenti in cui omaggia il grande cinema di una volta, così come certe 'avanguardie' moderne: noi abbiamo trovato echi di Guillermo Del Toro, per esempio.
L'elemento simbolico e misterico, infatti, è presente in maniera che sembra quasi eccessiva, ma che in realtà ha un grande significato metaforico e subcosciente. Una Sicilia vera, materialista, dove la povera gente si spacca la schiena ogni giorno per 'buscarsi il pane', ma che al contempo è legata a tradizioni e superstizioni che sconfinano quasi nel magico, e di cui abbiamo diversi palesi riferimenti durante il film. Riferimenti che possono far storcere il naso ai più, se non interpretati nel giusto modo. E in questo Tornatore si dimostra avaro di spiegazioni, crudo nella rappresentazione, quasi simbolista.

Ritorno al futuro

Altro elemento di rottura rispetto al passato è l'impianto narrativo anomalo: la vicenda generazionale è vissuta in maniera continuativa sullo schermo, ma non mancano salti temporali improvvisi e vistosi, che richiedono una certa attenzione per inquadrare la scena nel giusto contesto storico e politico, nonché nello schema di significato che Tornatore vuole attribuire ad ogni singolo passaggio.
Sebbene il protagonista sia indubbiamente Peppino, ogni singolo personaggio dotato di battute nel film ha in sé l'anima di un protagonista, del quale ci viene raccontata solo una piccola parentesi della sua storia, sempre e comunque non meno interessante di quella dei Torrenuova. Il racconto prosegue in maniera incessantemente aneddotica, e il taglio o lo spostamento di molte delle vicende risulterebbe quasi indolore nell'economia della storia, tanto che con questa tecnica il film sarebbe potuto durare due ore oppure cinque, se solo il regista avesse voluto. Ogni singolo tassello, tuttavia, contribuisce a creare atmosfera e delineare uno spaccato siciliano del '900 che merita di essere vissuto o rivissuto. Da questo punto di vista però bisogna dire che il film mette a dura prova la concentrazione dello spettatore, continuamente intento, per quasi tre ore, a ricollegare i frammenti di un puzzle del quale, in finale, non avremo neanche tutti i pezzi (se non quelli fondamentali, e buona parte di quelli 'di contorno').

Il ritorno dei kolossal?

Dal punto di vista tecnico, Baarìa è impressionante, perlomeno rispetto al panorama delle opere nostrane. La produzione ha investito quasi venticinque milioni di euro, una cifra stratosferica per un film italiano, dando vita ad un vero kolossal moderno con circa duecento attori principali e ventimila (!) comparse. La ricostruzione storica è accuratissima, cosa ancora più rimarchevole se pensiamo a quanti cambiamenti stilistici si sono avvicendati nell'arco dei cinquant'anni che le vicende del film attraversano. Eppure i costumi, le suppellettili, le automobili, l'atmosfera stessa è ricreata in maniera encomiabile. Gran parte del film è stata girata in Tunisia, dove è stata ricreata una buona fetta della Bagheria originale di quasi cent'anni fa, in un set grande tre volte quello di Gangs of New York e dal fotorealismo incredibile, accentuato da una fotografia puntuale anche se forse un po' esagerata nell'attribuire ad ogni periodo storico una marcata impronta di colore 'tipica' delle pellicole del momento di riferimento.
Le scene corali sono poi straordinarie: Bagheria pullula letteralmente di vita, e ogni singola comparsa sembra voler prendere la scena e dire la sua, esprimere la sua essenza anche nella moltitudine di una processione o di una manifestazione.
E se il trucco compie un'opera magistrale nell'invecchiare o ringiovanire molti dei protagonisti, quello che delude fortemente sono gli effetti visivi, e in parte il doppiaggio. Se infatti le scenografie e le coreografie di folla sono di altissimo livello, si rimane basiti dal livello quasi casereccio di quei due o tre effetti 'speciali' utilizzati nel film (un effetto luminoso, una sequenza di volo e poco altro) e che potevano essere realizzati in maniera decisamente migliore, visto il budget a disposizione.
Per quanto riguarda il doppiaggio, la versione da noi visionata è quella doppiata in italiano 'sporco' di dialetto (mentre nell'isola e all'estero verrà distribuita la versione recitata in siciliano 'stretto') e dobbiamo constatare che il doppiaggio, per quanto buono, sia lievemente fuori sincro, anche se questo è più che altro colpa dei labiali originali.
Restando in tema di colonna sonora, è doveroso parlare delle musiche che accompagnano il film: i temi principali sono stati composti dall'inossidabile Ennio Morricone, che fa sentire molto la sua presenza di qualità, anche se stupisce per la mancanza di elementi tipicamente siciliani in un film del genere. Fatto acuito anche dalla presenza di numerose canzoni di musica leggera italiana (ma anche straniera: addirittura Gilbert O'Sullivan!) comuni al bagaglio culturale di tutta Italia.

Siciliani alla riscossa

Analizziamo, infine, le prestazioni del cast attoriale. Tornatore ha voluto con sé gran parte dei suoi volti noti, dando ampio e doveroso spazio agli attori siciliani più bravi e caratteristici.
Se difatti Placido, la Bellucci, Raoul Bova, Laura Chiatti, Gabriele Lavia e diversi altri appaiono in vari camei, la forza del film risiede anche nelle interpretazioni (in diversi casi notevoli) degli attori isolani, spesso poco riconoscibili e in ruoli decisamente diversi a quelli a cui sono abituati.
Lo Cascio, Gullotta, Ficarra e Picone, Aldo Baglio, Beppe Fiorello e molti, molti altri hanno quasi fatto a gara per dare il proprio contributo alla buona riuscita della pellicola, regalando interpretazioni a volte divertenti, altre struggenti, ma sempre abili e personalissime.
I volti di Peppino e della sua consorte Mannina, invece, sono stati affidati a due giovani esordienti nel grande cinema, Francesco Scianna e Margareth Madè, che se la cavano in maniera distinta scavalcando l'inesperienza con un'innata espressività tipicamente siciliana, che li rende perfetti nelle rispettive parti.

Baarìa Baarìa è un film sicuramente molto controverso, denso di luci e ombre, di realtà e fantasia, di storia e di mito, come il luogo a cui si ispira e in cui sono ambientate le sue vicende. I mostri di Villa Palagonia, i tanti personaggi veri e i tantissimi personaggi ispirati, le numerose situazioni genuinamente divertenti e le molte altre tristi o surreali, sono tutte facce di un poligono dalle mille sfaccettature, che possono piacere o meno. Chi si aspetta un'opera concreta e ben delimitata come i precedenti lavori del regista potrebbe rimanerne deluso. Noi invece lo accettiamo come un gesto d'amore. E i gesti d'amore autentici sono spesso visti come sproporzionati e anche inconcludenti da chi li vede da fuori, senza comprendere davvero quello che recano al loro interno. Sperimentalismo o meno, quello di Tornatore è un modo di fare letteratura per immagini di cui il cinema italiano moderno ha un disperato bisogno, se non vuole affogare tra commedie adolescenziali e cinepanettoni.

7.5

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