Recensione St@lker

Anna Foglietta alle prese con i pericoli dei social network nel nuovo film di Luca Tornatore

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La chiocciolina nel titolo provvede a distinguerlo da Stalker (1979) di Andrei Tarkovsky, anche se, considerando che siamo dalle parti del dramma a tinte thriller, il secondo lungometraggio diretto dal romano Luca Tornatore (il primo, del 2007, fu Hikikomori, firmato con lo pseudonimo Marco Prati) potrebbe essere più facilmente accostato a The stalker (2013) di Giorgio Amato, con il quale condivide la tematica di fondo della violenza sulle donne.
Perché, mentre lì assistevamo alla vicenda di una ragazza perseguitata dall'ex marito, qui abbiamo l'Ignazio Oliva di Scusa ma ti chiamo amore (2008) nei panni di Alan, il quale, andato a vivere all'interno di un fatiscente magazzino dopo essersi separato dalla moglie, stanca di anni di soprusi e che, rifiutandosi di vederlo e di parlargli, diventa vittima di atti di stalking reali e informatico-virtuali, trascorre buona parte del suo tempo nel tentativo di chattare su siti di online-dating; dove conosce la donna con cui vorrebbe intraprendere una nuova relazione: Ines alias Anna"Colpi di fulmine"Foglietta, procacciatrice in una grande società multilevel che vive sola e ha come unica amica intima la collega Mina, ovvero Anna Ferruzzo, che la introduce, appunto, nel mondo dei social network.

Chattata da uno sconosciuto

Del resto, con i due entrambi vittime della società, ma Alan destinato ad essere carnefice di Ines, è proprio la pericolosità relativa alla maniera in cui vengono utilizzati i social network a rappresentare l'argomento cardine dell'operazione, girata a Roma ma ambientata in una località indefinita; man mano che una mistress materializza le angosce ed i sensi di colpa dell'uomo in una dialettica sadomasochistica che finisce per essere ribaltata.
Ma anche man mano che un coach con le fattezze del veterano Francesco Salvi incarna l'ipostasi della realtà odierna, nel corso di circa ottanta minuti di visione talmente ricchi di tensione da riuscire a catturare in pieno l'attenzione dello spettatore, consentendogli difficilmente di cadere in distrazioni.
Infatti, sebbene alcuni passaggi rischino di non apparire troppo chiari, Tornatore, supportato sia da attori in gran forma che da un lodevole comparto tecnico di cui vale la pena citare almeno l'ottimo montaggio (curato dallo stesso) e la efficace colonna sonora per mano di Gianni Caldararo, si rivela capace di sfruttare a dovere i pochi mezzi a disposizione e l'abbondanza di interni, ingrediente fondamentale nell'accentuare il tenore soffocante - e, a suo modo, claustrofobico - della storia raccontata.
Trasmettendo la stessa frenetica sensazione della vita al ritmo dei messaggini inviati via telefono o tramite computer, fino ad un epilogo che sembra quasi assumere il sapore di un omaggio allo stracult Cannibal holocaust (1980) di Ruggero Deodato.

St@lker “Alan e Ines sono entrambi vittime di una società i cui unici valori sono la ricchezza materiale e lo sfruttamento dei più deboli. Ines interiorizza il proprio disagio, conducendo una vita apatica e solitaria, mentre Alan si sfoga con gli altri, in particolare con la moglie, causando la rottura del matrimonio”. Luca Tornatore sintetizza così il suo secondo lungometraggio da regista, a quanto pare ispirato a fatti realmente accaduti e che intende porre in evidenza la pericolosità dell’uso dei social network. Il risultato è un dramma a tinte thriller a basso costo che, seppur a tratti confuso, non manca di grande professionalità nella confezione e coinvolge lo spettatore senza annoiarlo mai. Tanto da spingerci a pensare che il cineasta potrebbe essere un nome da tenere d’occhio per eventuali produzioni di genere.

6.5

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