Recensione Viva la libertà

Tony Servillo nelle vesti di un folle e geniale politico di Sinistra

Recensione Viva la libertà
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Enrico Oliveri (Tony Servillo) è il segretario del maggior partito d'opposizione, ovvero la Sinistra. Stanco e frustrato da un momento personale e politico in cui il suo io sembra non riuscire più a incarnare alcun ideale o slancio di cambiamento, Oliveri accuserà (psicologicamente) il colpo di grazia quando una militante del partito (insegnante di liceo) lo aggredirà (durante un suo comizio e di fronte a un'aula gremita di gente) sentenziando perentoria: "Non hai nulla da dire, la vergogna ti paralizzerà". Un incidente tutto sommato ordinario tra le fila dei personaggi politici che, però, fungerà da mina per accendere in Oliveri una profonda e dolorosa fase di depressione/riflessione che lo porterà a riparare a Parigi, sulle tracce di un suo vecchio amore mai dimenticato e sulle orme di una passione cinematografica mai sopita, per ritrovare quella verve persa o forse mai avuta. Ma l'improvviso vuoto lasciato dalla fuga di Oliveri getterà il suo assistente personale Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) nel panico, incapace di pensare a una soluzione temporanea che possa coprire l'inopinata scomparsa del leader politico. Nonostante tutto, una sorta di manna dal cielo arriverà a soccorrere il ligio Bottini che, messosi quasi per caso in contatto con Giovanni Ernani (fratello gemello di Oliveri, nonché professore e filosofo ufficialmente ‘fuori di testa'), scoprirà in quest'ultimo un folle quanto lucido potenziale politico in grado di inserirsi (a perfezione) nel difficile momento di stanca della sinistra. L'entrata in scena di Ernani lascerà infatti credere a tutti che il ‘vecchio' Enrico Oliveri sia stato colto da illuminazione e che ora, più incisivo e pungente che mai, sia finalmente in grado di dare alla politica e al paese intero la sterzata in cui tutti - da tempo - speravano.

Di rado film così chiari

Cade a dir poco a fagiolo l'arrivo nelle sale di Viva la libertà, in uscita il 14 febbraio a soli dieci giorni dalle prossime, dubbiosissime elezioni politiche. Scritto a quattro mani da Roberto Andò (nonché regista e autore del libro Il trono vuoto edito da Bompiani, da cui il film è tratto) e Angelo Pasquini, Viva la libertà è una sorta di commedia bipolare (come il suo stesso protagonista) che sintetizza con estrema chiarezza e lucidità ciò che manca alla nostra società e politica coeva. Ovvero il coraggio di emanciparsi da un sistema fatto di ‘buon costume' (solo molto teorico) e apparenze che sacrifica in ogni momento la necessità di seguire le proprie idee, i propri successi e i propri errori invece di rimanere incastrati nel confine degli schemi autoimposti. Personaggio che osa e fa di tutto per non prendersi sul serio (riuscendoci poi in realtà molto meglio di tutti gli altri) Ernani gioca a nascondino con il Presidente della Repubblica nella Sala del mappamondo e si concede passi di danza a piedi nudi con la cancelliera tedesca senza mai rinunciare alla propria libertà di individuo (su carta bipolare, ma poi nella realtà davvero peggio degli altri?) e avendo proprio per questo motivo la capacità di fregarsene di quel ‘costume politico' che oggi fa rima solo con abulia. ‘Mai parole così chiare' titoleranno in coro i giornali all'indomani del suo discorso di rottura con la sfibrata linea politica di prima, applauditissimo dalle folle e dal partito stesso. Una frase che anche noi, oggi e a pochi giorni da un confronto politico che appare sempre più privo di senso, vorremmo e dovremmo poter pronunciare per sentirci più vivi, più liberi. Nella trasparenza e nella folle lucidità dei suoi discorsi Ernani riesce invece nell'impresa di smuovere gli animi sopiti, di fare finalmente breccia in quella voglia così importante di ‘alleanza con la coscienza della gente'. Genio, sregolatezza e bluff, un parallelo che poi intreccia (con grande equilibrio) la sfera politica a quella cinematografica, entrambe mosse da un'ambiguità che è di per sé stato di finzione della vita, e che solo attraverso la passione e l'emozione riesce a far passare qualcosa all'esterno. Non per niente i padri ispiratori, i volti ardenti del film sono quelli di Berlinguer e di Fellini, due uomini che (nel loro mondo e a loro modo) hanno saputo superare il confine dell'autoreferenzialità e arrivare dritti al cuore degli altri.

Il sottile gioco dei doppi

Il doppio si presta benissimo e in maniera funzionale ai molti parallelismi che il film crea tra i suoi vari mondi a confronto, quello di Oliveri e di Ernani, quello del cinema e della politica, quello di Roma e di Parigi, quello tra il registro ironico e quello esistenzialista ed eminentemente drammatico, servendo a dovere un film ottimamente scritto e ulteriormente impreziosito dal ‘fattore Servillo'. Eh già perché che piaccia o meno, la capacità di Servillo di accentrare film e strutture narrative attorno alla sua formidabile presenza drammaturgica rende ogni cosa più chiara, essenziale, intuitiva. E anche qui il suo Oliveri (giocato in sottrazione) e il suo Ernani (costruito invece attorno a tic e nevrosi illuminanti) sono le due facce di una stessa maschera che arriva dritta al bersaglio. A fargli da spalle il sempre bravo Mastandrea che gioca con sobria eleganza il suo ruolo di burattinaio dietro le quinte. Proprio a voler trovare un difetto al film potremmo dire che la linea narrativa costruita attorno alla figura di promiscuità sentimentale di Danielle non aggiunge molto, rimanendo di fatto un'anonima e forse superflua appendice esistenziale. Ma è un piccolo neo in un film che davvero svetta nel panorama italiano per mestiere e sensibilità, e che ci riporta dritti al pensiero della nostra abulia politica e alla voglia insana di quel gemello finalmente capace di (ri)svegliarci da un lungo torpore. E benvenga, di tanto in tanto, un po' di sana e onesta pazzia.

Viva la libertà Roberto Andò (Viaggio segreto, Sotto falso nome) traspone per il cinema il suo romanzo di successo Il trono vuoto. Il risultato è un film sorprendente che non ci aspettavamo e che non solo riporta un po’ di aria fresca in un’idea di politica oramai stanca e fortemente debilitata, ma anche (e soprattutto) un po’ di sana follia in un panorama italiano cinematografico altrettanto sottotono e privo di idee. Un film da non perdere, ironico e per certi aspetti geniale, dedicato soprattutto a chi ancora può e vuole credere nella speranza.

8

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