Recensione Cloverfield

E' tempo di togliere il velo al progetto Cloverfield

Recensione Cloverfield
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Untitled J.J. Abrams Project.

Tutto ebbe inizio con Cannibal Holocaust. Era l’epoca dei Mondo Movie italiani, opere d’exploitation nuda e cruda che ben poco hanno da spartire con i lori ultra trendy epigoni odierni in stile Hostel o The Saw. Il lavoro di Ruggero Deodato, al di là della valenza artistica vera o presunta, ha il merito di aver precorso tecniche di marketing divenute ormai all’ordine del giorno nell’iperdigitale realtà di oggi. Spacciando per autentiche le vicende fittizie di un gruppo di documentaristi spediti in Amazzonia per un reportage, grazie a contratti che blindavano gli attori dall’apparire su altri mezzi d’informazione per un anno (corroborando quindi le voci sulla loro cruenta morte), il geniale regista italiano andò incontro a non pochi problemi con la censura e coi tribunali che lo accusarono, di fatto, di aver girato uno snuff film, ovvero una composizione filmica in cui le morti riprese sono reali al 100%. Attraverso l’espediente narrativo del ritrovamento dei filmati effettuato dagli studiosi e grazie al suo genio imprenditoriale, Deodato ha scoperchiato un vaso di Pandora da cui sarebbero nati in seguito The Blair Witch Project (di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez) e, in un certo qual modo, questo Cloverfield.
Sono passati ventotto anni dall’uscita di Cannibal Holocaust e nel frattempo il mondo ha conosciuto una rivoluzione copernicana chiamata Internet.
J.J.Abrams, la mente dietro alcuni dei più grandi successi televisivi del duemila come Alias e Lost, ha saputo edificare intorno a quello che inizialmente era conosciuto solo come "Untitled J.J.Abrams project" una grande aspettativa fra i suoi fan, e presumibilmente non solo fra quelli.
Dopo la Lost Experience, quello che alcune volte viene paragonato a David Lynch, altre a Steven Spielberg, ha sfornato per questo suo nuovo parto una fitta ridda d'indizi capace di sfruttare opportunamente il tam tam di internet senza restarne vittima come altri illustri predecessori, dato che il mostro è rimasto "protetto" praticamente fino all’uscita americana del film. Ora è tempo di togliere il velo dal sipario digitale che ci separava da quest’ennesima apocalisse a New York. Manhattan è di nuovo in pericolo.

Property of United States Government.

In seguito al ritrovamento presso Central Park, da parte dell’esercito americano, di una videocamera contenente una SD Memory Card, siamo in grado di visionare un’importante testimonianza sull’attacco subito da New York nella notte fra il ventidue e il ventitre maggio.
Il documento si apre con una ripresa amatoriale effettuata all’alba in data 27 aprile all’interno di un appartamento presso il Columbus Circus di New York. Possiamo vedere due giovani, Rob (Michael Stahl-David) e Beth (Odette Yustman) che hanno appena passato la notte insieme e stanno ora decidendo di andare in gita a Coney Island. Improvvisamente, la scena cambia poiché, molto probabilmente la camera, è finita nelle mani di qualcuno che non si è premurato di verificare se la scheda di memoria contenesse già altri dati. Veniamo quindi a sapere che Jason (Mike Vogel) il fratello di Rob, sta organizzando insieme alla sua ragazza Lily (Jessica Lucas) e al loro migliore amico "Hud" (T.J.Miller) una festa in onore di Rob, in procinto di trasferirsi in Giappone per lavoro. Giunge il momento della festa e Hud, al posto di adempiere al compito affidatogli, ovvero raccogliere i saluti e le videodediche per Rob, rivolge molte attenzioni a Marlena (Lizzy Caplan), filmando lei piuttosto che gli altri invitati. Rob, dopo essere arrivato ed essersi fugacemente goduto il party, si ritira in disparte con Beth, arrivata nel frattempo con un altro ragazzo. Hud li segue e quando Rob si rende conto della cosa, il suo disappunto aumenta poiché realizza che il suo amico stava sovrascrivendo le riprese della loro gita a Coney Island. Dopo la discussione, la ragazza abbandona improvvisamente la festa e Rob si confida con suo fratello e Hud sulla scala antincendio dell’appartamento quando, all’improvviso, un boato seguito da una scossa di terremoto, causa un black out momentaneo. Tutti si trasferiscono sul tetto del palazzo per tentare di vedere qualcosa. Apparentemente tutto sembra normale quando, in lontananza, un grattacielo esplode fragorosamente spedendo in aria detriti infuocati. I ragazzi scendono precipitosamente le scale, temendo che si tratti di un attacco terroristico, ma quando la testa della Statua della Libertà(citazione che arriva direttamente dai manifesti di 1997 Escape From New York) atterra vicino ai loro piedi, accompagnata dal terrificante verso di un’aberrante creatura, per Rob, Hud, Lily, Marlena, Jason e gli altri abitanti di New York inizierà un incubo forse senza fine. E il dover trarre in salvo Beth, rimasta bloccata nel suo appartamento a Central Park, non farà altro che rendere più fitta la rete in cui si troveranno intrappolati.

