Recensione Mateo

Arriva anche in Italia il primo lungometraggio della colombiana María Gamboa

Recensione Mateo
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"Mentre giravo una serie televisiva sulla tutela degli adolescenti che entrano nei conflitti armati, ho viaggiato in diverse parti della Colombia e sono stata colpita dallo scoprire che, quando gli adolescenti coinvolti in situazioni di violenza e di vulnerabilità avevano contatti, sia pur minimi, con gruppi artistici, le loro vite potevano essere salvate".
Reduce dal cortometraggio 20 Mil (2006), vincitore di numerosi premi e che era stato preceduto da lavori come montatrice, produttrice e assistente alla regia in short e mediometraggi durante la permanenza negli Stati Uniti e in Francia, la regista María Gamboa, nata a Bogotá nel 1973, sintetizza così le motivazioni che l'hanno portata alla realizzazione di Mateo, suo primo lungometraggio; il cui personaggio del sacerdote, a quanto pare, è ispirato a Guido Ripamonti, attore, regista e drammaturgo che opera presso il Centro Culturale Horizonte, in Colombia, in aree marginali.
Infatti, prosegue: "Durante quel periodo, ho ascoltato un importante attivista per la pace, un sacerdote gesuita, parlare della forza della gente della valle di Magdalena Medio. Ha raccontato come molti di questi uomini e donne pieni di coraggio avessero scelto di restare nel loro territorio, nonostante tutti i suoi difetti e, mantenendo la loro dignità, fossero stati capaci di ritagliarsi un'esistenza pacifica in un contesto di violenza".

Romanzo criminale di un giovane povero

Ed è Carlos Hernández - proveniente dalla serie tv Zorro: La espada y la rosa (2007) - a concedere anima e corpo al sedicenne del titolo, il quale raccoglie il denaro frutto di estorsioni per conto dello zio e lo usa per aiutare la madre, ovvero Miriam Gutiérrez, insieme a cui vive in un quartiere povero e violento lungo la valle del fiume Magdalena e che accetta a malincuore quei soldi guadagnati in maniera illecita.
Del resto, è nella tanto soleggiata quanto tutt'altro che ricca realtà colombiana che, con estrema delicatezza, s'immerge la camera della Gamboa, destinata a mostrare il giovane protagonista che, al fine di non essere espulso dalla scuola, accetta di frequentare un gruppo teatrale locale diretto da padre David alias Felipe Botero, coraggioso sacerdote molto attivo nel recupero sociale degli adolescenti.
Perché, mentre Mateo, si trova a dover compiere scelte difficili messo sotto pressione dallo zio, che insiste nel chiedergli di trovare informazioni incriminanti sugli attori, è proprio la tematica della gioventù sbandata ma recuperabile nonostante le non facili situazioni sociali a dominare la oltre ora e venti di visione.
Con minacce di morte dietro l'angolo, l'unione che fa la forza contro qualsiasi avversario e, soprattutto, l'azzeccata scelta dei volti atti a popolare un attualissimo spaccato da schermo relativo all'odierna situazione giovanile colombiana, che sembra lasciare pochissimo spazio alla sensazione di finzione (sebbene lo sia) per testimoniare, invece, drammatiche verità in modo decisamente credibile.

Mateo Ambientato in un povero e violento quartiere lungo la valle del fiume Magdalena, in Colombia, Mateo, lungometraggio d’esordio di María Gamboa, racconta in finzione i disagi derivati da una certa gioventù coinvolta nella criminalità locale tirando in ballo, però, la figura realmente esistente di un sacerdote che non manca di dedicarsi al loro recupero. E lo fa con piglio talmente realistico che, per merito anche della buona prova del cast, si prova quasi l’impressione di assistere ad un documentario riguardante questa molto poco confortante zona del globo terrestre.

6.5

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