Recensione Educazione Siberiana

Il ritorno alla regia di Gabriele Salvatores

Recensione Educazione Siberiana
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Fra i tanti meriti da attribuire al regista Gabriele Salvatores, uno su tutti è senz'altro quello di non aver mai perso, in trent'anni di carriera e dopo un Oscar vinto nel 1992 per il celebre Mediterraneo (1991), quella tanto insolita - per il nostro cinema - quanto benefica frenesia sperimentativa divenuta presto una costante della sua produzione artistica. Dal tema della fuga che fa da cuore pulsante alla rispettiva trilogia (Marrakech Express (1989), Turné (1990) e il succitato Mediterraneo) alle atmosfere surrealiste di Nirvana (1997), dalle euforiche sperimentazioni visive di Denti (2000) e Amnésia (2001) a quelle più contenute di Io non ho paura (2003) e Come Dio comanda (2008), fino al metacinema ironico di Happy Family (2010).
Difficile stabilire quali siano i reali punti d'accordo fra le quindici pellicole dirette in carriera dal cineasta di origine partenopea. E' possibile, più che altro, rintracciare in tutte le opere una sorta di ricerca, umana e formale, attraverso i personaggi e le vicende che li vedono protagonisti, pur, appunto, in contesti, luoghi e realtà differenti.
Dunque, a tre anni di distanza dalla gradevole commedia interpretata, tra gli altri, da Fabio De Luigi e Diego Abatantuono - da prendere più che altro come una scanzonata reunion tra vecchi amici/colleghi - Educazione siberiana, dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin, segna quello che è il vero ritorno dietro la macchina da presa di Gabriele Salvatores.

IL GRANDE FREDDO

In linea con quanto fatto recentemente da Tornatore con l'apprezzatissimo La migliore offerta, anche Salvatores sceglie, per Educazione siberiana, un cast di nomi internazionali, ove spiccano, senza troppe difficoltà, quelli di Peter Stormare e soprattutto John Malkovich, nessuno dei quali, però, impiegato in un ruolo da protagonista. Carica ricoperta invece dai giovani Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius, rispettivamente nei panni di Kolyma e Gagarin, amici per la pelle nella fredda Transnistria - corrispondente all'attuale Moldavia - iniziati alla criminalità da nonno Kuzjia con le prime rapine e la condivisione della refurtiva. Poco prima di finire in carcere, Kolyma si innamora perdutamente di Xenja (Eleanor Tomlinson), ragazza mentalmente disturbata, figlia del medico legale. Durante la detenzione, il giovane traduce il proprio sentimento attraverso un simbolico tatuaggio, elemento cruciale per l'educazione che nonno Kuzjia ha voluto impartire al nipote. Una volta scarcerato, Kolyma apprende dallo stesso nonno che la ragazza di cui è innamorato ha subito una violenza. Fatto che porterà il giovane ad arruolarsi nell'esercito, infrangendo così il proprio codice d'onore, per trovare e uccidere l'uomo che ha abusato della sua amata.

Parlavamo di ricerca, nelle righe soprastanti. Aspetto che Salvatores, in questo più che in qualunque altro tassello della sua filmografia, pone in cima alla lista dei propri obiettivi da perseguire, imprimendo nella sceneggiatura - di cui è autore insieme ai fedeli Stefano Rulli e Sandro Petraglia - come nella regia il proprio, inconfondibile marchio di fabbrica, testimoniato da personaggi forti e corposi e da una struttura narrativa solida seppur, in alcuni tratti, superficiale. Elemento, questo, che non impedisce comunque alla pellicola di rendersi appetibile agli occhi di qualsiasi spettatore pur trattando, come detto, argomenti di forte impatto emotivo e talvolta esaltati da un uso forse un po' eccessivo della violenza.
Non vi è, alla fine, grande fedeltà con la matrice letteraria di Lilin da cui l'opera trae appunto ispirazione, come risultano talora fastidiosi i frequenti viraggi verso la spettacolarizzazione che regista e sceneggiatori adottano in vari frangenti della storia, sottraendo in questo modo valore e credibilità allo stile asciutto, essenziale e glaciale - visto il contesto - che avrebbe potuto rimanere inalterato.
Il risultato complessivo è comunque quello di un'opera pregevole, tecnicamente distinta (da ammirare la splendida fotografia di Italo Petriccione, altro fedelissimo della factory di Salvatores), forte, cruda e non di rado straziante, che paga dazio solo per la troppa enfasi mostrata in alcune parti del minutaggio.

Educazione Siberiana Gabriele Salvatores, alla sua fatica n. 15, sceglie un cast internazionale (John Malkovich e Peter Stormare tra i componenti) affidando però i ruoli dei protagonisti assoluti a due giovani attori russi. Del romanzo omonimo di Nicolai Lilin utilizzato come fonte d'ispirazione rimane poco in questa trasposizione filmica, soprattutto per quanto riguarda lo stile narrativo asciutto ed essenziale che costituiva uno dei massimi pregi dello scritto. Grazie alla straordinaria abilità del regista nel disegnare personaggi forti e situazioni di grande impatto, la pellicola risulta alla fine valida ed avvincente per buona parte della sua struttura, con un reparto tecnico eccellente ad arricchire l'operazione.

6.5

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