Recensione L'esplosivo piano di Bazil

Il nuovo film del regista di Amelie

Recensione L'esplosivo piano di Bazil
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Nel 2001 Jean-Pierre Jeunet incantava il pubblico di mezzo mondo con il sognante personaggio di Amélie Poulain, mentre qualche anno dopo, ricostruiva la prima guerra mondiale attraverso l'affresco multicromatico, a metà tra dramma personale e sociale, di Una domenica di passioni (protagonista sempre la Audrey Tatou lanciata al successo dal film precedente). Ora, a distanza di cinque anni Jeunet torna sul grande schermo affidando a DanyBoon (reduce dall'internazionale successo registico di Giù al Nord) il ruolo di una smarrita esistenza che metterà in gioco tutta la sua anarchica genialità per contrastare forze capitalistiche monumentali. La classica lotta di Davide contro Golia dunque, che rivive in chiave moderna ne L'esplosivo piano di Bazil, seguendo lo stile caratteristico del regista francese, che tra straripante creatività, comicità nera e cupo surrealismo, confeziona un'opera dall'anima bivalente: da un lato maniacalmente raffinata e colta, dall'altro difficilmente fruibile per il suo stile fortemente rapsodico.

L’eccentrico mondo di Bazil

Il cinefilo Bazil (lavora in una videoteca e recita le battute dei film a memoria) non ha una grande fortuna con le armi. Da piccolo ha perso il padre per via di una mina antiuomo nel deserto del Sahara, e oggi, a distanza di anni, è rimasto gravemente lesionato da un proiettile che gli si è conficcato nel cervello e che il chirurgo, affidando la decisione al caso di una moneta, ha deciso di non asportare, ma che potrebbe nondimeno causare da un momento all'altro la morte di Bazil. Per via dell'inopinato incidente, l'uomo ha perso in un sol colpo casa e lavoro, e ora si ritrova a girare per una Parigi periferica fatta di clochard e mimi da strada senz'arte (i primi) né parte (i secondi), munito solo del suo inesauribile buonumore. Finché non s'imbatterà in una scombinata combriccola di eccentrici rigattieri, che abitano in una grotta 'di Ali Babà' circondati dagli oggetti più stravaganti, e sono sette proprio come i nani di Biancaneve; come loro hanno nomignoli che svelano il loro bizzarro e straordinario talento: c'è Calculator (calcola e misura ogni cosa con un'occhiata), la cuoca e amorevole madre del gruppo Mama Chow, il geniale artigiano Tiny Pete, Buster (detentore del record come palla di cannone umana), Remington (un simpatico nero che parla solo per proverbi e vecchi adagi) e la contorsionista Elastic Girl ("un'anima sensibile in un corpo flessibile"). Bazil entrerà a far parte della loro grande ed eccentrica famiglia e, dopo aver per caso individuato le due società costruttrici delle armi che hanno così crudelmente cambiato le sorti della sua vita, metterà su, insieme all'improbabile combriccola di talentati robivecchi, un piano per mandare a rotoli le due aziende multimilionarie che proliferano giorno dopo giorno grazie alla morte e al dolore altrui. Infine, la vitalità umana di questi ‘reietti' di società, supportati dalla loro disordinata follia, riuscirà a fronteggiare le amorali quanto perfette macchine sforna-soldi avversarie, capeggiate dalla perversa perfezione esistenziale dei due ‘mercanti di morte' (uno colleziona reperti fisici di grandi nomi della storia, da Churchill a Mussolini; l'altro venera la sregolatezza di Rimbaud) che le guidano senza scrupolo alcuno.

