Sils Maria, la recensione del film con Juliette Binoche

Juliette Binoche è la protagonista di un film sulle insistenti foschie di uno stato di crisi artistico ed esistenziale.

Sils Maria, la recensione del film con Juliette Binoche
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Maria Enders (Juliette Binoche), è un'affermata attrice internazionale all'apice della sua carriera ma anche un'esistenza fragile in una fase estremamente critica della sua vita, in cui il passare del tempo, le delusioni sentimentali (è in pieno divorzio dal marito) e il generale fardello di un successo ancora imponente ma di fatto di giorno in giorno sempre più relegato nel passato, la costringono a fare i conti con sé stessa - come artista e come donna. Chiamata a omaggiare un suo vecchio amico drammaturgo nonché suo personale talent scout Wilhelm Melchior, il precario stato emotivo di Maria sarà ulteriormente scosso dalla morte di questi, luttuosa metafora dell'inesorabile fine di un'epoca fiorente. Il bivio, l'occasione per un ‘faccia a faccia' serio con il proprio io arriveranno poi con la proposta di un regista tedesco di interpretare la parte della co-protagonista (Helena) di quello che fu il suo ruolo giovanile (Sigrid) di una piéce teatrale (Maloja Snake) - poi divenuta film - interpretata venti anni prima e scritta proprio dallo stesso defunto Wilhelm Melchior; quella stessa interpretazione che poi le fece da trampolino di lancio per la sua successiva e brillante carriera. Una storia di donne (una diciottenne e una donna ben più matura che richiamano alla mente il classico conflitto al femminile di Eva contro Eva) messe a confronto e legate da un insidioso rapporto lesbico, in cui l'esuberanza e la noncuranza giovanile della prima (Sigrid) agganceranno le fragilità della seconda (Helena) per poi condurre quest'ultima alla disperazione e addirittura al suicidio. Dunque l'idea di interpretare il ruolo della matura Helena e confrontarsi (anche) con una nuova giovanissima starlet del cinema internazionale (Chloë Grace Moretz) persa tra le altre cose nelle maglie del gossip da copertina, sprofonderà Maria in un conflitto esistenziale che all'idea dell'attrice capace di misurarsi con qualsiasi ruolo contrappone la difficoltà di accettare il passare del tempo, una nuova fase di vita e tutte le nuove fragilità a essa sottese. Un'impasse artistica ed esistenziale che poi doppierà il suo ‘effetto' nelle continue sessioni di prove (e nel rapporto intimo ma sempre più difficile) portate avanti nella località di Sils Maria con la sua assistente personale (Kristen Stewart), che ricalcheranno e intercetteranno da vicino quello squilibrio tra gioventù spietata e fragile maturità che si agita tanto nell'opera Maloja Snake quanto nella turbolenta fase di vita della non più giovane Maria Enders.

Smarrirsi tra le nubi della vita

Clouds of Sils Maria, titolo originale di quello che da noi esce nelle sale con il 'riassuntivo' Sils Maria rappresenta l'ultima opera del regista francese Olivier Assyas (largamente apprezzato sin dagli esordi con Disordre o Il bambino d'inverno e poi affermatosi nel tempo grazie a titoli come L'eau froide o il più recente Qualcosa nell'aria). La ricerca quasi ossessiva di un disagio (spesso adolescenziale, o più generalmente giovanile) da colmare o in qualche caso ‘rieducare' è stata una delle tematiche da sempre più analizzate da Assayas all'interno della sua nutrita filmografia. In Sils Maria, Assayas amplia e approfondisce quel disagio proponendo un conflitto generazionale femminile e interiore che attraverso la figura di Maria Enders e il parallelismo tra finzione (l'opera da rappresentare) e realtà vissuta estrinseca tutta la sua virulenza; mentre al racconto fanno poi da cornice narrativa le offuscanti nubi di Sils Maria, fonte d'ispirazione di Maloja Snake (quegli addensamenti nebulosi a forma di serpente caratteristici del luogo) ma anche e soprattutto metafora di uno stato di obnubilamento esistenziale in cui Maria s'immergerà fisicamente e mentalmente durante la sua permanenza in quella amena location. Assayas dirige un film in qualche misura molto ‘diverso' dai suoi lavori precedenti, più freddo, in cui lo scheletro teatrale e la struttura meta-narrativa spingono il film verso una dimensione fortemente dialogica in cui sono le continue schermaglie e i confronti tra i vari personaggi a nutrire (anche) il dibattito intimo che si muove interiormente al personaggio di Maria e che è (d'altronde) il vero fuoco del film. Una dimensione ‘parlata' forse troppo preminente che muove l'opera di Assayas su un velo di superficialità senza farlo affondare mai nel cuore di un'emozione, fatta forse eccezione per una manciata di scene chiave in prossimità dell'epilogo. Muovendosi sinuoso all'interno di questo complesso costrutto narrativo come tra le nubi di Maloja Snake, Sils Maria affronta il sempreverde tema dell'artista e/o uomo (qui donna) in crisi d'identità prendendo spunto dalle numerose opere filmiche che si sono cimentate nel tema, senza aggiungere molto all'argomento, se non una serie di suggestioni che corrono sul parallelo di quella nuvolosità esistenziale fotografata e catturata proprio nell'ambientazione che fa da sfondo (le splendide montagne dell'Alto Adige) e a cui si associa la metafora di una graduale sparizione (emblematica da questo punto di vista una delle scene chiavi del film). Un'opera anarchica che sostituisce in qualche modo la verbosità narrativa alla intensità filmica tipica dei precedenti film di Assayas (che solitamente trovava nella rarefazione narrativa e nella disinibizione musicale la forza e la leggerezza per costruire i propri - giovani -personaggi, come accadeva ad esempio in L'eau froide o in Qualcosa nell'aria) e che sembra qui quasi limitare in uno schema di crisi e nevrosi la pur sempre brava Juliette Binoche, valorizzando invece (per paradosso) le due comprimarie interpretate da Kristen Stewart e Chloë Grace Moretz, più leggere e spontanee nel loro essere figure catalizzatrici e non il centro dello stato di crisi.

Sils Maria Il regista francese Olivier Assayas firma il suo ultimo lavoro Sils Maria, storia di un’artista in piena crisi e costretta a ripercorrere le proprie fragilità attraverso le debolezze del personaggio che dovrà interpretare. Opera che cerca e trova la sua profondità maggiore in un parallelo con le bellissime e offuscanti location in cui è ambientato, ma che tende invece ad arenarsi in una struttura meta-narrativa che sembra (s)doppiarsi all’infinito risucchiando in parte anche il potenziale della protagonista (Juliette Binoche) e del film stesso. Alcuni momenti chiave rilanciano l’esistenzialismo dell’opera ma - di fatto - la dimensione pur raffinata e seducente del parlato qui sembra sopraffare ogni altra cosa, in un confronto dialogico poco comunicativo anche quando incisivo, e interrotto a tratti solo dalle nubi di Sils Maria. Da an(notare) a latere, invece, l’interpretazione di una sempre più inedita e interessante Kirsten Stewart.

6.5

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