Recensione Defiance - I giorni del coraggio

Daniel Craig ribelle durante la Seconda Guerra Mondiale

Recensione Defiance - I giorni del coraggio
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Storia cruenta

Non è facile ricordare un momento storico tanto cruento come quello durante il quale si è consumata la Seconda Guerra Mondiale (soprattutto per chi lo ha vissuto in prima persona); così come non è stato facile per Edward Zwick girare l'ennesimo film bellico sul medesimo sfondo storico che valse a Stephen Spielberg, grazie a Schindler's List, 7 premi Oscar. Riferimento, quest'ultimo, non casuale: in entrambi i casi infatti un uomo si adoperava per il gruppo, sacrificando la propria vita per gli altri.
Con Defiance - I giorni del coraggio, sebbene siano tre i fratelli protagonisti della vicenda, a sacrificarsi sono solo in due, ma il succo non cambia. Ennesimo messaggio eroico e soliti temi facili: Zwick non ne vuole sapere di stupire; al contrario, si accontenta di abbracciare ancora una volta quella retorica narrativa che tanto lo ha portato al successo, affidando così alle immagini il compito di sorreggere l'intero film. Una missione davvero suicida, se si pensa al classicismo stucchevole del suo stile, lungi dall'essere innovativo e visionario.

Tratto da una storia vera

Sfuggiti ad un attentato nel proprio villaggio, tre fratelli si accampano in un bosco dell'entroterra polacco. Tuvia (Daniel Craig) è un leader riluttante e le sue decisioni sono contestate da suo fratello Zus (Liev Schreiber), il quale teme che i suoi piani troppo idealisti mettano a rischio la vita di tutti. Asael (Jamie Bell), il più giovane, è tormentato dalla feroce rivalità dei suoi fratelli e fra i tre si dimostrerà il più equilibrato. Inizia proprio nel bosco la loro turbolenta fuga verso la libertà: una lotta contro l'esercito nazista e soprattutto contro il tempo, con la volontà di resistere quel tanto che basta per poterne uscire vivi. Per i fratelli Bielski è anche un modo per vendicare la morte dei loro cari... così decidono inizialmente di saccheggiare gli alleati tedeschi mentre continuano a raccogliere nuovi volontari e passanti bisognosi.
Col passare dei giorni pero' aumentano i giovani, le donne, i bambine e gli anziani disposti a rischiare tutto anche per un singolo momento di libertà. Con l'approssimarsi di un inverno duro e brutale, i tre lavorano per creare una comunità e mantenere viva la fede, anche quando tutta l'umanità intorno a loro sembra essere scomparsa.

Guerra di pastafrolla

L'intento, nobile, è quello di far trasparire il carattere combattivo degli ebrei perseguitati durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare dal 41 in poi. Basato su un fatto realmente accaduto - a sua volta descritto nel romanzo di Nechama Tec "Defiance - Gli ebrei che sfidarono Hitler” - il regista con l'aiuto dello sceneggiatore (giornalista) Clayton Frohman ci ha ricamato su ulteriori temi quali l'amore, l'eroismo, la famiglia. Lontani dal subire torture e angherie senza provare a reagire, la figura dell'ebreo questa volta si allontana dallo stereotipo che lo vede vittima inerme - come descritto negli ultimi anni dai media - a dimostrazione che molti uomini durante l'Olocausto lottarono duramente contro chi aveva intaccato i loro diritti. Almeno cinematograficamente, la prospettiva scelta lasciava ben sperare...
Invece Zwick non puo' fare a meno di annoiare col suo finto taglio documentaristico iniziale, o con un piatto sviluppo centrale che non porta da nessuna parte se non allo svilimento. Non contento, condisce il girato con diverse sottotrame - evidentemente perché non sapeva come arrivare alle 2 ore con il materiale originale a sua disposizione - fino a perdere il completo controllo del film. Nel frattempo dimentica tutto: l'azione, l'approfondimento psicologico, la fedeltà storica. Come per L'ultimo Samurai, finzione e verità si mischiano andando a formare un impasto che fatica, addirittura, a intrattenere. Brevi momenti, per quanto intensi si dimostrino, evaporano laddove forzature narrative costringono parte del cast a non esprimersi al meglio. Lo stesso Daniel Craig non va oltre quelle poche espressioni facciali e risulta davvero poco adatto a ricoprire un ruolo drammatico. Musica e regia lavorano a braccetto, se non altro perché ogni scena viene pompata da violini e archi, ma la costruzione risulta troppo fredda per appassionare.
Infine, anche volendo rielaborare il concetto biblico con Mosé che si rende portavoce di un popolo, il messaggio ultimo non regge le intenzioni e risulta più vicino alla concezione cristiana che non a quella ebraica. Purtroppo il film non coinvolge: né emotivamente né fisicamente. E' un peccato, perché quel piccolo spiraglio di luce del 2005 (Blood Diamond - Diamanti di sangue) faceva ben sperare sul futuro produttivo del regista. Speriamo in futuro si convinca a cambiare registro barattando la pretenziosità con l'originalità. Di sicuro, a giovarne, sarebbero i suoi film, e di rimando noi spettatori.

Defiance - I giorni del coraggio Defiance - I giorni del coraggio è troppo retorico e pretenzioso per poter ambire a classico di genere. Non c'è azione (Zwick non è di certo la Bigelow) e la sceneggiatura risente di un'economia interpretativa idiopatica. Oltretutto non appassiona, né sorprende quanto avrebbe voluto; si limita ad allungare fino alla sfinimento una storia che si focalizza sulla sopravvivenza e su tantissimi altri temi, senza mai riuscire a svilupparli adeguatamente. Una cosa pero' la testimonia bene: la poca predisposizione di Daniel Craig a ruoli drammatici.

5.5

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