Recensione Tutto può cambiare

Mark Ruffalo e Keira Knightley in una romantica commedia a sfondo musicale

Recensione Tutto può cambiare
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La musica c’è. L’alchimia tra i protagonisti anche. Ma non bastano due elementi a rendere una commedia memorabile. Tutto può cambiare - Begin Again, in uscita il 16 ottobre per Lucky Red e in anteprima al 44° Giffoni Film Festival, ha premesse di tutto rispetto. Lei, Keira Knithley, è una compositrice sconosciuta che segue il fidanzato (Adam Levine dei Maroon 5) a New York quando la carriera del musicista decolla. Lui, Mark Ruffalo, è un produttore discografico ormai alla deriva: i tempi d’oro da talent scout sono archiviati, almeno quanto il suo matrimonio, e non gli resta che la bottiglia a tenergli compagnia.
John Carney prova a bissare il successo di Once (Una volta, con cui ha guadagnato l’Oscar come miglior canzone) con un’operazione delicata, intimista, controcorrente. Purtroppo non ci riesce fino in fondo perché non basta la colonna sonora a dare spessore ai personaggi, che spesso si perdono in scelte incomprensibili evidenziando i buchi narrativi della vicenda.

Lasciate in pace Jane Austen

Greta, la protagonista, spesso diventa una lagna e quest’oceano di supponenza misto ad autocommiserazione si riversa su chiunque incroci la sua strada. Non fa eccezione neppure Dan (Ruffalo), che intanto si ostina ad inseguirla per metterla sotto contratto mentre lei scappa indignata dalle ingiustizie della vita come una languida eroina romantica. Ma qui non siamo in Orgoglio e pregiudizio, nemmeno nella versione cinematografica sbiadita che l’attrice britannica ha interpretato senza lasciar intravedere nulla del selvaggio fascino della protagonista, descritto da Jane Austen e reso alla perfezione nella serie BBC con Colin Firth. Detto questo, va riconosciuto al film il merito di una trama godibile, sulle note di una colonna sonora eclettica ed originale quanto il tentativo di Dan di metterla in scena fuori dallo studio di registrazione, nell’imprevedibile giungla metropolitana della Grande Mela.

Alla corte del cliché

La battuta con cui Mark Ruffalo la saluta al pub riassume brillantemente i clichè del musicista squattrinato e indipendente. Perché mai un artista disoccupato dovrebbe rifiutare un’offerta lavorativa sulla base di una presunta superiorità intellettuale? È solo uno degli enigmi che questa pellicola non solo evita di svelare ma che alimenta in una sequela di scelte nonsense.
La magia delle note si disperde ben presto in un ritratto di New York incapace di catturarne l’essenza. Viene da mettere il broncio come Greta o fare i capricci come il suo ex Dave (Levine), ma non se ne capisce il motivo, si percepisce solo un gran senso di noia. Lasciarsi corteggiare dalla musica resta allora l’unica cosa che conti, in assenza del resto, senza chiedersi il perché.
Ricapitolando i luoghi comuni da commedia sentimentale presenti nella pellicola: il fidanzato molla la protagonista dopo aver raggiunto il successo, lei è il vero e incompreso talento della coppia ma quando sembra che il mondo le crolli addosso trova un principe (in questo caso poco azzurro) pronto a salvarla, in realtà bisognoso di essere redento. Ricco e di successo, ha sprecato il suo intuito artistico perdendosi nel regno malvagio dello show business. Insieme, però, possono ribaltare la situazione, capire il senso della vita, dell’amore e degli affari. E così sia.

Tutto può cambiare A parte il finale, non del tutto prevedibile, la pellicola scorre lenta e indolore. Nota di merito per la colonna sonora e il cast: non sono comunque sufficienti, a trasformare questa commedia nel gioiellino intimista che vorrebbe essere, ma salvano la visione rendendola sufficientemente piacevole.

6.5

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