Recensione Grace di Monaco

Il biopic (molto) romanzato sulla vita di Grace Kelly

Recensione Grace di Monaco
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Boicottato dalla famiglia Grimaldi, tacciato di tradire la storia così come la realtà sulla figura di Grace Kelly, e accolto non troppo calorosamente neanche alla proiezione stampa del Festival di Cannes 2014 (che l'ha scelto come film d'apertura della kermesse) esce oggi nelle sale Grace di Monaco, non un biopic (come ci tiene a precisare anche il regista francese Olivier Dahan) ma piuttosto il racconto romanzato di una donna divenuta non solo icona di femminilità, attrice di successo (girò tre film con Hitchcock e ottenne perfino un oscar per La ragazza di campagna del 1954) ma soprattutto modello di principessa moderna, in grado di bilanciare grazia e carisma pur senza rinunciare alla pericolosa necessità di esprimere sempre e comunque le proprie idee. Il regista Olivier Dahan, che nel 2007 aveva ottenuto numerosi consensi portando al cinema l'esistenza difficile e controversa della cantante Edith Piaf, torna nuovamente a dirigere un ritratto di donna complesso, sfaccettato e artistico come può essere quello di Grace Kelly, ragazza di Filadelfia divenuta prima ‘regina del cinema' e poi Principessa di Monaco, in seguito al matrimonio con il Principe Ranieri avvenuto nel 1956.

Una favola senza lieto fine

Quello del film che (pur se non un biopic in senso stretto) parte da un presupposto biografico è sempre un genere difficile da realizzare perché presuppone il giusto equilibrio tra una narrazione che non diventi troppo didascalica e la necessità di un'aderenza storica che renda il film quanto meno plausibile. E se con La vie en rose Dahan aveva ottenuto un buon risultato grazie alla ricostruzione di un'atmosfera fedele e soprattutto (forse) all'interpretazione libera ma profondamente aderente/viscerale di Marion Cotillard (che per quella parte si aggiudicò anche l'Oscar), con Grace di Monaco il risultato non può dirsi altrettanto riuscito. Il lavoro di Dahan tende infatti, tralasciando i dettagli prettamente storici, a concentrarsi soprattutto sull'impasse vissuto dalla Kelly in quanto donna (come ogni altra) alle prese con i propri problemi, le proprie ambizioni e le proprie fragilità, ma costretta (più di ogni altra donna) a farsi carico della scelta fatta di convolare a nozze diventando anche Principessa del piccolo ma attivo Principato di Monaco, minacciato in quegli anni dalle aperte ostilità della Francia di de Gaulle. Una scelta che (come prevedibile) non avrà poche ripercussioni (positive ma anche negative) sulla sua vita e che alla fine Grace Kelly accetterà di affrontare in virtù del voto fatto a quel triplice ruolo di madre, moglie e sovrana; un ruolo impegnativo e subordinato al compromesso, senza dubbio il "ruolo più grande da lei mai interpretato" e divenuto come una favola senza lieto fine. L'intento di Dahan è dunque sempre il medesimo, ovvero quello di riportare al centro della narrazione il conflitto di una femminilità molto emancipata (Piaf, Kelly) in qualche modo condizionata e ostacolata dalle circostanze. Eppure, nel tentativo di destrutturare, portare a dimensione umana Grace Kelly, Olivier Dahan tende a semplificarne e (nello stesso tempo) enfatizzarne troppo le peculiarità esteriori, per un risultato che tende a tradire l'alta aspettativa di realismo solitamente connaturata a prodotti di questo genere. A questo si affianca un'altra nota dolente, ovvero quella dell'interpretazione della Kidman che del "ghiaccio bollente" della Kelly sembra restituire solo un vago ricordo, incapace fino in fondo di abbracciare la complessità, la lotta interiore e quello stato di estrema fragilità sui cui Dahan voleva - forse - far muovere l'intero pathos del film.

Grace di Monaco Grace di Monaco di Olivier Dahan apre tra polemiche e insoddisfazioni il 67mo Festival di Cannes. Il film di Dahan appare infatti come un’opera troppo sommaria per essere in grado di restituire la complessità del personaggio di Grace Kelly. Tensioni e lotte interiori sono solo abbozzate e il risultato (regale ma non troppo) appare molto simile a quello ottenuto da Oliver Hirschbiegel con il film su Lady D, un lavoro ben più da piccolo che non da grande schermo.

5.5

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