Recensione Nessuno Mi Può Giudicare

Esordio alla regia per l'attore e sceneggiatore Massimiliano Bruno

Recensione Nessuno Mi Può Giudicare
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Non fa in tempo ad arrivare nelle sale cinematografiche Tutti al mare di Matteo Cerami, che ecco spuntare un altro lungometraggio il cui titolo proviene direttamente da un successo musicale.
Questa volta, per l'esordio alla regia di Massimiliano Bruno - co-sceneggiatore di tutti i lungometraggi diretti da Fauso Brizzi, nonché attore da oltre dieci anni - si è deciso di partire da Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli, già al servizio dell'omonimo musicarello datato 1966 che, a firma di Ettore M. Fizzarotti, vedeva la nota cantante modenese nei panni di una commessa dei Grandi Magazzini affiancata dalla lady Morandi Laura Efrikian.
Ed è Paola Cortellesi a concedere anima e corpo alla superficiale, antipatica e classista trentacinquenne Alice, la quale, abituata a vivere in una bella villetta di Roma nord, si trova costretta a trasferirsi in un'abitazione popolare di periferia e ad improvvisarsi escort dopo l'inaspettata morte del marito, imprenditore nel ramo dei sanitari, che l'ha lasciata con un fortissimo debito da saldare e con lo spauracchio che i servizi sociali le portino via il figlio di nove anni Filippo, interpretato dall'esordiente Giovanni Bruno, figlio del regista. Attività per la quale viene istruita dalla professionista Eva alias Anna Foglietta, che la introduce nel cosiddetto "mondo che conta", popolato da artisti, politici, imprenditori, personaggi sportivi e tutta la vasta gamma di clienti tipici delle signorine d'alto bordo.

Femmina contro maschi

Quindi, mentre apprendiamo insieme a lei, in maniera divertita, che bisogna sempre ridere con i politici di destra perché si devono sentire simpatici e che, invece, è necessario annuire con quelli di sinistra per farli risultare intelligenti, quella che prende progressivamente forma è una commedia volta sì ad intrattenere con leggerezza lo spettatore, ma anche a raccontare un processo di trasformazione personale profondamente legato all'incontro di due diverse classi sociali.
Perché nella vita di Alice non poca importanza finiscono per assumere gli abitanti del nuovo, tutt'altro che lussuoso quartiere in cui si trova ad alloggiare, dai quarantenni sposati senza figli Tiziana ed Enzo, rispettivamente con le fattezze di Lucia Ocone e del Pasquale Petrolo che meglio conosciamo come Lillo, al portiere del palazzo Lionello, razzista qualunquista splendidamente incarnato da Rocco Papaleo, destinato a suscitare risate fin dalla sua entrata in scena.
D'altra parte, mentre la protagonista fa anche conoscenza con Giulio alias Raoul Bova, insieme al quale ci regala perfino una stonata esibizione di Se mi vuoi di Pino Daniele, non è certo il divertimento a mancare nel corso dei 95 scorrevoli minuti di visione, ricchi di battute originali e gag memorabili, tra clienti a cui piace fare sesso travestiti da supereroi ed ironiche autocitazioni (si pensi al dvd hard Fotte prima degli esami).
Anche se alcuni dei momenti più memorabili vanno individuati nelle grottesche dichiarazioni d'amore che, per riconquistare il fidanzato tradito Biagio alias Valerio Aprea, mette di volta in volta in atto Sofia, interpretata da Caterina Guzzanti, la quale ricorre addirittura ad Amore mio grandissimo, trasmissione televisiva che si rifà in maniera evidente a Stranamore.
Insomma, se non si fosse capito, chi è rimasto parzialmente (o anche totalmente) deluso da Femmine contro maschi, può tranquillamente rifarsi con questo... senza pentirsene affatto.

Nessuno Mi Può Giudicare In un periodo storico tricolore dominato da intercettazioni telefoniche e scandali che vedono coinvolte le cosiddette escort, Massimiliano Bruno, co-sceneggiatore di tutti i lungometraggi di Fausto Brizzi, esordisce dietro la macchina da presa con una commedia in cui la mai disprezzabile Paola Cortellesi si trova costretta ad intraprendere proprio il lavoro più antico del mondo. Grazie anche ad un ottimo cast comprendente diversi talenti comici, ciò che ne viene fuori è un prodotto che, in un’epoca in cui risulta sempre più difficile sfoggiare il proprio sorriso dinanzi al grande schermo, diverte ininterrottamente per i suoi totali 95 minuti di durata, ritmati a dovere e mai noiosi. Con il solo rischio di lasciare intravedere (di sicuro involontariamente) una morale di fondo abbastanza discutibile, la quale sembra quasi voler giustificare il ricorso al “mestiere” per risolvere i problemi economici in quella che non pochi definiscono “l’Italia del compromesso”.

7

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