Intervista Her: Joaquin Phoenix

Il protagonista del nuovo film di Spike Jonze ci parla del suo rapporto col lavoro e... con la stampa!

Intervista Her: Joaquin Phoenix
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Riuscire a oltrepassare il suo scudo protettivo e addentrarsi nel vero Joaquin Phoenix è qualcosa di davvero difficile. Lo dimostrano le tantissime interviste nelle quali l’attore cerca sempre un modo per sviare le domande. Perché è un grande interprete, e questa è una di quelle realtà innegabili, e vuole che le persone, quelle che non fanno normalmente parte della sua vita, lo vedano solo per quello e lo apprezzino per il suo lavoro e i suoi personaggi. Ha sempre avuto un rapporto molto strano con la stampa, colpa sicuramente anche degli spiacevoli incidenti che hanno segnato il suo passato, ma parlare con lui è sempre un’esperienza straordinaria. E poco importa di tutto il resto quando, una volta trasportata sullo schermo, la sua personalità così atipica ed esuberante si trasforma in pura poesia, come è successo in Her di Spike Jonze.

Hai mai frequentato qualcuno su internet?
Credo sia divertente. Non giudico mai, credo sia solo evoluzione. Ma non l’ho mai fatto.

Nell’arco di tutto il film, il protagonista migliora: credi che una relazione, che sia reale o meno, ci permetta di evolverci?
Certo. Le relazioni ti condizionano in diversi modi, positivi o negativi. Ti cambiano. Non puoi negarlo, magari non sono sempre evoluzioni positive, ma ti cambiano.

Credo che il tuo personaggio sia il ritratto di una generazione, di un uomo schiacciato da tante cose...
Non lo so. Credo sia possibile. Amo questo film e il fatto che le persone cerchino di interpretare quello che si nasconde sotto. Però non lo so... penso che sia una storia molto personale e questo uomo sia molto danneggiato dalle relazioni umane.

Che cos'è l'amor

Pensi che questa evoluzione tecnologica nella comunicazione sia più affascinante o rischiosa?
Io ne sono solo affascinato.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Non sono molto sicuro del mio passato... figuriamoci del futuro! (ride) Ho appena finito un film di Paul Thomas Anderson chiamato Inherent Vice. È basata su un libro di Thomas Pynchon e ambientato nel 1969 e interpreto una specie di detective privato.

Nel film si dice che l’amore è una forma di follia socialmente accettabile. Che cosa è secondo te l’amore?
È una battuta bellissima! In Italia siete fissati con l’amore! (ride) Non lo so... se lo capisco te lo faccio sapere. È buffo, c’è una linea sottilissima tra l’amore e l’ossessione. Insomma se faccio tantissimi chilometri per andare a trovare una ragazza che ho conosciuto... se a lei piaccio è una storia d’amore bellissima, ma se a le non piaccio sono solo un pazzo, uno stalker! È una linea sottilissima tra queste due cose. È difficile da definire.

Il film ha un impatto molto forte negli spettatori: che emozione vorresti rimasse in loro?
Io non voglio inviare nessun messaggio. Non voglio imporre la mia idea. Quello che è bello dei film è che sono un’esperienza soggettiva. Non leggo mai interviste al regista o all’attore prima di vedere il film, odio quando la gente mi parla di quello che pensa del film, perché questo influenza la mia esperienza, i miei sentimenti. Questo film è interessante perché ogni persona ha una reazione diversa. E questo è quello che le persone prendono da questa esperienza. Normalmente non mi vedo mai sullo schermo, perché mi ossessiona e guardo i miei errori. Ma questa volta sono riuscito a farmi prendere. Il film deve coinvolgerti e portarti a discuterne con gli altri, questo è tutto quello che ti deve trasmettere.

Consapevolezza di se stessi

Sei un attore molto amato: è facile per te passare al ruolo successivo senza sentirti troppo sotto pressione?
Nessuna pressione che io senta è superiore a quella che ho nei miei confronti. Sono sempre in competizione con me stesso. Provo sempre a eccitarmi e superarmi.

E come te la cavi con i ringraziamenti? I complimenti?
Non credo che sia una cosa buona, non credo che sia salutare... è un peccato, perché sembrate tutti delle persone carinissime e sono sicuro che chiacchierare con voi sarebbe fantastico. Ma i nostri lavori sono incompatibili. Voi provate a reperire informazioni e date consapevolezza della mia vita privata e sul lavoro che normalmente non avrei. La consapevolezza di se stessi per un attore è mortale. Per questo non faccio quasi mai attività stampa... la stampa ti fa apparire in modi in cui non sei veramente, o di cui non sei consapevole, ed è la cosa peggiore per gli attori. Io non voglio essere consapevole di tutto ciò, non voglio questa pressione, voglio solo essere un bravo attore.

Ma quando uno è bravo è bello sentirselo dire. E tu sei molto bravo.
Io voglio solo essere bravo abbastanza da riuscire ad avere un altro lavoro. Se riesco a ottenere il lavoro che voglio fare, allora sono davvero soddisfatto.

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