Recensione L'Altra Heimat - Cronaca Di Un Sogno

Dopo aver ripercorso la storia tedesca del Novecento nell’acclamata trilogia originale, il regista Edgar Reitz ci riporta nell’immaginario villaggio di Schabbach con un ulteriore capitolo della sua straordinaria saga familiare

Recensione L'Altra Heimat - Cronaca Di Un Sogno
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Scritta e diretta dal regista tedesco Edgar Reitz, la trilogia di Heimat ha rappresentato uno dei vertici della cultura europea degli ultimi trent’anni, nonché uno fra i progetti più ambiziosi e complessi che si pongano al confine fra narrazione cinematografica e televisiva. Il primo Heimat, composto da undici film per un totale di oltre quindici ore di durata, fu proiettato per la prima volta al Festival di Venezia del 1984, accolto dall’entusiasmo della critica e dei cinefili. Heimat, termine tedesco per “patria”, si riferisce alla terra d’origine, alle radici che legano ciascun individuo al passato familiare, ma anche al proprio entroterra sociale e geografico: un retaggio che ogni essere umano continua a portare dentro di sé, e che influirà inesorabilmente sulle sue future scelte di vita. Su questo tema, Reitz ha costruito una suggestiva cronistoria della Germania del Novecento raccontando le vicende private degli abitanti di Schabbach, un’immaginaria cittadina dell’Hunsrück, e in particolare della famiglia Simon: un’autentica saga ripresa successivamente in due ulteriori capitoli, Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza (1992) ed Heimat 3 - Cronaca di un cambiamento epocale (2004), nei quali veniva illustrata invece l’esistenza di un personaggio in particolare, il musicista Hermann Simon.

Saga generazionale

Ora, a quasi trent’anni di distanza dal primo Heimat, Edgar Reitz ci riporta fra le solitarie stradine di Schabbach con un nuovo episodio del suo magnum opus: Die Andere Heimat (“L’altra Heimat”), presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2013 ed inserito nella selezione ufficiale del Toronto International Film Festival (con il titolo Home from home). Un ritorno a Schabbach che costituisce al contempo una sorta di viaggio nel passato: se infatti lo Heimat originale prendeva come punto di partenza il 1919, dalla conclusione della Prima Guerra Mondiale, Die Andere Heimat si spinge addirittura al 1843, adottando come focalizzatore della narrazione il personaggio di Jakob, interpretato dal giovanissimo e talentuoso esordiente Jan Dieter Schneider. Figlio di Margarethe, che ha il volto dell’attrice Marita Breuer (già protagonista di Heimat nel ruolo di Maria Simon), e fratello minore di Gustav (Maximilian Scheidt), Jakob incarna la dicotomia fra il mondo contadino, con il duro lavoro nei campi e gli antichi rituali trasmessi di generazione in generazione, e l’ansia cognitiva di chi sa puntare lo sguardo oltre i ristretti orizzonti del proprio ambiente, motivato dal desiderio di una conoscenza in grado di valicare i confini territoriali.

Jakob e la Terra Promessa

Jakob, emblema del “nuovo”, di una gioventù ansiosa di spingersi oltre i limiti imposti da una condizione sociale che rasenta la miseria, diventa così il veicolo privilegiato attraverso il quale lo spettatore arriva ad immergersi nella durissima realtà di questo sperduto villaggio della Prussia di metà Ottocento. Una realtà in grado di assumere uno straordinario senso di concretezza, grazie ad un’impeccabile ricostruzione d’epoca (pur lontana da qualunque ombra di accademismo), ad una cura maniacale per i dettagli e alla capacità, da parte di Reitz, di restituire alla perfezione non solo l’atmosfera di un tempo passato e ormai lontanissimo, ma anche il suo modus vivendi, messo in scena in tutte le sue innumerevoli sfumature. Un risultato di eccezionale immedesimazione, al quale contribuisce il lavoro degli scenografi Toni Gerg e Hucky Hornberger e la sublime fotografia di Gernot Roll: un magnifico bianco e nero interrotto da rarissimi sprazzi di colore (il verde di una pianta, il rosso di una fiamma, le rifrazioni cromatiche di un’ametista), secondo un realismo che tuttavia si coniuga felicemente anche con sequenze dal taglio quasi lirico.

Un luogo da chiamare 'patria'

Al nucleo di Die Andere Heimat ritroviamo in fondo il tema primario già al centro delle precedenti opere di Reitz: la spinta centripeta, frutto dell’appartenenza ad una famiglia e ad una comunità, a cui si contrappone la spinta centrifuga nata dal desiderio di scoprire una nuova heimat, una seconda patria da conquistare e far propria; come nel caso dei fratelli Jakob e Gustav, per il quale il Brasile assurge a ideale “terra promessa” in cui poter innestare la propria vita adulta (benché al costo di un distacco quanto mai doloroso dalla patria precedente). Non tutti, alla fine, troveranno la forza di lasciare i propri familiari e partire alla volta di continenti sconosciuti, ma tanto Jakob quanto Gustav offriranno il rispettivo contributo ad un futuro - un futuro individuale, ma anche il futuro di un popolo - in costante evoluzione. E la parabola di Jakob, animato da una passione scientifica che si manifesta nella genuina meraviglia per una piuma scivolata dalle ali di un uccello, riesce a coinvolgere ed emozionare chiunque voglia abbandonarsi alla narrazione-fiume di Reitz - a maggior ragione in quanto la visione di Die Andere Heimat non implica necessariamente la conoscenza degli altri film della serie. E anche oggi, come 29 anni fa, possiamo constatare come Heimat sia davvero uno dei veri grandi eventi del Festival di Venezia... assolutamente imperdibile.

L'Altra Heimat - Cronaca Di Un Sogno Dopo aver ripercorso la storia della Germania del Novecento nell’acclamata trilogia di Heimat, il regista Edgar Reitz ci riporta nell’immaginario villaggio di Schabbach con un ulteriore capitolo della sua straordinaria saga familiare, raccontando la vita quotidiana, le aspirazioni e i primi amori del giovane Jakob e degli altri membri di una piccola comunità contadina, in una narrazione-fiume tanto suggestiva quanto appassionante.

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