Recensione Enter the void

Arriva in Italia il cult sperimentale di Gaspar Noè

Recensione Enter the void
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Il ventenne Oscar (Nathaniel Brown) vive da solo a Tokyo da diversi anni, in seguito alla morte dei genitori avvenuta durante la sua infanzia, che ha comportato anche la separazione forzata dalla sorella più piccola, Linda (Paz de la Huerta), adottata da un'altra famiglia a causa della tragedia. Per ricongiungersi a lei, ormai divenuta indipendente, e pagarle un biglietto aereo per la capitale giapponese, Oscar comincia a spacciare droga di ogni genere, divenendone anche dipendente. Qualche tempo dopo essersi ritrovato con Linda, divenuta intanto una spogliarellista in un locale di striptease, Oscar cade in una retata della polizia, nella quale viene ucciso. Da quel momento il suo spirito inizia a vagare in una sorta di limbo, nel quale intravede fatti del suo passato, del presente senza di lui e di un possibile futuro.A Gaspar Noè è sempre piaciuto stupire, o sarebbe meglio dire shockare, il suo pubblico. Ne aveva già dato prova con le sue due prime opere, il mediometraggio Carne (1991) e Seul contre tous (1998), ma fu con la terza che creò scalpore e indignazione della critica perbenista, il controverso Irréversibles (2002), con l'ormai "storico" stupro tra (come è ben noto, coppia anche nella realtà) Vincent Cassel e Monica Bellucci. Cosa ci si poteva dunque attendere dalla sua quarta regia, che segna il ritorno dopo sette anni di assenza dal grande schermo? Con colpevole ritardo, fortunatamente Enter the Void vede la luce nelle sale italiane grazie a Bim Distribuzione, comunque coraggiosa nel distribuire in sala un film non certo per tutti i palati.

Entrare nel vuoto

E non è soltanto la durata (160 minuti circa) a poter spaventare il pubblico casual, fatto di normali spettatori in cerca di una serata di divertimento. Anche i cinefili più smaliziati potrebbero trovare dei punti di difficoltà in un'opera tanto fuori dai normali canoni quanto aspra e difficile nella sua narrazione. Enter the Void è infatti un viaggio, un'esperienza totalmente allucinogena che potrebbe (il condizionale è d'obbligo, visto che a oggi non vi sono prove documentate) mettere a dura prova i sensi di chi soffre di epilessia. Senza creare falsi allarmismi infatti, va detto che la quantità incessante di luci e suoni che si susseguono in alcuni, brevi, tratti della pellicola, può risultare fastidiosa alla vista. Ma questo non va comunque a inficiare le qualità di un'opera psichedelica di immane potenza, sia visionaria che emotiva, che ci trascina in un viaggio dilatato e sinuoso, irto di dolore e sofferenza, sorretto da una regia a suo modo unica, fatta di lunghi piani sequenza (il più lungo, proprio dopo i "rocamboleschi" titoli di testa, dura quasi mezz'ora), girati con camera a mano, o dietro le spalle del protagonista o a narrarci gli eventi dal suo point of view. Come in una sorta di videogame cinematografico, cui manca ovviamente l'interattività, Noè travalica le barriere fisiche dei luoghi, trasportandoci a volo d'uccello in vite distrutte, segreti inconfessabili che vengono alla luce, tragedie in divenire e sogni solo apparentemente riconciliatori. Tra passato, presente e futuro, flashback di ciò che è stato e di ciò che potrebbe essere, sguardi muti sulla realtà ormai irraggiungibile, assistiamo all'alfa e all'omega di un'esistenza difficile, di una doppia esistenza, legata indissolubilmente dall'amore e dal rapporto fraterno. Chi è infine la vera, involontaria, star di questo racconto straziante? Il deceduto Oscar, ormai pura essenza, o la sorella Linda, entità vivente e palpabile (a cui dona le fattezze una sensuale e dolente Paz de la Huerta) che deve fare i conti con la morte dell'amato fratello? Ma il regista francese non dimentica di caratterizzare alla perfezione anche i personaggi secondari, regalandoci figure complesse in una Tokyo  cupa e fredda, ripresa pressoché sempre in notturna, dove la speranza di una possibile felicità cozza con la realtà, fatta di loschi nightclub e ritrovi tra ambigui spacciatori. Riccamente farcito di sequenze estreme, soprattutto di carattere sessuale, ma mantenendo sempre un forbito distacco dalla pornografia più becera, con un finale nel quale si raggiunge una vera e proprio apoteosi di carne e anime, Enter the Void ammalia e cattura proprio per la sua sfacciata sensazione di incomunicabilità, che sarà certamente ostica se non insopportabile per molti, ma inspiegabilmente irresistibile per chi nel Cinema ricerca quella sperimentazione in grado di garantire nuove vie di espressione della Settima Arte.

Enter the void La morte e la vita, a confronto e in simbiosi, in un film sperimentale eccessivo e oltranzista che ci accompagna per oltre due ore nel viaggio di uno spirito, un'essenza morente alla ricerca di qualcosa, tra presente, passato e futuro, per ritrovare un nuovo possibile inizio. Tra droga e sesso, sudore e allucinazioni, un'esperienza psichedelica assai affascinante e disturbante al contempo, ma in grado di imporsi con una potenza visiva, sonora ed emotiva immensa, a patto di sottostare alla regole, un pochino perverse ma ricolme di una disarmante, e spaventosa, sincerità, imposte da Gaspar Noè.

8.5

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