Recensione Un fidanzato per mia moglie

Geppi Cucciari, Luca, Paolo e... la crisi di coppia!

Recensione Un fidanzato per mia moglie
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"È la storia di Camilla (Geppi Cucciari), che lascia la sua amatissima Sardegna, dove lavora in una radio, per sposare Simone (Paolo Kessisoglu) e trasferirsi a Milano, la città in cui è nato, vive e lavora. La donna fatica ad adattarsi, rimpiange le sue abitudini e, ritrovandosi senza amici e un lavoro, cade presto in depressione, riversando la sua insoddisfazione e le sue nevrosi su Simone. Stanco della situazione, il marito accetta i consigli maldestri del suo datore di lavoro (Dino Abbrescia), che gli suggerisce di lasciare Camilla ricorrendo ad un esperto in divorzi rapidi detto ‘Il falco' (Luca Bizzarri), un ex playboy sul viale del tramonto, che possa spingerla al tradimento in modo da giustificare la separazione. Tutto questo viene raccontato in un flashback durante una seduta da una psicoterapeuta di coppia. Con tono leggero e momenti di riflessione sulle ragioni che possano spingere una coppia a guardarsi dentro: in una coppia è vitale essere se stessi, evitare la paura del confronto e non nascondersi. E, nonostante l'inevitabile routine, la comunicazione ed il rapporto devono essere sempre alimentati nel quotidiano".
Così Davide Marengo, autore, tra l'altro, del documentario Dall'altra parte della luna - riguardante la band musicale dei Negramaro - e del noir Notturno bus, con protagonisti Valerio Mastandrea e Giovanna Mezzogiorno, riassume il suo Un fidanzato per mia moglie, che va ad arricchire la schiera di "produzioni matrimoniali" italiane datate 2014 già comprendente, tra gli altri, Un matrimonio da favola di Carlo Vanzina e Ti sposo ma non troppo di Gabriele Pignotta.

Sposi e... Bizzarri!

In questo caso, però, su sceneggiatura dello stesso regista insieme a Francesco Piccolo - collaboratore, tra l'altro, di Nanni Moretti e Paolo Virzì - e Dino"Hotel Meina"Gentili, non siamo dinanzi ad una storia originale, ma al rifacimento dell'argentino Un novio para mi mujer, diretto nel 2008 da Juan Taratuto; anche se lo sciupafemmine incarnato da Bizzarri non può fare a meno di ricordare, in un certo senso, quello cui concesse anima e corpo Romain Duris ne Il truffacuori di Pascal Chaumeil.
Del resto, oltre a dichiarare di aver puntato su un certo realismo per quanto riguarda la recitazione e la messa in scena, Marengo non nega di aver guardato anche al cinema francese nel concretizzare quella che ritiene una commedia sofisticata, romantica e ironica.
Una commedia che, nell'accostare la crisi di coppia a quella economica, a quanto pare rientrante tra le principali cause di rottura dei rapporti sentimentali, arriva a tirare in ballo anche Ale e Franz in inedite vesti gay e il Corrado Fortuna di My name is Tanino in quelle di Andrea Stanzani, direttore di una piccola radio.
In mezzo a feste in maschera e grottesche situazioni riguardanti il segno del Sagittario, però, i novantasette minuti di visione che ne escono fuori non tardano a lasciare intuire la loro totale mancanza di compattezza, testimoniata da non pochi difetti; a cominciare dalla totale incapacità di sviluppare a dovere sia i personaggi che gli argomenti che la popolano.
Quindi, si sorride poc(hissim)o, ci si annoia molto e viene soltanto da pensare che, in un paese la cui critica cinematografica non manca quasi mai di bersagliare il succitato figlio di Steno, tanti giovani cineasti che decidono di cimentarsi sullo schermo con il genere che ha dato notorietà a Dino Risi e Mario Monicelli farebbero meglio a studiarsi i suoi lavori per apprendere la giusta maniera per affrontarlo.

Un fidanzato per mia moglie “L’idea è partita dal produttore Beppe Caschetto, che mi ha chiesto di dirigere un remake di Un novio para mi mujer, un’intelligente commedia argentina sulla crisi di coppia uscita qualche anno fa che mi è piaciuta molto. In seguito mi ha chiesto di pensare ad un cast che potesse contare nei ruoli principali sia Geppi Cucciari che Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu e mi ha fatto molto piacere misurarmi con questi attori brillanti che conoscevo solo da spettatore”. Davide Marengo racconta così la genesi della sua commedia sulla crisi di coppia, che, guardando anche al cinema francese, sfrutta uno stuolo di nomi noti della risata nostrana per riempire la quasi ora e quaranta di visione. Paradossalmente, però, sono proprio i momenti volti a strappare risate ad apparire assenti, mentre una sequela di tutt’altro che interessanti situazioni provvede a rappresentare un altamente fiacco elaborato caratterizzato da personaggi sempre accennati e mai approfonditi e che, di conseguenza, non lascia quasi capire dove voglia andare a parare.

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