Anteprima Big Hero 6

Roy Conli, produttore Disney, ci presenta in anteprima alcune scene del nuovo Classico natalizio

Anteprima Big Hero 6
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Cosa succede quando Roy Salvatore Conli (californiano di origini siciliane) presenta in anteprima ampie sequenze del nuovo film di animazione Disney previsto per Natale, con un’ambientazione a metà tra San Francisco e Tokyo? Succede che scatta la sindrome del cinefilo in astinenza, quel desiderio urgente e improrogabile di poter vedere il film nella sua interezza, sentirsi quasi torturati a poter vedere scene così intriganti e di qualità, come un appetito che attende ancora di essere sfamato. I sintomi sono: sudorazione intensa, contrarietà a lasciare la poltrona, ricerca compulsiva di materiale online, progetti diabolici di hackeraggio degli archivi Disney.
Scherzi a parte, Roy Conli ha letteralmente stregato la sua platea. Si muoveva sul palco seguito da una luce ad occhio di bue, come uno spettacolo retrò di vaudeville, presentando un cospicuo assaggio dell’ultimo gioiellino in arrivo dalla fucina disneyana: un anno dopo il travolgente successo del masterpiece Frozen - Il Regno di ghiaccio, la casa di Mickey Mouse si sposta nettamente di ambientazione e stile per arrivare nel presente futuristico di Big Hero 6, storia di amicizia tra un geniale ragazzino, mix tra nerd esperto di robotica e skater da cavalcavia, e Baymax, robot di assistenza sanitaria, programmato per essere “morbido e coccoloso”. Può sembrare vagamente già sentito, in realtà si tratta di un registro completamente diverso. Vediamo perché.

FEAST

Secondo la consuetudine che oramai contraddistingue solo Disney e Pixar, ma che sarebbe meglio se si estendesse anche ad altre case cinematografiche, in sala è stato proiettato Feast, cortometraggio che precederà il film anche all’uscita in sala a dicembre. Una possibilità per far scoprire nuovi registi e animatori, saggiare nuovi talenti e soprattutto tecniche e possibilità narrative, che vengono rodate con i cortometraggi di apertura ai film per verificare la risposta del pubblico. In questo caso, Feast sembra inserirsi nella scia di Paperman, il corto disneyano che a cavallo tra 2012 e ’13 riscosse notevole successo e si aggiudicò l’Oscar al miglior corto d’animazione. Lo stile ammicca al cel-shading dei videogiochi, ma è qualcosa di diverso ed unico: è il risultato di un mix tra l’espressività del disegno 2D spinto ai suoi estremi e la “stabilità e la dimensione della CG”, come ha detto lo stesso John Kars, il regista di Paperman, che venne realizzato con il software proprietario Meander - forse lo stesso in seguito utilizzato da Patrick Osborne per Feast, che a questa tecnica aggiunge il colore, ma anche un’inclinazione personale che distingue le sfumature di stile fra i due cortometraggi. Storia di amicizia tra il cagnolino Winston e il suo padrone, costruisce le vicende di crescita di una famiglia esemplificate dal punto di vista del cane e dei suoi golosi spuntini. Oltreché per lo stile di animazione -che probabilmente darà presto vita a un lungometraggio a sé per la sua straordinaria potenza evocativa- il corto si distingue per un’eccellente caratterizzazione del piccolo Winston, che catalizza in pochi frames tutta l’empatia del pubblico. Preludio perfetto al film che deve precedere.

BIG HERO 6

Big Hero 6 è il risultato di ispirazioni diverse: innanzitutto, è un esperimento tratto dall’omonimo fumetto Marvel, cui in realtà si ispira solo a grandi linee, per cambiarne fondamentalmente le coordinate e la sostanza. Protagonista è Hiro Hamada, ragazzino con la passione per la robotica che porta con sé il corredo tipico dei personaggi Disney moderni: simpatia, umiltà, affetto e una grande passione, il tutto meglio se condito da una dose crescente di spirito ribelle. L’universo non è più la New York tanto cara alla Marvel, ma San Fransokyo, un mix tra San Francisco e la capitale giapponese (Conli ha fatto ridere la platea con il suo: “it’s a mix of two cities: San Francisco and... Cinisello Balsamo!”), un paradiso dell’animazione odierna, con oltre 80.000 edifici che sono stati modellati per dare vita a questo mash-up di grande fascino, in cui i tram di sanfran salgono lungo i crinali di una collina costellata da tettucci di tradizionali residenze nipponiche. L’ambientazione enfatizzata ed esagerata in stile Disney dà il suo meglio nella sequenza in cui Hiro è in volo in groppa a Baymax, sfiorando l’iconico ponte del Golden Gate, coi piloni ornati dai torii del Sol Levante e che affondano la base in epiche nuvole colorate dal tramonto, come in un dipinto della scuola di Hokkaido.

