Recensione Le Cronache dei Morti Viventi - Diary of the Dead

Gli Zombie di Romero non mordono più.

Recensione Le Cronache dei Morti Viventi - Diary of the Dead
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Una Notte indimenticabile.

Nel 1968 George Romero prese a morsi il cinema, lo cannibalizzò lacerandone le carni con violenza inaudita, lo uccise e lo fece rinascere con La Notte dei Morti Viventi, un film il cui “peso” storico ed artistico è ormai fuori discussione. Erano i tempi delle rivolte studentesche, del Vietnam e dei tumulti urbani (come il tristemente celebre 12th Street Riot di Detroit), in cui l’America wasp e agiata mostrava il suo lato più terribile, sedando nel sangue le ribellioni del proletariato di colore mentre la televisione iniziava ad avere un ruolo sempre più rilevante nel testimoniare le nefandezze delle autorità.
Prima del film di Romero, il cinema di genere americano aveva già sfruttato a dovere certe paure direttamente partorite dalla guerra fredda, filiazione diretta della scissione dell’atomo, catarticamente rivissuta tramite B-Movie brulicanti di formiche giganti e uomini rimpiccioliti dalle radiazioni, in cui le sterminate platee dei cinema e dei drive-in potevano sfogare le loro ansie nucleari fra un pop corn e l’altro. Romero, col suo film girato nei dintorni di Pittsburgh nell’arco del 1967, strappò via le interiora di un pubblico che normalmente assiepava le poltrone dei cinema per provare quel misto di paura e divertimento (ra)assicurato fino a quel momento dalle pellicole horror e sci-fi. La sua Notte dei Morti Viventi, con quella regia guerrilla style così in anticipo sui tempi, era un film di denuncia d'inaudita forza, una riflessione sulle paure di una nazione che cominciava ad interrogarsi riguardo agli orrori, ben più reali della guerra nel Vietnam e sulla segregazione razziale.
Nel corso del tempo, il regista ispano-americano, ha ampliato la sua critica visione del mondo, derivata dalle sue ferme posizioni cattoliche e di sinistra, con i successivi episodi della saga, Zombi, Il Giorno degli Zombi e La Terra dei Morti Viventi, fino ad arrivare a realizzare, alla tenera età di 68 anni il quinto capitolo del suo gigantesco pamphlet contro la società moderna, ovvero Diary of the Dead. Il morso degli zombie sarà doloroso come quaranta anni fa?

I Morti Viventi arrivano in Italia.

Movieye è lieta di riportare all'attenzione dei propri lettori la recensione di "Diary of the Dead" apparsa sulle pagine del sito giusto un anno fa. Minerva Pictures, PFA e Sharada stanno infatti per rilasciare nelle sale itaiane, a partire da questo venerdì 30 ottobre, il film di Romero. Si tratterà di una release limitata quindi tenete d'occhio le programmazioni cinematografiche.

The Death of the Death.

Il film si apre con le agghiaccianti riprese fatte dal cameraman di un broadcast channel americano: una missione di soccorso per una lite domestica in una famiglia d’immigrati, terminata con uno scontro a fuoco e due morti, si sta per tramutare in tragedia per gli stessi soccorritori e per i giornalisti che stanno commentando l’accaduto, perché i due protagonisti della lite si rialzano dalla barella aggredendo i presenti.
Successivamente, le immagini, sempre in presa diretta, si spostano in un poco rassicurante bosco nei dintorni di Pittsburgh dove uno studente universitario di cinema, Jason (Joshua Close)sta girando, insieme ad altri colleghi di corso e al suo professore di cinema, un horror film amatoriale ispirato a La Mummia. Ad un tratto apprendono da un notiziario radio che si stanno verificando un po’in tutto il paese diversi episodi di violenza inaudita: in cui i morti ritornano in vita attaccando il prossimo. Il gruppo decide di ripartire a bordo del Winnebago col quale erano andati fuori città perché ognuno vuole raggiungere la propria famiglia premurandosi che tutto vada bene, ma prima di inziare il viaggio, passano al campus per recuperare la fidanzata di Jason, Debra (Michelle Morgan). Durante la loro fuga, ossessivamente ripresa e documentata in soggettiva dalla telecamera di Jason e da un secondo apparecchio usato da diversi membri della compagnia, diventeranno loro malgrado testimoni e narratori del dramma che si sta consumando e che forse segnerà la fine del genere umano.

It’s just another Scary Movie.

