Recensione La bicicletta verde

La giovane Wadjda vuole comprare una bella bicicletta verde e battere il suo amichetto, ma per farlo deve vincere una gara...

Recensione La bicicletta verde
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E’ appena uscito nelle sale italiane La bicicletta verde di Haifaa Al-Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita e, in generale, una delle figure di spicco della cinematografia nazionale. Regista audace, con i suoi cortometraggi e documentari ha dimostrato una certa capacità, oltreché il coraggio a trattare argomenti delicati come la tolleranza, il ruolo della donna, il fondamentalismo e i rischi dell’ortodossia. Il titolo in uscita questo finesettimana in sala è una summa degli ideali e dell’impegno di Haifaa contro i luoghi comuni e i tradizionalismi, e rappresenta senz’altro l’aspetto più interessante del film, che per il resto è, purtroppo, strutturato debolmente e danneggiato da un pessimo doppiaggio.

TROPPO CARA PER TE

Wadjda (Waad Mohammed, prima esperienza sul grande schermo) è una ragazzina vivace ed estroversa della periferia di Riyāḍ, capitale dell’Arabia Saudita. Ribelle a suo modo, non incline ad abbassare il capo di fronte a nessuno, veste Converse All Stars sotto la tunica nera, dimentica frequentemente di coprirsi col velo, vende trecce colorate alle compagne (scoubidou), battibecca con gli altri ragazzini e tenta di essere più forte di loro. Una piccola furia esplosiva nel tradizionalismo imperante dell’ambiente in cui vive, non a caso spesso in difficoltà con la preside della sua scuola, la fondamentalista Hussa (Ahd Kamel, popolare attrice e regista attiva perlopiù a New York), e con la madre (Reem Abdullah), benché più flessibile. A complicare la vicenda per Wadjda, già mal vista a scuola, è la sua nuova ossessione: comprare la bicicletta verde del negozio sotto casa per poter gareggiare con l’amico Abdullah (Abdullrahman Al Gohani) e batterlo in corsa. Due sono i problemi: da una parte, non è tollerato che le donne vadano in bicicletta (se vogliono sperare di sposarsi, un giorno), dall’altro, la bicicletta costa 800 riyāl, circa 165 €. Una somma enorme per la piccola Wadjda, che tuttavia non si perderà d’animo e comincerà a cercare tutti i modi per tirare su la grana. Fino alla svolta: una gara di canto del Corano con un montepremi di 1.000 riyāl. E’ l’occasione che stava aspettando. Ora però deve farsi riammettere alla classe di religione da cui era stata espulsa, imparare a leggere e a cantare il Corano, superare un quiz a domande strettamente religiose.

