Recensione Into the Wild

Sean Penn ci conduce nelle terre selvagge

Recensione Into the Wild
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Quante volte il cinema ci ha raccontato quel sogno di libertà primordiale tanto cara all'uomo? Un tema che trasversalmente ha attraversato tutti i generi della Settima Arte, poichè talmente insito nell'animo umano da trascendere ogni frontiera e ideale. Fughe, premeditate o meno, reali o forzate da sostanze, per cambiare e scappare da una realtà che non appartiene, da una società fin troppo consumista. Solo negli ultimi tempi, abbiamo avuto due grandi esempi di pellicole che riportano alla scoperta della natura e del proprio essere: Grizzly Man di Werner Herzog, e Centochiodi del nostro Ermanno Olmi. I due film in questione hanno dei forti punti in comune, nonostante la loro apparente diversità, con Into the Wild. Il primo infatti è un documentario sulla vita di Timothy Treadwell, che riuscì a vivere per diversi anni a stretto contatto con gli orsi, in mezzo alla natura più selvaggia; la seconda è la ricerca del proprio scopo della vita da parte di un ex-professore d'università, che "sparisce" dalla civiltà per ritrovare la felicità nelle cose semplici. Il nuovo film di Sean Penn è basato sul libro di Jon Krakauer, tratto dal vero diario di Chris McCandless, trovato accanto al suo corpo esanime nelle fredde terre dell'Alaska.

Un sogno chiamato Alaska

Chris McCandless (Emile Hirsch) si è appena laureato con il massimo dei voti. La sua vita, apparentemente felice, però vede dei forti contrasti con i genitori: il padre, Walt (William Hurt), dal carattere burbero e con un segreto da nascondere, e la madre Billie (Marcia Gay Harden), succube del marito. Il suo unico rapporto onesto con la famiglia è rappresentato da quello con la sorella Carine (Jena Malone). Per questi motivi, Crhris deciderà di fuggire da una realtà che non sente più sua, da quella società consumista che lui da tempo non sopportava, rifiutando addirittura l'uso del telefono. Presa la sua vecchia macchina, si digirerà ad Ovest, e in seguito la abbandonerà per continuare il suo viaggio a piedi. La sua meta, il suo sogno di libertà ha un solo nome: Alaska. Il suo stratagemma per ritardare la scoperta della sua scomparsa funziona, e i genitori lo scoprono solo dopo mesi, avviando ormai troppo tardi le ricerche.Chris, sul suo cammino, incontra diverse realtà: la storia è infatti divisa in cinque capitoli che lo vedono vagare alla ricerca della sua meta finale, accompagnato per alcuni pezzi di strada da folklorisitici personaggi conosciuti nelle sue avventure.

Era difficile realizzare un brutto film con una storia e un personaggio così "forti". Si rimane però con un pò d'amaro in bocca, in quanto il film di Penn ha la senzazione di capolavoro incompiuto. Tanti buoni spunti, tanti momenti emozionanti, ma il feeling con lo schermo non è costante per le oltre due ore, e ci si trova così davanti a momenti d'empasse a volte noiosi. Il tutto è confezionato in maniera ineccepibile, ma fin troppo lineare: insomma non si intravedono quei guizzi d'autore che rendono tale un regista, si ha l'impressione di ascoltare una grande storia non sempre pregna del pathos necessario. E dire che l'inizio era più che promettente: una sorta di partenza dalla fine di tutto, un ritorno al passato, una presentazione del personaggio subito "estrema", che lo caratterizza perfettamente in ogni suo istinto. L'espediente del diario di Chris, per quanto subdolo, è più che necessario alla narrazione, semmai si potrebbe ridire sulla voce fuori campo di Carine, che ha lo scopo, forzatamente drammatico, di tenere un legame tra lo spettatore e le vicende della famiglia del fuggiasco, mostrandoci tutti i loro rimorsi e sofferenze. Schematico: si regge troppo su canoni tipicamente hollywoodiani, "inizio, incontri nella fase centrale, e fine". Un "racconto" estremo avrebbe forse meritato un po' più di fantasia (ovviamente in senso registico, non si poteva certo cambiare la vera storia di McCandless), mentre qui le situazioni si susseguono l'una dopo l'altra senza troppe domande, e con sbalzi temporali che ci tengono all'oscuro di alcuni periodi, appena accennati in maniera vaga. Fatte queste dovute premesse, non si può comunque dire che Into the Wild sia un brutto film, tutt'altro. Un sapore epico lo percorre dall'inizio alla fine, una ricerca dell'avventura più estrema che è ben impressa negli occhi del bravissimo Emile Hirsch, che ha qui compiuto una sorta di degradazione fisica nello stile Bale-L'Uomo senza Sonno, perdendo oltre 20 kg durante le riprese. Ma non è solo il peso ad aver cambiato radicalmente le sue espressioni, quanto quel contatto con il suo personaggio in cui pare essersi calato anima e corpo. A fargli compagnia, alternandosi durante il suo viaggio, troviamo ottimi attori del calibro di Vince Vaugh, Catherine Keener, Kristen Stewart, Hal Holbrook, oltre agli eccellenti interpreti del nucleo familiare già precedentemente citati. Durante i suoi incontri, Chris imparerà molte cose e insegnerà qualcosa lui stesso, ma nonostante tutto il suo unico obiettivo rimarrà il raggiungimento di quella libertà assoluta, alla riscoperta del contatto uomo-natura. Imparerà così ogni tecnica sulla caccia, sulle piante commestibili, si procurerà un fucile e ogni oggetto egli ritenga necessario alla sopravvivenza nelle terre selvagge. Ma non sempre le speranze conducono a buoni risultati. Il finale, troppo retorico e convenzionale per un regista come Penn, è il tragico epilogo di una vita vissuta al massimo. E, prima dei titoli di coda, vedere l'immagine del vero Chris in una delle foto scattate durante il viaggio potrà commuovere i più facili alle lacrime. Into the Wild è un prodotto edificante, che ci mostra tutto il coraggio di un ragazzo fuori dagli schemi, pronto ad abbandonare ogni cosa per realizzare il suo sogno: sicuramente da vedere, anche se si rimane entusiasti a metà. Una nota d'eccezione, qui senza riserve, va senza dubbio alla splendida colonna sonora firmata da Eddie Vedder dei Pearl Jam, con quella giusta dose di melodia malinconica adatta alle vicende narrate.

Into the Wild Into the Wild ha ben poco di selvaggio, inteso dal punto di vista cinematografico: per quanto ben confezionato, è un prodotto canonico, che se non fosse stato diretto da Penn probabilmente avrebbe attirato poco il grande pubblico. In questo caso però è una fortuna la nomea dell'attore/regista, perchè il grande pubblico viene a conoscenza di una storia bellissima, di un ragazzo coraggioso e folle, che ha abbandonato tutto e tutti per realizzare il suo sogno di libertà. Un esempio? Nel suo estremismo, Chris incarna il desiderio primordiale di ogni uomo, che di solito si ha paura di esprimere. Con qualche accorgimento in più, qualche guizzo e meno banalità si sarebbe potuto ottenere un capolavoro, il cui marchio qui si intravede solo a sprazzi. Into the Wild è comunque un'opera, per quanto incompiuta, diversa e particolare, che facilmente catturerà il plauso di chi si sente ormai lontano dai principi decadenti di questa società.

6.5

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