New York is under Attack.

New York è stata distrutta innumerevoli volte dai cineasti di Hollywood. Il solo Roland Emmerich lo ha fatto ben tre volte nel corso della sua carriera con Independence Day, Godzilla e The Day After Tomorrow. Nel 2001 però, la realtà ha superato la fantasia e i notiziari ci hanno, purtroppo, regalato immagini e testimonianze in presa diretta che resteranno indelebilmente impresse nella coscienza di tutti. Cloverfield, scritto da Drew Goddard, diretto da Matt Reeves, già artefice dell’inutile The Pall Bearer, ma figlio legittimo, genuino ed autentico della mente dietro Lost, si propone come un Creature Feature capace, come nella miglior tradizione dello sci-fi apocalittico e non, di raccontare sapientemente le ansie e le paure del contesto socioculturale in cui la vicenda è calata. Dopo che il mondo intero ha conosciuto la distruzione (reale) delle Twin Tower tramite le riprese amatoriali delle persone fisicamente presenti nei pressi di ground zero e con i disperati messaggi telefonici delle vittime dei dirottatori del 11/9, un nuovo Godzilla o un nuovo Independence Day sarebbe stato quasi improponibile e, a conti fatti, irrispettoso. Lo stesso Emmerich, nel riapprocciarsi ad una devastazione filmica della Grande Mela, ha scelto la via più digeribile e politicamente corretta della catastrofe ambientale dai toni Al Goreani.
Abrams e il suo staff, hanno quindi deciso di raccontare il loro kaiju eiga a stelle e strisce già a partire dagli indizi di viral marketing distribuiti copiosamente e cripticamente da mesi prima dell’uscita del film. Il tutto si è poi evoluto tramite la documentazione in presa diretta della catastrofe New Yorkese attraverso le riprese (finto) amatoriali di alcuni ragazzi che, come altre migliaia di concittadini, si sono ritrovati loro malgrado a vivere un incubo di cui, almeno inizialmente, ignorano le cause perché, contrariamente a quanto avviene di solito nei film di fantascienza, non sono degli scienziati capaci di salvare il mondo, dei giornalisti impiccioni o dei militari semi/immortali. Sono semplicemente delle persone sbagliate, in un momento ancor più sbagliato e tutto quello che possono fare è tentare di mettersi in salvo, accompagnati dall’ossessione costante di voler lasciare una traccia di sé tramite le loro caotiche riprese dell’accaduto perché, anche se il destino sarà loro nemico, potranno almeno continuare a vivere su Youtube, testimoniando la drammaticità di quanto accaduto e riuscendo, forse, ad aiutare altre persone. Broadcast ergo sum. Alcuni critici americani, non molti a dire il vero, hanno accusato il film di sciacallaggio proprio per il modo "furbo" con cui racconta l’attacco del mostro, affermando che il lavoro di Abrams e soci sia privo di quella capacità d’analizzare l’animo umano presente in opere come Invasion of The Body Snatcher di Don Siegel o The War of the Worlds di Steven Spielbrg. Un’analisi del genere è quantomeno frettolosa, poiché Cloverfiled non ha davvero nulla da invidiare all’allegoria e alla paranoia McCartistica del capolavoro di Siegel o all’opprimente senso d’angoscia che traspare dalle gesta dei cugini malvagi di E.T. nel film di Spielberg. Facendo cominciare il film ben prima dell’ingresso in sala e facendolo proseguire addirittura dopo i titoli di coda, inserendo la sua opera in un contesto polimediale, la premiata ditta Abrams/Reeves/Goddard dipinge un affresco completo di una internet generation capace di raccontare la realtà come, se non meglio, dei notiziari televisivi stessi che rischia però di rimanere vittima di questo desiderio d’apparire e dire la sua.

