Recensione Il Giovane Favoloso

Elio Germano è il grande poeta di Recanati nel nuovo film di Mario Martone

Recensione Il Giovane Favoloso
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L’eruzione del Vesuvio, in uno scenario di spettacolare suggestione, con il bagliore delle fiamme che squarcia l’oscurità della notte, è accompagnata dalla voce di Elio Germano che recita i versi di una delle più sublimi composizioni del poeta di Recanati, La ginestra. È l’ultima, emozionante sequenza de Il giovane favoloso, il film scritto e diretto da Mario Martone a quattro anni di distanza dai consensi riscossi con Noi credevamo, e proiettato in concorso alla 71° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Un ritratto del poeta di Recanati - dallo “studio matto e disperatissimo” dell’infanzia e dell’adolescenza fino agli ultimi giorni di vita in una Napoli devastata dal colera - che aggira il didascalismo tipico delle convenzioni dei film biografici grazie alla sua capacità di esplorare la complessità della poetica leopardiana ed il suo approccio, problematico e problematizzante, rispetto ai dilemmi dell’esistenza.

Ritratto dell’artista da giovane

Il Leopardi ritratto da Martone, ed impersonato da un Elio Germano assolutamente ammirevole per il livello di intensità e di immedesimazione, è un individuo in perpetua lotta contro il proprio tempo, nonché contro i limiti imposti da una condizione fisica che ha minato la solidità del corpo, ma non quella di uno spirito caratterizzato da una straordinaria luminosità ed acutezza. Una guerra le cui ferite vengono scontate da Leopardi sulla propria pelle: su quella gobba che si fa via via più gravosa e che, con il trascorrere degli anni, lo rende sempre più curvo e deforme. Dalle viuzze fredde e nebbiose di Recanati alle stanze della casa paterna, immerse in un’inesorabile penombra, Il giovane favoloso ripercorre il conflittuale rapporto fra un Giacomo ancora ragazzo e l’esigente Monaldo Leopardi (Massimo Popolizio), nonché l’origine del legame di ammirazione reciproca con lo scrittore piacentino Pietro Giordani (Valerio Binasco), colui che per primo intravede l’enormità del talento del giovane Leopardi, incoraggiandolo a rispondere alla propria vocazione e ad assumere piena consapevolezza del valore dell’arte e della poesia come unica, possibile risposta alla sofferenza umana.

Il naufragar m’è dolce in questo mare

Ma Il giovane favoloso, al di là del racconto biografico e delle fugaci (ma impeccabili) citazioni di alcuni tra i versi più celebri e significativi del canone leopardiano, è un’opera in grado di distinguersi anche per l’encomiabile funzionalità di una messa in scena che non si accontenta di adagiarsi su uno scontato accademismo, ma aderisce quanto più possibile alla prospettiva del protagonista, innescando una tensione drammatica che scorre latente lungo tutto l’arco del film. E l’empatia, mai ricercata ricorrendo ai toni patetici, è ottenuta invece attraverso la profondità dello sguardo del regista: il quale lascia affiorare tanto le sommesse frustrazioni di Leopardi, evidenti pure nella sua relazione con l’amico Antonio Ranieri (Michele Riondino), del quale scruta con silenziosa invidia il corpo nudo ed atletico emergere dalla vasca; quanto la coraggiosa ribellione contro le “magnifiche sorti e progressive”, in virtù di un’implacabile lucidità e della granitica determinazione nel non voler scendere a compromessi con le illusioni e le ipocrisie di un secolo non ancora pronto ad accettare la portata di un pensiero poetico e filosofico dall’impatto così fragoroso e dirompente.

Il Giovane Favoloso Accolto da calorosi applausi alla sua presentazione al Festival di Venezia 2014, Il giovane favoloso ci restituisce un ritratto intimo e suggestivo della figura di Giacomo Leopardi, al quale presta il volto un Elio Germano ammirevole per la capacità di immedesimazione, non soltanto fisica, con il poeta di Recanati; mentre il regista Mario Martone riesce a far emergere le tensioni e i conflitti della vicenda biografica di Leopardi grazie ad una messa in scena efficacissima e ad una sapiente costruzione drammaturgica.

8

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