Recensione Dragonball Evolution

Alti e bassi per la versione live delle avventure di Goku

Recensione Dragonball Evolution
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L’ennesimo fumettone su grande schermo?

Siamo quasi abituati -per non dire assuefatti- alle riduzioni cinematografiche di romanzi e fumetti d’avventura, che puntualmente, con cadenza quasi mensile, vediamo oramai susseguirsi nelle sale con alterni successi di pubblico e critica.
Quello che una volta era un genere di nicchia è oramai saldamente consolidato come uno dei migliori banchi di prova per registi, attori e produttori. Le potenzialità sono enormi, perché si è sicuri di lavorare su materiale di grande impatto che ha già un larghissimo bacino d’utenza a cui attingere. Il rovescio della medaglia sta però nel dover risultare rispettosi dell’opera originale, per non deludere i fan, e al contempo realizzare un lavoro interessante per tutti, con i dovuti accorgimenti.
Procedura non facile: la maggior parte delle volte si tradiscono le intenzioni (se non i prodotti) originali e ci si ritrova con elementi ‘ibridi’ incapaci di soddisfare il proprio pubblico per via delle proprie mancanze.
E mentre i comics su grande schermo, negli ultimi anni, hanno trovato una propria ‘dimensione’ grazie a registi come Nolan, Raimi e Del Toro, sul fronte delle pellicole tratte dai manga -i caratteristici e iperdinamici fumetti giapponesi- solo raramente si affaccia qualcosa al di fuori dei confini nipponici, e per lo più si tratta di produzioni completamente asiatiche.
Ad Hollywood sono ben consci della difficoltà di cogliere il vero spirito di certi manga, che va ben al di là dell’azione sfrenata e dei bei disegni. Certi progetti rimangono in pre-produzione per anni e anni. Proprio come Dragonball Evolution.

Le origini del mito

Prima di parlare del nuovo film di James Wong, ci sembra doveroso fare il punto sulla portata del fenomeno Dragon Ball. Tutti conoscono, almeno di vista, il simpatico Goku, ma non molti hanno l’idea della sua importanza nell’ambito fumettistico mondiale.
Dragon Ball è la creazione più famosa del maestro mangaka Akira Toriyama, ma al contempo anche il fumetto e il cartone animato più noto al mondo, godendo di una popolarità che non è seconda a nessuno, compresi i Simpson di Matt Groening o gli immortali personaggi Disney.
Questo perché Toriyama, fin dall’inizio, è riuscito a ricreare il genere dei manga per ragazzi, i cosiddetti ‘shonen manga’, creando un ponte che tutti i suoi successori -allievi effettivi o spirituali che siano- hanno attraversato, portando omaggio e rispetto alla sua opera.
In Dragon Ball c’è prima di tutto l’avventura, il senso del misterioso, del pericolo imminente: quel genere di situazioni che solo i grandi paladini riescono ad affrontare. Eroi che però risultano sempre umani, caratterizzati da marcati difetti e debolezze, che spesso sfociano in esilaranti siparietti comici volti a stemperare la tensione delle situazioni spesso critiche che affrontano. Eroi che vivono in mondi sempre in bilico tra realtà e fantasia, e popolati da creature sempre più bizzarre. Universi dove la differenza è fatta dai veri valori: amicizia, solidarietà, fiducia, determinazione, spirito di sacrificio.
Topoi classici, che ritroviamo in questo e in ogni fumetto per ragazzi giapponese dal 1984 (data della prima pubblicazione in Giappone) in poi.
Dragon Ball narra le avventure di Goku, ingenuo e selvaggio ragazzino dalla forza e dalle abilità marziali straordinarie, e delle sue rocambolesche peripezie, sempre divise fra la ricerca delle magiche Sette Sfere del Drago (in grado di esaudire qualunque desiderio una volta riunite) e i combattimenti contro gli esseri malvagi che vogliono impadronirsene per dominare sulla Terra, combattimenti che, a mano a mano che la vicenda prosegue, diventano il fulcro del manga. Adrenalinici e avvincenti, gli scontri sono un vero e proprio ‘marchio di fabbrica’ della serie, e una delle sue qualità distintive.
Altra particolarità è l’enorme quantità di personaggi che si susseguono sulle sue pagine: nel corso dei quarantadue volumi di cui è composta l’opera originale (e senza contare gli spin-off, i lungometraggi animati e la terza serie, la GT, creata appositamente per la tv) Goku ne incontra una miriade: e la cosa bella è che la vicenda va avanti come una vera saga generazionale, col protagonista che cresce, si sposa, e crea una progenie.
Una storia, quella di Dragon Ball, capace di parlare a tutti i bambini e ragazzi del mondo, e lo testimoniano le decine di milioni di copie vendute del fumetto in ognuno dei quasi trenta paesi del mondo in cui è licenziato (l’Italia è tra questi certamente uno dei più appassionati), le decine e decine di repliche del relativo cartone animato e l’impressionante merchandising che continua a generare nonostante la serie principale si sia conclusa oramai diversi anni fa...

