Recensione The Informant!

Matt Damon gioca a fare la spia.

Recensione The Informant!
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"Tratto da una storia vera": quante volte sentiamo questo slogan accompagnare l'uscita di un film? E quante volte ci lasciamo sopraffare dalle emozioni derivate da questa presa di coscienza? Pensate ad Into the wild, Schindler's List, I cento passi o Risvegli e a come sarebbe cambiato il giudizio senza questa semplice affissione sulla locandina. Se molte volte serve a ricollegare lo spettatore ad una realtà che ha vissuto o ha solo letto sui libri, altre volte, invece, serve soltanto per instillare curiosità, specie quando la storia è tanto assurda da sembrare inventata. Chi non vorrebbe saperne di più? Così verrebbe da pensare ad un esercizio di immaginazione per The informant!, quando, al contrario, gli eventi raccontati nel libro da Kurt Eichenwald e poi ripresi dal regista americano sono quanto più vicini alla realtà. Certo, Soderbergh avrà aggiunto del suo ma è naturale: tutto quello che vedrete è frutto comunque di un'attenta rivisitazione. L'incipit, tuttavia, rimane inverosimilmente vero.

Trama

Un'importante multinazionale, la Archer Daniels Midland (ADM), ha studiato una truffaldina politica per il controllo dei prezzi sul mercato mondiale. Mark Whitacre (Matt Damon) svolge internamente il ruolo di manager e, sempre più in rapida ascesa, decide di rivelare all'FBI le attività illegali portate avanti dalla compagnia in questi ultimi anni. Col passare del tempo l'FBI pretenderà una sempre più completa collaborazione da parte di Mark ed egli si sentirà ancora più affascinato da questo mondo. Deve giocare di astuazione, fare il doppiogioco, indossare microfoni e tenere registratori nella valigetta. Si sente ormai un agente segreto, a tal punto che perde di vista il “perchè” fa tutto questo. Senza accorgersene, perderà il controllo delle sue azioni: mentirà all'FBI, ai fondatori dell'ADM e principalmente a se stesso. Per gli altri sarà quasi impossibile decifrare la trasparenza di Whitacre: dice il vero o è frutto della sua fervida immaginazione.

Due volte migliore di 007... a parole!

Mark Whitacre è un gran chiaccherone... Da quella volta in cui ha impugnato il primo microfono spia, la sua vita è cambiata di getto. Così la mattina non si sveglia per andare a “lavoro”, lui va in “missione”. Non solo. E' pieno di fissazioni: vuole piacere agli altri, essere sempre il migliore in tutto e, sopra ogni altra cosa, fare l'esatto opposto di ciò che pensa. Durante il giorno i suoi pensieri divagano spesso. Capita che, ad esempio, mentre interrogato la sua attenzione si sposti sulla cravatta a righe dell'agente seduto di fronte. Non si cura molto delle parole nonostante siano molto importanti, anzi, sembrano scivolare su di lui come l'acqua cade sulla plastica. Senza lasciare tracce.
Secondo il regista, i monologhi interiori fuori campo - la sceneggiatura è di Scott Z. Burns - sono l'innesto comico in grado di definire i contorni della pellicola; in verità, l'opinione è quella che dovrebbe rispettare più il suo cognome che non cercare di avvicinarsi alla filmografia dei Coen. La sua estetica fatica a creare dei contrasti realmente originali e tanto più sfrutta uno stile dissacrante, provocatorio, tantomeno infonde ritmo. Sembra inoltre affidarsi massicciamente alla colonna sonora di Marvin Hamlisch per ridicolizzare quegli aspetti maggiormente drammatici della vicenda. Un gioco-forza già visto che porta molto presto alla stanchezza.
Se nella duologia dedicata a Che Guevera a parlare era principalmente la storia, qui è il protagonista a non chiudere mai la bocca. Troppe le parole incastrate a forza, troppi i collegamenti da tracciare - molti dei quali futili, data la natura truffaldina e beffarda del protagonsta. In virtù di questa altalenante qualità raggiunta da Soderbergh, ci si domanda cosa sarebbe successo se avesso utilizzato un linguaggio differente e allontanato questa libertà aggregativa di generi. Dispiace perché singolarmente ogni aspetto creativo funziona da sè, inclusi gli attori. Matt Damon ce la mette tutta nel definire la complessa personalità di Mark Whitacre (accentuando più volte il suo disturbo bipolare), e i suoi quindici chili di troppo stanno lì a conferma della sua totale devozione alla causa. Eppure non stupisce. Piacerà sicuramente ai fan del regista americano e a chi predilige una solida struttura narrativa, basata su toni e dialoghi asciutti. In ogni caso con The Informant! il premio Oscar per Traffic non si smentisce: il suo cinema divide, eppure lui non sembra preoccuparsene. Unbelievable.

The Informant! The Informat! fa di tutto per allineare politica, intrigo e comicità su uno stesso piano, seguendo due linguaggi diversi: il dramma procedurale e la commedia nera. Entrambi però si incontrano soltanto a sprazzi e non convincono mai del tutto. I monologhi fanno sorridere ma presto porteranno alla noia. Ciò nonostante, risulta difficile puntare il dito su qualcosa di specifico: fotografia, colonna sonora e sceneggiatura sono coerenti e ben amalgamate; tuttavia il film non decolla mai, se non brevemene nel finale. Forse una scelta voluta (El Che, insegna) ma con il personaggio di Mark Whitacre questo approccio profondamente diluito si dimostra controproducente, sia perchè sfilaccia lo storyline, sia perché non abbraccia completamente i desideri di chi avrebbe sperato in un intrattenimento sbruffone alla Ocean.

5.5

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