Recensione Sacro Gra

Il film vincitore di Venezia 70

Recensione Sacro Gra
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Cosa è il Grande Raccordo Anulare, chiamato in maniera abbreviata GRA?
Chi vive a Roma ne è sicuramente a conoscenza, ma, per gli altri, trattasi dell’autostrada tangenziale senza pedaggio che, classificata in maniera ufficiale come A90, circonda anularmente la capitale italiana.
Paesaggista-urbanista che si occupa dei luoghi che hanno perso la loro identità/memoria, Nicolò Bassetti, a Roma dal 2001, è stato immediatamente attratto dai margini di questa immensa distesa di asfalto, luoghi che sempre si attraversano e mai si vedono, cercando all’inizio un criterio per orientarsi, ma riuscendo solo a perdersi.
Dopo un anno di sopralluoghi, però, è nata in lui l’idea di percorrere quei territori a piedi, in solitudine, in un viaggio che lo ha portato a coprire trecento kilometri in venti giorni, con l’obiettivo di creare una mappatura di storie, paesaggi e persone del posto inesplorato.
Impresa in cui è stato guidato da Una macchina celibe, saggio a cura del compianto architetto Renato Nicolini, il quale lo ha giustamente definito “Gigantesco serpente cinetico, figlio del boom economico e della motorizzazione di massa, moderna muraglia che dal dopoguerra cinge la Città Eterna”.

Perdersi... per strada

Una esplorazione lenta e meticolosa nel regno dello spaesamento destinata a trasformarsi in una sorta di cammino laico alla ricerca del “Sacro Graal” del Raccordo e che, sotto la regia del documentarista Gianfranco Rosi, si trasforma in un collettore di storie a margine di un universo in espansione, lontano dalle scenografie canoniche di Roma.
Storie che vanno da quella di un nobile piemontese e sua figlia laureanda, assegnatari di un monolocale in un moderno condominio che si intrattengono con disquisizioni su tutto e nulla cercando di far passare il tempo e il caldo, alla antica e saggia filosofia di vita di un anguillaro romano di sette generazioni, il quale vive navigando e pescando sul fiume Tevere all’ombra di una serie di cavalcavia.
Passando per un barelliere del 118 impegnato in vere imprese eroiche al servizio dei comuni mortali e un botanico alla ricerca del rimedio per liberare le palme - che hanno, a quanto pare, la forma dell’anima dell’uomo - dall’invasione delle larve divoratrici, capeggiate dal devastante Punteruolo rosso che sta minacciando la sua intera oasi.
E non mancano neppure incontri con transessuali, giovani cubiste e non più giovani prostitute al lavoro nel corso della oltre ora e mezza di visione che, senza dubbio, individua il suo punto più divertente nel momento in cui assistiamo al set per un fotoromanzo allestito nel castello di un moderno principe che sorge ai margini di una periferia informe.
Momento in cui i fan dei b-movie nostrani potranno accorgersi anche della presenza di Hugo Baret, visto in Belle da morire (2002) e La tomba (2006) di Bruno Mattei, ma che, in mezzo a greggi di pecore e scorci di campagna più o meno urbana, non finisce altro che fagocitato in un tanto soporifero quanto lentissimo agglomerato di immagini che non sembrano riuscire nell’impresa di trasmettere sia le emozioni che i propri metaforici significati.
Tanto che potremmo usare per il film di Rosi, rendendo più adatti all’universo cinematografico alcuni termini, le stesse parole cui ha fatto ricorso Nicolini per definire il GRA: “Non produce alcuna organizzazione, non supporta nessuna struttura, esiste solo in funzione del suo inventore, delle sue entrate e delle sue uscite. È un’opera eccentrica, totalmente fine a se stessa, che maschera e nasconde le contraddizioni della città”.

Sacro Gra Un titolo a dir poco geniale sprecato per un’operazione che non gli rende affatto giustizia, in quanto noioso agglomerato - a sfondo allegorico - di tutt’altro che coinvolgenti situazioni assemblate con totale assenza di ritmo. Nonostante tutto, si è aggiudicato il Leone d’oro presso la settantesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia... ma non dimentichiamo che anche l’ignobile E la chiamano estate si è inaspettatamente conquistatosi importanti premi al Festival internazionale del film di Roma. Quindi, la questione dei premi cinematografici nell’Italia d’inizio XXI secolo rimane ancora una “realtà” tutta da... scoprire.

5

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