Alla ricerca delle Sette Sfere

La trama di Dragonball Evolution prende spunto in più occasioni dal manga originale (a sua volta ispirato al classico romanzo cinese Viaggio a Occidente) discostandosi, tuttavia, in alcuni punti, o rimescolando alcuni personaggi e situazioni originali, come sempre avviene, più che altro per questioni di sintesi, nelle versioni live dei fumetti e romanzi più popolari (e spesso, come in questo caso, lunghi e complessi).
In questo film, Goku (Justin Chatwin) è un ragazzo molto timido e impacciato con le ragazze, continuamente preso di mira dai bulli della scuola, a cui non reagisce perché ha promesso al nonno, il saggio Gohan (Randall Duk Kim), di non usare la sua forza sovrumana in combattimento. Le cose naturalmente precipitano quando l’oscuro Piccolo (James Marsters), torna sulla Terra con l’intento di conquistarla, grazie ai suoi immensi poteri e all’ausilio delle magiche Sette Sfere del Drago. Goku intraprende così un viaggio volto a recuperare le Sfere prima che Piccolo e la sua assistente, Mai (Eriko) riescano nel loro intento. Viaggio che lo porterà ad incontrare nuovi amici -la bellissima ChiChi (Jamie Chung)- e alleati: il buffo ma imbattibile Maestro Muten (Chow Yun-Fat), la sexy, scaltra e geniale Bulma (Emmy Rossum) e il truffaldino e scavezzacollo Yamcha (Joon Park).

EVOLUTION!

C’è da preporre che se, giustamente, la produzione ha deciso di aggiungere il suffisso ‘Evolution’ al titolo, è proprio per mettere le mani avanti e dire “questo è un film tratto da Dragon Ball, non Dragon Ball”.
Quel che hanno fatto Ben Ramsey, James Wong e Stephen Chow è un po’ quel che ha fatto Sam Raimi col suo Spider-man, prendendo spunti qua e là, soprattutto dalla serie Ultimate, rimodernando e attualizzando il contesto e, soprattutto, ponendo tutto secondo la propria ottica. Specialmente nelle prime scene, quando Piccolo non è ancora entrato in azione, si notano le ispirazioni, sia visive che a livello di sceneggiatura, al lavoro di Raimi, ma anche ad altri classici del genere, come i mitici Superman con Christopher Reeve (ai quali lo stesso Toriyama si ispirò per creare il passato del suo eroe).
Il tocco personale di Wong e Chow poi è inconfondibile (e non ci stupirebbe scoprire che dietro la cinepresa, nella scena della rissa alla festa, ci fosse Chow al posto di Wong: le deformazioni facciali e i super colpi a rallentatore sono i suoi assi nella manica!).
Insomma, le differenze e le incongruenze col manga originale non mancano, ma Akira Toriyama non si è limitato a fornire i diritti per la pellicola tramite il suo Bird Studio: ha ricoperto il ruolo di Produttore Esecutivo, avendo quindi il diritto di veto su qualunque cosa non si confacesse, secondo lui, all’intento originale del fumetto. Se egli stesso ha deciso o ha dato l’assenso, ad esempio, al fatto che il Goku cinematografico assomigliasse in realtà molto più al figlio Gohan che non al ragazzino selvaggio e munito di coda che tutti conosciamo, o che Mai diventasse l’assistente di Piccolo invece che di Pilaf (e in più avesse i poteri del maialino Oolong) non possiamo che farcene una ragione.

Evolution...