Shaky Camera and Dts.

I timori di molti circa il fatto che lo stile di regia avrebbe impedito un’adeguata visione del mostro possono essere tranquillamente fugati. La creatura si vede bene e fa davvero paura.
Il film, girato quasi interamente con una Sony CineAlta F23 high-definition video camera (per quanto riguarda le riprese in esterni), nonostante l'effetto Shaky Cam, riesce ad essere davvero spettacolare e quasi non viene da credere che il tutto sia costato "solo" trentacinque milioni di dollari, perché la spettacolarità e la freneticità di alcune sequenza e l’accuratezza della realizzazione del bestiario alieno (?), figlia del veterano degli SFX Phil Tippett e del suo studio, sono davvero di prim’ordine.
La regia finto amatoriale potrebbe lasciare interdetti alcuni, fra un turbinio di camera di troppo e un cellulare che impalla la visuale, ma al di là di fastidi evitabili, cercando di prenotare dei posti a sedere più lontani dallo schermo, il grado di coinvolgimento che ne deriva e la maestria con cui sono architettate alcune scene proiettano Cloverfield in quel ristretto novero dei grandi film di fantascienza/horror. Alcuni potranno obbiettare che alcune svolte narrative siano magari un po’ stereotipate o forzate, ma, a conti fatti e nonostante la foggia da cinema verité, si tratta pur sempre di uomini Vs. mostri aberranti. E da questo punto di vista, Cloverfield è davvero un film da pollici in su.
Una menzione a parte la merita l’utilizzo davvero sapiente delle opportunità date dall’audio surround in digitale. In ogni scena, lo spettatore cercherà di tendere l’orecchio per tentare di captare eventuali suoni ostili e nei momenti in cui i decibel saranno più fragorosi, le casse del cinema sembreranno distorcere il rumore come a restituire l’effetto di sovraccarico sonoro della videocamera.

Cloverfield J.J.Abrams e i suoi compari non tradiscono le aspettative, realizzando un film marcatamente di genere che, come alcuni grandi esponenti più o meno recenti, riesce a raccontare davvero molto su quelle che sono le ansie e i timori della società moderna e in maniera di sicuro più gradevole di tanti kammerspiel tanto pretenziosi quanto privi di sostanza. State tranquilli però, per andare a vedere Cloverfield non serve aver letto lunghi e noiosi trattati di sociologia o semiotica. Quella è un’attività da imbrattacarte oziosi perché, al di là di tutto, il film di Matt Reeves è intrattenimento allo stato puro, Hollywood con la H maiuscola. Ma è bene ricordare che spesso, oltre la patina degli effetti speciali e dell’audio in DTS i grandi cineasti americani riescono a nascondere anche dell’altro. E con il suo "campo di trifogli" J.J. Abrams ha confermato ulteriormente di rientrare in quel ristretto novero d’autori.

8.5

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