Quarant’anni fa Romero dettava le regole del nuovo cinema horror in cui le finte interiora ricoperte di Bosco Chocolate Syrup erano i catalizzatori delle ansie di un paese, gli Stati Uniti, che stava cominciando a fare i conti col proprio passato razzista i cui prodromi erano tutt’altro che affievoliti e con un presente in cui gli animi si stavano interrogando sulla legittimità di una guerra raccontata in diretta tv che stava costando tante vite di giovani americani.
Nel corso del tempo, il j’accuse romeriano è stato ampliato in modo più o meno riuscito coi successivi capitoli della saga, fino ad arrivare a questo Diary of the Dead, in cui Romero riscopre il piacere della produzione indipendente (il film, costato due milioni di dollari, è stato prodotto dallo stesso regista e dal produttore Peter Grunwald), contrariamente a La terra dei Morti Viventi, realizzato grazie al budget improntato da Universal Studios, decisa a cavalcare l’onda del successo avuto da Dawn of the Dead, l’ottimo remake di Zombi firmato Zack Snyder.
La scelta di raccontare la vicenda in soggettiva, attraverso le riprese effettuate dagli stessi protagonisti del film, rappresenta il limite più evidente di un film in cui l’impronta registica di Romero non è minimamente in grado di rispolverare i fasti del passato, nonostante la situazione produttiva indie che tanto si confà al cantore dei non morti.
Contrariamente a moderni capolavori dell’orrore e della fantascienza contemporanea come Cloverfield e [Rec] capaci di trasmettere tensione e d’intabulare senza essere ridondanti delle approfondite riflessioni sulla mania polimediatica che affligge l’homo sapiens sapiens 2.0 grazie ad una regia e a una narrazione coerente dall’inizio alla fine del film, Diary of the Dead appare fin da subito insistente, privo di radicalità e organicità nella sua tragica mancanza di polso cinematografico. Del tutto ingiustificata è la scelta evidenziata in apertura di mostrare i fatti tramite un successivo rimontaggio del filmato di Jason fatto della sua ragazza che, per evidenziare gli aspetti drammatici della storia, inserisce effetti e musiche "con lo scopo di spaventarci". Tramite l’espediente della voce narrante di Debra, che diviene in sostanza l'emanazione della voce accusatoria di Romero, alcune sequenze del film serviranno solo a lanciare dei tediosi sermoni sulla pervasività e invadenza dei media e sulla voracità dei loro fruitori. Tutto il film diventa una banale allegoria, un facile parallelismo fra l'ingordigia dello zombie e l’utilizzo morboso e acritico di yotube e facebook, dato che il mondo e gli strumenti dell’informazione sono semplicemente l’ennesimo arnese posseduto e creato dall’uomo per dimostrare ancora una volta che homo homini lupus; l’accusa mossa da Romero però è talmente manichea e retorica da risultare di difficile sopportazione. Per tutta la durata del film, dovremo assistere e sorbire forzati parallelismi fra il cannibalismo della macchina da presa e la cieca fame dello zombie, ad una sostanziale affermazione d’identità fra lo “shoot” della telecamera e quello della pistola. Per Romero non sembra esserci una distinzione netta fra chi spara ad una persona con un’arma da fuoco e chi riprende l’accaduto.
Oltre ad una valutazione che, condivisibile o meno, appare davvero troppo di parte per risultare plausibile, la regia appare stanca, incapace di reggere dall’inizio alla fine una cifra stilistica che negli altri film citati diviene il vero e proprio punto di forza unendo l’estetica finto-amatoriale ad un sapiente utilizzo dei mezzi che il racconto cinematografico consente tanto in termini allegorici quanto narrativi. In Diary of the Dead, il regista si giustifica continuamente, come a voler sottolineare che quello che si sta osservando è un film, piuttosto che il disperato racconto di qualche (s)fortunato sopravvissuto. I colpi di scena sono telefonati, prevedibili e gli zombi tornano a camminare a passo di lumaca, uscendo ancor più putrefatti da un confronto con i centometristi di 28 days later e relativo seguito. I non-morti hanno una valenza ontologica quasi nulla in questo film, dato che non trasmettono paura e servono solo ed esclusivamente ad instaurare quel rapporto identitario accennato poc’anzi. Lo stesso afflato di libertà, gli accenni empatici dei rantoli di un Big Daddy che vede i suoi compagni zombi torturati dai vivi, scompaiono del tutto in questo nuovo tassello della saga, dato che la critica è unicamente rivolta alla cupidigia morbosa dell’utilizzatore medio del web 2.0.
Contribuisce ad aumentare il fragore di questo rovinoso scivolone artistico, la pochezza di un cast di sconosciuti le cui doti recitative sono direttamente proporzionali alla grandezza della loro fama: le performance sono davvero poco credibili e la forzata esasperazione di certi passaggi, unita alle nuance davvero troppo stereotipate dei sopravvissuti all’ecatombe, lascia davvero sbigottiti, tanto che viene quasi da rimpiangere la proverbiale monoespressione di Asia Argento in Land of the Dead.

Diary of the Dead Il bardo dell’horror revolucionario, il vero ed autentico padre dello zombie no-global confeziona un film smaccatamente ridondante nel suo continuo accostamento tematico fra homo mediaticus e non-morto che non trova degli spiragli di luce neanche nelle scelte di regia adottate. Laddove film come Cloverfield o [Rec] riescono a trasmettere un senso di tensione costante grazie alla coerenza stlistica che rimane tale dall’inizio alla fine, filmando l’orrore in presa diretta ed annullando lo spazio rassicurante e protettivo che normalmente circonda lo spettatore di un film, Romero non ha l’ardire d’affondare il coltello nel cranio dello zombie e ci ricorda con mezzucci piuttosto banali per un maestro della sua caratura (effetti sonori aggiunti dalla “montatrice” del reportage, la noiosa voce narrante) che, alla fin fine, stiamo guardando un semplice film e non l’accorato lascito visivo di un manipolo di disperati che, almeno per un po’, sono riusciti a sfuggire all’apocalisse. Sperando che con il prossimo capitolo della saga (a quanto pare già confermato dallo stesso regista) il Master of Horror possa tornare ai fasti d’un tempo, non ci resta altro che constatare come, ahinoi!, gli zombie di Romero abbiano ormai perso tutto il loro mordente.

4

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