C’è da riconoscere, tuttavia, che a differenza di produzioni simili, i riferimenti all’opera originale non sono semplici service per i fan, avulsi dal contesto, ma hanno un loro perché la cui realizzazione non è assolutamente malvagia.
Goku è timido e bonaccione, ma al momento di combattere si rivela orgoglioso, da bravo Sayan (la razza aliena a cui appartiene), consapevole della propria forza, rivelando il suo lato sbruffone: caratteristica, questa, che non ci si aspettava di ritrovare nel live movie.
La nota di merito, tuttavia, va a Bulma e a Gohan: se al secondo manca solo il buffo copricapo per essere perfetto, la Bulma interpretata dalla Rossum restituisce bene la carica di intraprendenza, sensualità e furbizia dell’originale, in una curiosa versione cyberpunk dell’eroina di Toriyama.
I “gadget” inoltre, rigorosamente firmati Capsule Corporation, risultano tra i punti di forza del film, per design e fedeltà all’originale: tra tutti la sua capsule-motorcycle e il Dragon Radar.
E sebbene visivamente Muten e Yamcha siano ben diversi dalla controparte fumettistica, e siano l’uno molto meno timido e l’altro molto meno eccessivo, rispondono comunque all’idea che i fan hanno in mente di loro. Muten, in particolare, nasconde una carica, una potenza e una destrezza incredibili sotto le vesti del disordinato, spassoso e maniaco esperto di arti marziali.
Suggestive le location messicane delle scene di combattimento: ricreano perfettamente le lande desolate e montagnose in cui Goku combatte molte delle sue battaglie più importanti.
Tornando proprio al personaggio di Goku, una delle cose che probabilmente sarà più invisa ai puristi sarà la sua caratterizzazione liceale e il suo interesse per il fascino femminile di ChiChi: sono rimaneggiamenti a cui questo genere di produzioni ci ha abituati e che non ci sentiamo di appoggiare in pieno, ma che risultano, in questo caso, meno disturbanti di quanto ci potremmo aspettare: anzi il suo rapporto con ChiChi, pur non particolarmente esaltante a livello di dialoghi, risulta meglio caratterizzato di quello del fumetto originale.

...o Involution?

Certo, non tutto è bene quel che finisce bene. Alla sceneggiatura sembrano mancare vistosi pezzi di storia: né l’origine di Goku (e dell’Oozaru, lo scimmione) né quella delle Sfere viene chiarita, rimandando probabilmente le spiegazioni al secondo capitolo. Ma soprattutto, mentre i ‘buoni’ sono complessivamente ben caratterizzati, Piccolo e Mai sono di una piattezza impressionante: non si capisce perché si comportino in quel modo, e soprattutto quando e come il demone verdognolo (fusione tra quelli che nel manga sono padre e figlio) si sia liberato dalla Mafuba, la tecnica che lo aveva sigillato per duemila anni. E ad ogni modo, compare sulla scena decisamente troppo, troppo poco: qualunque personaggio, anche Mai e Yamcha, lo superano abbondantemente nel metraggio finale.
I combattimenti sono indubbiamente ben fatti, ma i più belli sono la già citata rissa e l’allenamento iniziale tra Goku e Gohan.
La lotta fra Goku e Piccolo è deludente come pochi, se eccettuiamo il colpo finale, piccola chicca per tutti i fan.
Oltretutto mancano alcuni accessori caratteristici: Goku non ha la coda, non vola su di una nuvoletta magica e il suo bastone da combattimento non si allunga. Nel film i personaggi non usano effettivamente la Bukujutsu, la tecnica di volo e galleggiamento: si limitano a eseguire salti enormi e sovraumani sì, ma ben lontani da quel che ci potrebbe aspettare da un film di Dragon Ball co-prodotto dal regista di Shaolin Soccer.
Venendo agli effetti speciali, visivamente il film non è assolutamente disprezzabile, e si lascia guardare piacevolmente, pur dimostrando la limitatezza di budget tipica del primo capitolo di ogni serie. Per intenderci, gli FX delle onde energetiche, delle sfere e di tutto il resto sono ben resi: ma è palese l’utilizzo della computer grafica, non sufficientemente dissimulata nell’immagine da dare l’illusione del realismo, se non in certe inquadrature delle sfere e delle onde energetiche meno potenti.

Dragonball Evolution Dragonball Evolution è stato criticato a priori dai più. E continuerà ad essere criticato da molti anche dopo l’uscita, vista l’eccessiva semplificazione, le differenze dall’originale, la trama traballante e poco originale e la qualità altalenante dei costumi di scena. Non ce la sentiamo però di bocciarlo: come rivisitazione è gradevole, molto più di tante altre per ora in voga il cui successo è più frutto di hype che meritato sul campo. L’impegno di registi, produttori ed attori profuso nella realizzazione c’è, e non è andato del tutto sprecato; l’opera, oltretutto, riesce bene a sdoganare molte delle caratteristiche dei manga sul grande schermo, e senza ‘americanizzarsi’ troppo nel processo. C’è ancora da lavorarci sopra, ma per passare un’ora e mezza in allegria è perfetto, e sicuramente meglio degli oav e di molti lungometraggi animati della serie. Un plauso finale va al doppiaggio italiano, diretto dal grande Fabrizio Mazzotta, che ha adottato, tra l’altro, i nomi originali per la versione italiana del film.

6

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