NON OLTRE LA PORTA

Affresco della decadenza di tradizionalismi e stringente ortodossia, grande protagonista del film è la donna in senso generale. Gli uomini in questo film sono marginali, visti perlopiù da lontano, quasi inerti e incapaci del leggiadro vivere della femmina. Da Abdullah, ragazzino senza polso in lite con Wadjda, fino al padre che si sposa in seconde nozze con un’altra donna più per sua vigliaccheria e dispotismo della nonna paterna, passando per l’amante della preside Husse fino ad arrivare allo zio di Abdullah, un politico semidimenticato, e all’amante della giovane e bella Abeer, la figura maschile è inclina ai vizi, pressoché priva di spessore, incapace di assumersi responsabilità o di superare i tradizionalismi. Le donne del film non sono per forza migliori, ma sono certamente più dinamiche e affiora percettibilmente la volontà di infrangere il claustrofobico ambiente maschilista. Se Wadjda è senz’altro il personaggio positivo per eccellenza, speranzoso messaggio per nuove generazioni più aperte e per un futuro più roseo, ruoli più controversi spettano agli adulti: la madre è combattuta tra soffocante credenza religiosa e tentativi di riconquistare il marito vestendo uno sgargiante vestito rosso occidentalizzante; la preside Husse, fortemente tradizionalista (non tollera nemmeno che la voce delle ragazze si possa alzare, “non deve essere udibile oltre la porta della stanza”), viene pescata con un amante che lei cerca di far passare come un ladro; la bella Abeer, studentessa più grande, è scandalosamente scoperta a sua volta con un amante, mentre l’amica della madre di Wadjda impiega poco tempo, nel suo nuovo ambiente di lavoro, per gettare il velo e cominciare a seguire nuove abitudini di vita. Spicca anche un dettaglio non trascurabile: in tutto il cast, i personaggi femminili sono perlopiù dotati di un nome, mentre tutti i personaggi maschili sono etichettati solo in relazione con i personaggi femminili (amante di Abeer, il padre, lo zio di Abdullah, il negoziante, e così via). L’unico vero personaggio maschile è il giovane Abdullah, figura positiva e, assieme a Wadjda, speranza per una generazione che possa rompere i tradizionalismi. Emblema di questa nuova, promettente generazione è il gareggiare in bicicletta tra i due bambini e, a dispetto delle minacce della madre “Nessuno ti sposerà se andrai in bicicletta”, le parole sincere di Abdullah: “Quando siamo grandi io voglio sposarti”.
Ciononostante, il film non è tutto rose e fiori. Il primo rammarico è per un doppiaggio scadente, che penalizza enormemente il lungometraggio, di cui consiglio la visione sottotitolata in lingua originale. Purtroppo però a furia di inserire trame e sottotrame si è rischiato di perdere di vista gli spunti più interessanti: l’escalation con cui Wadjda impara opportunisticamente i dettami del Corano solo per vincere i soldi per comprare la bicicletta è trascurata, benché ossatura principale del film. Anche le contraddizioni a scuola, i desideri delle giovane ragazze e le repressioni delle insegnanti, sono trattare di sfuggita. La fretta di creare quasi una piccola coralità di personaggi femminili rende difficile seguire e cogliere con la dovuta importanza la portata dei sottotesti: le seconde nozze del padre affiorano sottotono, gli amanti di Abeer e Husse si perdono nel flusso filmico, anche l’amica della madre non viene mostrata in tutto il suo dirompente consumismo. Non giova a tutto ciò una scrittura debole, con intrecci prevedibili, personaggi squadrati, azioni meccanicamente causa-effetto. Un film che resta interessante quindi solo per la sua riflessione sulle ristrettezze del mondo arabo e il nuovo grido di libertà della donna. Questo vuol dire molto, ma sarebbe stato di più grande portata con un risultato artistico di maggior livello.
Curiosità: in realtà c’è un secondo personaggio maschile dotato di nome proprio. Si tratta dell’autista, Iqbal (Mohammed Zahir), probabilmente pakistano. Anche se è una figura problematica del film, incarna una dinamicità e una volontà autonoma pressoché assenti negli altri uomini. Viene additato come “maleducato” da Wadjda, ma in realtà è l’unica persona a guardare i personaggi femminili a pari altezza e a portare con sé un altro trauma: il distacco dalla propria famiglia e dalla figlia, per venire a lavorare in Arabia Saudita. Non è forse un caso che si chiama Iqbal, come il ragazzo-simbolo della lotta contro la schiavitù in Pakistan.

La bicicletta verde Da vedere solo in lingua originale sottotitolato, ma assolutamente non con il pessimo doppiaggio italiano, è un’interessante riflessione sulla cultura e l’ambiente arabo. Il rammarico per un lavoro artistico e finzionale all’altezza dell’audace occhio indagatore della regista Haifaa Al-Mansour è forte, perché in parte rovina la buona riuscita di un film che vuole spiegare le ali e lanciare un appello di libertà e coraggio, il desiderio di ribellarsi ai limiti imposti della società. Più adatto a un cineforum che a una distribuzione su larga scala.

5.5

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