QUEL ROBOT CHE ABBRACCEREMMO VOLENTIERI...

Il fulcro della storia è l’amicizia che si instaura fra Hiro e Baymax, un robot di assistenza sanitaria che era stato programmato da Tadashi, il fratellone di Hiro, scomparso in un tragico incendio. Baymax non è un robot comune: a prima vista ricorda molto l’omino Michelin, anche se non è fatto di rotoli di copertoni ma di enormi sacche gonfie d’aria. E’ goffo ed impacciato, il pubblico lo ama subito perché fa ridere e perché, passo dopo passo, colma il vuoto di Hiro per la perdita del fratello. La storia Disney quest’anno si fa quindi ancora più tragica, con una perdita inaspettata e a bruciapelo, condita dal clima commediale del legame fra Hiro e Baymax, e della loro avventura per disfare i piani criminali di un inquietante individuo con la maschera Kabuki. In questa avventura saranno aiutati da alcuni amici, nerd un po’ eclettici: c’è Wasabi No-Ginger, Go Go Tamago, Honey Lemon e Fred.
L’idea per il film era venuta a Don Hall, regista insieme a Chris Williams, che aveva chiesto a John Lasseter il permesso per realizzare un cortometraggio ispirato a un fumetto Marvel - “Perché non un film?” ha tuonato Lasseter. La scelta è ricaduta su Big Hero 6, serie Marvel poco nota e che lo staff Disney ha contribuito a realizzare, facendone la propria ispirazione più che il proprio soggetto. Lo snodo cruciale era probabilmente il robot stesso: quante storie si sono viste su robot “umanizzati” e legami fra umani e androidi? Da Wall-E al miyazakiano Laputa fino a Il gigante di ferro (e per non addentrarci ulteriormente nell’universo degli anime giapponesi!), è una sfilata interminabile di androidofilia. Pertanto è comprensibile che i maggiori sforzi della squadra, accanto all’ambientazione e al core emozionale della storia, fosse centrato sul robot, con ricerche che hanno coinvolto numerose università, fino a trovare la corda decisiva alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, forse il principale laboratorio universitario di robotica statunitense, dove si lavora alla “soft robotics”, una robotica sviluppata con materiali e modi tali da interagire con l’uomo in via confortevole e senza ferirlo. In pratica, robot più... morbidi. Alla Carnegie Mellon si sta lavorando a un braccio di vinile gonfiabile, per ora gli fanno lavare i denti ma le possibilità sono sterminate e potrebbe essere la strada del futuro. Il robottone Baymax è l’esagerazione di questo concetto, sembra un robot-mongolfiera e questa sua caratteristica, un aspetto da “ciccione”, sottolineano la sua tenerezza, perfetto intermediario per un pubblico di tutte le età, bambini in primis.

VOGLIAMO IL FILM!

Forse si aggiunge a un pizzico di pressione per l’aspettativa suscitata dal trionfo di Frozen, ma Conli sembra a suo agio, contento e stimolato che il suo pubblico abbia esigenze maggiori. Non sappiamo come sarà il film finale, sappiamo solo che promette molto bene e che vogliamo vederlo. Bisognerà aspettare il 18 dicembre per attendere che Big Hero 6 e il cortometraggio Feast allietino le sale durante l’Avvento. Nel frattempo, abbiamo potuto godere di spezzoni consistenti che ci hanno dato un assaggio di cosa la grande fabbrica dei sogni di Walt Disney è capace. Da quanto si è potuto vedere, al netto di una post-produzione ancora in corso e che dovrebbe concludersi in queste settimane, la modellazione e i movimenti sono di altissimo livello, colpiscono non solo i personaggi ma anche l’ambientazione urbana, particolarmente dettagliata. Gli stimoli metropolitani paiono, a primo acchito, offrire uno stimolo decisivo per un’animazione che pare di impatto quasi maggiore a Frozen - si vedrà se il film completo confermerà questa sensazione. Certo è che, come ribadisce lo stesso Conli, il lavoro si è svolto sia seguendo le più recenti innovazioni degli standard (soprattutto per le luci, vero elemento di distinguo del nuovo film) sia ricordando le grandi lezioni del proprio passato, sia esso il passato prossimo di Frozen che ancora canticchiamo, sia un passato più remoto, di una serie Marvel degli anni ’60 o da un maestro come Hitchcock, che con film come Intrigo internazionale (classe 1959), a detta di Conli, ha ispirato molto determinate sequenze, come la fuga dal magazzino dell’uomo con la maschera Kabuki. Le buone premesse ci sono tutte.

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