Speciale Fantafestival 2014 - Parte 1

Fantasmi, vampiri e zombi al XXXIV Fantafestival!

Speciale Fantafestival 2014 - Parte 1
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Anche la XXXIV edizione del Fantafestival - Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico diretta da Adriano Pintaldi e Alberto Ravaglioli - è giunta al termine.
Conclusasi il 23 Luglio 2014 con la serata di premiazione tenutasi presso la multisala Barberini di Roma (location in cui si è svolta anche l'intera manifestazione a partire dal 14 Luglio), nel corso della quale è stato proiettato in anteprima l'ottimo Apes revolution - Il pianeta delle scimmie (2014) di Matt Reeves, sequel del riuscitissimo L'alba del pianeta delle scimmie (2011) di Rupert Wyatt, senza alcun dubbio è stata una delle migliori edizioni del festival da quando è iniziato il terzo millennio.
Merito soprattutto della lodevole selezione di inediti curata da Luca Ruocco, che, al di là dell'home invasion Surrounded (2014) di Laura Girolami e Federico Patrizi, del super classico Il pianeta delle scimmie (1968) di Franklin J. Schaffner e del thriller La santa (2014) di Cosimo Alemà, ha incluso esclusivamente titoli mai visti sullo schermo italiano (piccolo o grande che sia).
Tra essi, anche Il mediocre La festa (2013) di Simone Scafidi, miscela di found footage e giochi mortali quale falso resoconto di un party finito in tragedia, il messicano Siamo quello che mangiamo (2010) di Jorge Michel Grau, guardabile, moderna storia di cannibalismo, e il collettivo Phantasmagoria (2014).
Non riuscitissimo, quest'ultimo, procede comunque in crescendo tramite un segmento di apertura ben girato ma irrilevante a firma del francese Mickael Abbate, per poi immergersi tra pedofilia e ritorni dall'aldilà sotto la regia dell'effettista Tiziano Martella ed approdare al terzo e migliore racconto del trittico: un chiaro omaggio a Psycho (1960) di Alfred Hitchcock orchestrato da Domiziano Cristopharo tra splatter ed erotismo omo.
Tra le varie pellicole proposte, ve ne presentiamo alcune tra le più interessanti nei prossimi paragrafi.

I am a ghost (2012)

In I am a ghost seguiamo una ragazza vestita di bianco che si aggira per la sua abitazione e tutti giorni segue sempre la stessa routine, svegliandosi, preparando la colazione, uscendo per fare compere, spolverando e lavando il pavimento.
Inizialmente, complice la totale assenza di dialoghi, l'impressione è quasi quella di trovarci dinanzi ad un elaborato proveniente dal periodo del cinema muto, che ha sicuramente influenzato il qui regista H.P. Mendoza.
Dal momento in cui sia rumori strani che una voce femminile cominciano a provenire dal soffitto, però, subentra l'idea geniale alla base dell'operazione, in quanto la protagonista che vediamo è, in realtà, un fantasma, mentre l'entità che le parla (e di cui non vengono mai mostrate le fattezze) altro non è che una medium ingaggiata per mettersi in contatto con lei.
Quindi, il tutto viene abilmente costruito sulle loro conversazioni e sull'inquietudine trasmessa grazie al vecchio ma sempre efficace ricorso all'uso del sonoro; fino ad una seconda parte che arriva anche a tirare in ballo demoniache presenze che ricordano quelle viste in Pulse (2006) di Jim Sonzero, ma che rimangono, comunque, l'elemento meno rilevante di un lavoro tanto profondo quanto diretto con mestiere che avrebbe meritato la vittoria del festival.

Chimères (2013)

In vacanza in Romania, una coppia vede interrompersi improvvisamente la sua spensierata atmosfera romantica quando lui, investito da un'automobile, viene ricoverato in ospedale e sottoposto a una trasfusione di sangue.
È soltanto l'inizio di un incubo rappresentato dal fatto che l'uomo comincia a nutrire un certa sete di sangue, portando lo svizzero Olivier Beguin - esordiente dietro la macchina da presa - a raccontare il vampirismo vissuto come malattia, in maniera piuttosto simile (anche se visivamente più ricercata) a quella in cui l'inglese Andrew Parkinson ha fatto con lo zombismo tramite I, zombie: The chronicles of pain nel 1998.
Quindi, lo fa in maniera decisamente realistica, mentre la moglie tenta di salvare il matrimonio e rassicurarlo... fino ad un'ultima parte che, dopo tanta ricerca dell'autorialità, conduce l'insieme dalle parti del violento intrattenimento, con abbondanza di spargimenti di sangue.
Un'ultima parte forse forzata, ma che risulta comunque necessaria a movimentare un elaborato narrativamente imperfetto, seppur non disprezzabile.

Antisocial (2013)

Sotto la regia dell'esordiente Cody Calahan, siamo in un futuro non molto lontano con cinque studenti universitari che, riunitisi per festeggiare il Capodanno, si trovano costretti a barricarsi in casa dopo che una misteriosa, pericolosa epidemia sembra essersi diffusa a macchia d'olio in tutto il mondo.
Forniti di iPhone, Blackberry, iPad e computer portatili quali unici mezzi tramite cui scoprire cosa è successo e vedere le immagini del caos circostante, scoprono progressivamente l'origine del virus; nel corso di un insieme che, pur trovando una certa originalità nel suo retrogusto di denuncia nei confronti della sempre più isolata generazione cresciuta dinanzi ai social network, altro non si rivela che l'ennesimo horror di taglio orientale privato, però, di occhi a mandorla.
Non pessimo, ma semplice variante zombesca infarcita di attacco alla tecnologia moderna e che, tra forbici negli occhi ed affilate asce pronte a tagliare, riserva anche momenti disturbanti con tanto di trapano conficcato nel cranio.

I sell the dead (2008)

Il cast è di quelli che fanno leccare i baffi a qualsiasi amante dell'horror e del fantastico su celluloide degno di questa classificazione, in quanto non solo abbiamo Ron"Hellboy"Perlman e l'Angus Scrimm della saga Phantasm, ma, nel ruolo del protagonista Arthur Blake, troviamo il Dominic Monaghan che ha incarnato Merry nella trilogia Il Signore degli Anelli.
L'Arthur Blake che, profanatore di tombe, arrestato e condannato a morte racconta a padre Francis Duffy (Perlman, appunto), nel XVIII secolo, la storia della sua vita, passata a rifornire di cadaveri il macabro scienziato Willie Grimes, cui concede anima e corpo il Larry Fessenden autore di Wendigo (2001) e Beneath (2013).
Ma, se le imprese narrate e l'ambientazione Hammer style possono spingervi a ripensare a Ladri di cadaveri - Burke & Hare (2010) di John Landis, sappiate che l'esordio registico di Glenn McQuaid è stato concepito ben due anni prima; quindi, potrebbe essere stato l'autore di Un lupo mannaro americano a Londra (1981) a subire l'influenza di questo mix di macabre vicende e black humour.
Anche se, tra alieni e zombi, al di là della buona messa in scena e di qualche occasione per ridere, sono più le chiacchiere che le trovate originali a dominare la sceneggiatura... caratterizzata, comunque, da un sorprendente epilogo.