Recensione Somewhere

La nuova pellicola di Sofia Coppola presentata a Venezia 2010.

Recensione Somewhere
Articolo a cura di

Era il 1987, ma sembra ieri che abbiamo visto il quattordicenne Stephen Dorff, allora proveniente dal piccolo schermo, protagonista di The gate (intitolato dalle nostre parti Non aprite quel cancello), poco esaltante horror per teen-ager tempestato di gobelin e mostriciattoli vari firmato dall’ungherese Tibor Takács, che ne realizzò due anni dopo anche un tutt’altro che indispensabile sequel.
Chi se lo sarebbe mai aspettato, all’epoca, che lo avremmo rivisto in un’infinità di produzioni rientranti un po’ in tutti i generi, dal beatlesiano Backbeat-Tutti hanno bisogno di amore (1994) di Iain Softley, nel quale interpretò Stuart Sutcliffe, a Nemico pubblico (2009) di Michael Mann, passando per Blade (1998) di Stephen Norrington, Paura.com (2002) di William Malone e il cineVgame Alone in the dark (2005) di Uwe Boll?
Ma, soprattutto, non ci saremmo con ogni probabilità mai aspettati che nel 2010 sarebbe stato il primo attore del quarto lungometraggio diretto da Sofia Coppola, figlia del lodatissimo Francis autore de Il padrino (1972) e Apocalypse now (1979) premiata con l’Oscar per la sceneggiatura di Lost in translation-L’amore tradotto (2003), per poi sentirlo parlare così del proprio personaggio: “Ho partecipato a una trentina di film, ma questo ruolo l’ho vissuto come un regalo. Somewhere è speciale, poetico, dolce e in puro stile Sofia. So com’è la vita di un attore come Johnny Marco. Ho totalmente compreso il personaggio. A volte non mi sforzavo neanche. Quando lo incontriamo la prima volta, Johnny è perso in un ritmo monotono e in uno stile di vita decadente. È un tipo a posto, ma beve e s’impasticca. Non credo sia fiero di molti dei film che ha girato, come per esempio l’ultimo, Berlin Agenda”.

Papà ti aggiusto io

Prima dei titoli di testa, infatti, abbiamo una lunga inquadratura fissa di una Ferrari nera che gira più volte in circolo all’aperto, la quale scopriamo poi essere guidata, appunto, da Johnny Marco, attore che vive a Hollywood nel leggendario hotel Chateau Marmont e la cui casa è un flusso continuo di ragazze e pasticche.
Un individuo totalmente a proprio agio in questa situazione di torpore, il quale vive senza
preoccupazioni fino al giorno in cui, inaspettatamente, giunge nel posto la figlia undicenne Cleo, con le fattezze della Elle Fanning che, sorella della più nota Dakota de La guerra dei mondi (2005) spielberghiana, abbiamo già avuto modo di vedere, tra l’altro, ne Il curioso caso di Benjamin Button (2008) di David Fincher.
Nata dal suo matrimonio fallito, la ragazzina finisce per spingere Johnny - che intanto riceve di continuo misteriosi sms dal sapore fortemente critico - a riflessioni esistenziali sulla sua posizione nel mondo e ad affrontare la questione riguardante quale percorso scegliere nella nostra vita.

La (non apprezzabile) scelta di Sofia

E, tra gli altri, sono Benicio”Wolfman”del Toro e la Michelle Monaghan di Mission: impossibie 3 (2006) a fare una breve apparizione nel corso dei circa 98 minuti di visione che, con Laura Chiatti inclusa in un piccolo ruolo e la conduttrice televisiva Giorgia Surina nei panni di se stessa, si concedono perfino una parentesi italiana in una inventata Notte dei Telegatti, con Nino Frassica e Simona Ventura impegnati a consegnare l’ambito premio mediasetiano al regista Maurizio Nichetti e uno stacchetto musicale proto-Bagaglino comprendente Valeria Marini tra le ballerine.
Ma, al di là di questa parentesi, dinanzi alla quale lo spettatore italiano può divertirsi non poco perché alle prese con il senso dello spettacolo televisivo tricolore raccontato su celluloide (e in maniera tutto sommato fedele) da una regista d’oltreoceano, la pellicola si costruisce su lentissimi ritmi di narrazione, dovuti soprattutto al facile ed insistito ricorso a lunghe inquadrature fisse.
Una scelta di racconto per immagini che non può fare a meno di risultare ben presto irritante, pur lasciandoci intuire che, se quella che la Coppola voleva enfatizzare era una certa sensazione di noia provata dal protagonista, ci è riuscita in pieno.
Un film, però, pur dovendo trasmettere allo spettatore determinati sentimenti, dovrebbe avere il primario scopo di coinvolgervelo, non di lasciarlo con il cuore all’esterno per godere solo delle ottime prove di Dorff e della Fanning. Forse unici veri pregi dell’operazione, insieme ad una azzeccata colonna sonora comprendente So lonely dei Police e la plattersiana Smoke gets in your eyes riletta da Bryan Ferry.

Somewhere Dopo Il giardino delle vergini suicide (1999), Lost in translation-L’amore tradotto (2003) e Marie Antoinette (2006), la figlia d’arte Sofia Coppola torna dietro la macchina da presa per raccontare l’annoiata vita di una star del cinema hollywoodiano alle prese con un confronto con la propria figlia. Ma, tra abbondanza di lunghe inquadrature fisse e soporiferi, lenti ritmi di narrazione, ad essere annoiato è soprattutto lo spettatore, il quale si trova a riprovare la stessa, tutt’altro che positiva impressione già sperimentata ai tempi della già citata, sopravvalutata opera d’esordio della regista.

5

Che voto dai a: Somewhere

Media Voto Utenti
Voti: 37
5.9
nd