Un ammaliante intrico di creatività

C'è uno spesso fil rouge che lega insieme e traina tutti i film di Jeunet, sia che si tratti delle gotiche atmosfere di Delicatessen o di quelle sognanti del Meraviglioso mondo di Amélie. Tutto il magma narrativo, una massa quasi informe di idee, sincronismi e sincretismi narrativi, giochi di parole e d'inquadrature, citazioni filmiche (qui si passa da Il grande Sonno a C'era una volta il West), e personaggi molto sopra le righe ma estremamente caratterizzati e affascinanti, ruota attorno a protagonisti ingenui o fin troppo savi che sfidano le regole dei mondi alterati in cui si trovano opponendovi la loro sconfinata voglia di onestà: morale e intellettuale. Ma c'è anche un altro archetipo sempre presente nei film di Jeunet, ed è il fato, spesso perfido e irriverente, che vessa i protagonisti in attesa di una loro reazione, che poi si materializzerà con la deflagrante rivelazione della missione che li attende. A questo schema non fa eccezione L'esplosivo piano di Bazil, in cui il forte debito verso le bande dessinée francesi, i registi visionari e sovversivi del calibro di Terry Gilliam, Tim Burton o i fratelli Coen, ma anche la mimica goffeggiante di Chaplin o Jacques Tati, si coniuga all'afflato poetico (percepibile anche nella seppiata fotografia atemporale) alla straordinaria capacità del regista di tirare fuori dal cilindro magico della sua fantasia congerie di individui squinternati con una loro fiabesca tipicità.

Micmacs à Tire-larigot

Il fervore immaginifico di Jeunet mette in scena (a partire sin dal titolo originale Micmacs à Tire-larigot che si rifà a un modo di dire che incitava a far uscire il vino dalle bottiglie come fosse un suono) con L'esplosivo piano di Bazil la più classica dicotomia tra bene e male, tra vittime e carnefici, inquilini di un mondo tanto surreale quanto tristemente somigliante alla nostra società del consumo ossessivo, delle guerre perpetrate in virtù degli interessi economici, dei ricchi che si nutrono dei poveri (quasi in linea con i palazzinari cannibali di Delicatessen). Nell'incedere a tratti schizofrenico, a tratti delizioso di questo film, entra in gioco la denuncia di una società cinica e spietata, che colleziona soldi e ammennicoli sacrificando le vite di quella parte di mondo più sfortunato; una società che si svela confusionaria, ingiusta e folle come l'esplosivo mondo dipinto da Jeunet, attraverso la sua pregnante allegoria favolistica. E se la fiaba, di qualche tono meno nera di Delicatessen e decisamente meno amena de Il favoloso mondo di Amélie, si perde ogni tanto in qualche deriva narrativa, nella maniacale precisione scenica, o nel sobborgo esistenziale di personaggi fin troppo caratterizzati che fagocitano la trama, basta la geniale allure di qualche scena e del grottesco epilogo o la poesia di un abito che piroetta leggiadro (l'ultima creazione di Tiny Pete) per scacciare quel senso di caotica incompiutezza che ogni tanto trapela e lasciarsi rapire dalla commedia agrodolce, garbata e ricca di esilaranti espedienti e momenti quasi epifanici che va in scena davanti ai nostri occhi. Merito anche di un ingenuo quanto incisivo Dany Boon e di una pletora di comprimari fantastici (dall'attore feticcio di Jeunet, Dominic Pinon nei panni dell'uomo palla di cannone, all'eminentemente cinico André Dussolier magistralmente interpretato da Nicolas Thibault Fenouillet).

L'esplosivo piano di Bazil Con l’occhio rivolto a eminenti fonti d’ispirazione (da Terry Gilliam a Charlie Chaplin tanto per citarne un paio), il regista francese Jean-Pierre Jeunet (giunto al successo con Il favoloso mondo di Amelie, film dall'estetica immaginifica che condivide con quest’ultimo lavoro molta della poetica del regista) realizza un film che è una cuccagna di situazioni e personaggi il cui fascino sta proprio nel loro essere genuini e paradossali. Un’opera che avanza rapsodica come una mina vagante e che, nonostante la ricorrente sensazione di smarrimento, si rivela infine una deliziosa e lunatica fiaba nel contempo noir e ingenua, e che si muove sulle tracce di una giustizia sociale che, negata dal mondo, va inseguita mettendo in campo la giusta dose di ingegnosa follia e da parte la razionale necessità di rimettere ogni tassello narrativo al proprio posto, rompendo i rigorosi vincoli della logica narrativa.

7

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