Recensione Open Grave

La tomba aperta di Gonzalo López Gallego

Recensione Open Grave
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L'inizio di tutto è legato alla sceneggiatura dei due fratelli Eddie e Chris Borey, la cui stesura originale cominciò a suscitare notevole interesse da quando, nel 2006, entrò a far parte della Black List.
Una sceneggiatura i cui temi rilevanti riguardano l'identità e la responsabilità e che ha portato i produttori William Green e Aaron L. Ginsburg a decidere di porre al timone di regia lo spagnolo Gonzalo López-Gallego, autore del thriller El rey de la montaña (2007), il quale ha dichiarato: "Volevo realizzare un bel film in cui accadessero cose orribili esplorando diverse patologie di persone sul punto di perdere il senno. Ciò che mi ha attratto della sceneggiatura è la perdita di memoria di tutti i personaggi e il modo in cui questo cambia totalmente la loro personalità, costringendoli a chiedersi chi siano".
Perché, in fin dei conti, è una normalissima questione su quanto la nostra memoria costituisca la nostra identità che Open grave intende esaminare al microscopio, tirando in ballo sei sconosciuti che, privati di qualsiasi ricordo, si trovano ad affrontare non solo i loro demoni interiori, ma anche quelli nascosti nel misterioso, isolato posto in cui si ritrovano.

Sharlto’s way

Infatti, si comincia con lo Sharlto Copley di District 9 (2009) che si risveglia all'interno di una fossa piena di cadaveri insanguinato e ridotto piuttosto male, per poi scovare una baita in cui si trovano cinque individui che, come lui, non hanno la minima idea né di chi siano, né di dove siano e di cosa sia accaduto al desolato ambiente che li circonda.
Una situazione di partenza che non può fare a meno di richiamare in un certo senso alla memoria quelle sfruttate nei vari Saw e derivati, ma che prende ben presto una direzione tutt'altro che vicina al filone del torture porn.
Perché, nella urgente necessità di risposte e cibo, i sei iniziano a farsi prendere dal panico e non mancano di rivoltarsi gli uni contro gli altri, man mano che scoprono che potrebbero non essere soli e che cercano di trovare il modo per sopravvivere nel ricostruire i fatti che li hanno condotti nella tragica situazione.

Sei personaggi in cerca di...

Quindi, è chiaro che, parallelamente ai protagonisti, la molla della curiosità non possa fare a meno di scattare anche nella testa dello spettatore, smanioso di scoprire cosa stia accadendo, mentre viene avvolto dalla cupa atmosfera conferita dalla fotografia di José David Montero e, complice l'incontro con una orrenda, zombesca megera incatenata ad un capanno abbandonato e circondata soltanto dai suoi escrementi, ci si addentra sempre più in un involucro di follia immersa in una tutt'altro che ospitale ambientazione rurale.
Involucro di follia che il regista costruisce in maniera decisamente efficace, tra ricordi destinati a poco a poco a riaffiorare e la non assenza di immagini disturbanti come quella dell'individuo che finisce incastrato nel filo spinato.
Del resto, sebbene l'operazione punti principalmente allo sviluppo di una tensione che, passo dopo passo, viene fatta salire con maestrìa, non sono splatter e violenza a mancare nel corso dell'oltre ora e quaranta di visione, impreziosita da un serrato ritmo narrativo che le permette di apparire piuttosto coinvolgente dall'incipit alla rivelazione finale.
Rivelazione che, in un periodo storico come l'inizio del XXI secolo, in cui il cinema della paura non sembra ridursi altro che a riproporre stancamente soluzioni viste e riviste, risulta decisamente nuova e forse mai sfruttata prima; tanto da finire per collocare la pellicola in un popolare sottogenere dell'horror che nessuno si deve permettere di citare per non rovinare la sorpresa a chi il film deve ancora vederlo.
Anche se qualche minuto in meno avrebbe ulteriormente giovato alla riuscita dell'insieme.

Open Grave Lo Sharlto Copley di District 9 (2009) ed Elysium (2013) si risveglia insanguinato e mal ridotto in una fossa piena di cadaveri, per poi trovare una baita al cui interno risiedono cinque sconosciuti - tra i quali la televisiva Erin Richards e il Thomas Kretschmann di Dracula 3D (2012) - che, come lui, non hanno la minima idea né di chi siano, né di dove siano e di cosa sia accaduto al desolato ambiente che li circonda. Cominciando da questa semplice idea di partenza che, in un certo senso, non avrebbe affatto sfigurato sfruttata in un episodio della mitica fanta-serie tv Ai confini della realtà, lo spagnolo Gonzalo López Gallego costruisce un serrato thriller a tinte fortemente horror capace di coinvolgere grazie alla curiosità di conoscere l’identità e la provenienza dei sei personaggi tirati in ballo. E lo fa immergendoli in maniera progressiva in un involucro di follia tempestato di ricordi destinati a riaffiorare e mostruosi incontri, fino alla originale rivelazione conclusiva di un’operazione che avrebbe funzionato ancora meglio se fosse durata un po' meno di un’ora e quarantadue minuti.

6.5

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