Recensione The Sessions

La vera storia di come Mark O'Brien, costretto a vivere in un polmone artificiale, cerca di perdere la verginità grazie ad una t

Recensione The Sessions
Articolo a cura di

Ben Lewin è un regista polacco cresciuto in Australia. Ha cominciato a lavorare come avvocato penalista, poi gli si è profilata un’occasione: una borsa di studio per la National Film School in Inghilterra, che non si lascia sfuggire. Il suo primo film per il cinema, Georgia con Judy Davis, ha dato inizio alla sua carriera su grande schermo. Passato un po’ in sordina sulla grande scena internazionale della macchina cinematografica, questo potrebbe essere l’anno della sua consacrazione: il suo film The Sessions, con John Hawkes in gran forma e una splendida Helen Hunt, si è preso l’intero 2012 per girare il globo in lungo e in largo attraverso i festival, debuttando al Sundance e chiudendo a Torino (veniva presentato come “THE FESTIVAL HIT OF THE YEAR!”). In Italia uscirà il prossimo 14 febbraio, tre mesi dopo l’uscita americana.

LA MISSIONE

Il film racconta la storia vera di Mark O’Brien (John Hawkes), costretto a vivere in un polmone d’acciaio da quando ha contratto la poliomelite all’età di sei anni. Il lungometraggio si apre con filmati di cronaca che seguono O’Brien mentre, sulla barella con “polmone portatile”, si reca autonomamente all’università. A trentotto anni, Mark è un giornalista affermato, molto intelligente e dotato di un humour sagace e di una gran voglia di amare. E’ desideroso di avere un rapporto sessuale e, dopo che la sua assistente Amanda (un’affascinante Annika Marks, ve la ricorderete per Mona Lisa smile) rifiuta il suo amore, è determinato più che mai a riuscire nel suo intento di perdere la verginità. Con l’aiuto della sua nuova assistente Vera (un personaggio da amare, interpretato da Moon Bloodgood, già interprete in Terminator Salvation e Path Finder) e di Padre Brendan (un atipico prete con cui stringe un’intensa amicizia, qua recitato egregiamente da William H. Macy), Mark riesce a mettersi in contatto con un’assistente sessuale talentuosa e senza barriere, la bella Cheryl (Helen Hunt). Cominciano i primi incontri (la regola è che non possono essere più di cinque), le “sessions” del titolo per l’appunto, vero fulcro del film e capaci di appassionare lo spettatore, toccando le vibranti corde dei sentimenti e dei punti cardinali dell’esistenza umana.

SEMPLICITà E AFFINITà

Il film s’inscrive in una tradizione di film anglofoni che, da Mi chiamo Sam a Il discorso del Re, e sfiorando una tradizione francese di grande impatto degli ultimi anni, da Lo Scafandro e la Farfalla a Quasi amici - Intouchables, dimostra una grande delicatezza nei confronti dell’emozione umana all’interno della diversità, della difficoltà fisica e psicofisica, senza mai scadere nel buonismo e nel facile sentimentalismo retorico. The Sessions è tutto questo e anche di più: è materia reale, tratto da eventi accaduti, e narrato dall’occhio e dalla sensibilità di un regista come Ben Lewin, a sua volta affetto da una indisposizione fisica che lo costringe sulle stampelle o su sedia a rotella. Attraverso quest’affinità, che batte nel film come il cuore di un organismo, si stringe un legame a doppio filo tra O’Brien e Lewin, tra due persone e le loro difficoltà ma anche la loro forza, e tra il regista e il suo film. Di particolare efficacia, nel film in analisi, una trama incentrata sugli incontri con la terapista sessuale Cheryl, capaci di smorzare la tensione drammatica e anzi di inserire un soffio di leggerezza e piacevolezza, di squisito humour condito dalla bellezza delle emozioni umane nella loro semplicità e dalle sferzanti ma puntuali osservazioni ironiche e sagaci di Mark. Gli incontri diventano occasione per esplorare una condizione diversa, difficile, ma capace di trovare la sua strada. Una strada diversa, ma a sua volta felice. Così l’ultima creatura di Lewin è un film che non avanza pretese elevate, ma vola medio, mascherando l’intreccio drammatico con un velo commediale, portando il fulcro del film a simbolo e discorso più universale, sotteso bene o male alle vita di tutti.

The Sessions Incetta di premi, da San Sebastian a Philadelphia, da Hollywood a Sundance, il film di Lewin è in corsa anche per gli Screen Actors’ Guild Awards, gli Independent e i Golden Globe, tutti per le interpretazioni di Hawkes e Hunt. Forse il film ha avuto un percorso troppo indipendente e “sotterraneo” per potersi inserire nella giungla che porta agli Academy Awards, ma non gli manca nulla dei titoli recenti che hanno impegnato la tanto ambita statuetta. Un film da vedere, assolutamente, per ogni pubblico.

8

Che voto dai a: The Sessions

Media Voto Utenti
Voti: 5
7
nd