Il Cavaliere Oscuro, recensione del film con Christian Bale

Chi è davvero il Cavaliere Oscuro di Gotham City? Recensione del nuovo film di Christopher Nolan con Christian Bale.

Il Cavaliere Oscuro, recensione del film con Christian Bale
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Osserva attentamente.

Ogni numero di magia è composto da tre parti, o atti. La prima parte è chiamata “La promessa”, l’illusionista vi mostra qualcosa d’ordinario, un mazzo di carte, un uccellino o un uomo. Vi mostra questo oggetto...magari vi chiede d’ispezionarlo, di controllare che sia davvero reale...si, inalterato. Ma ovviamente, è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato “La Svolta”. L’illusionista prende quel qualcosa d’ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora, voi state cercando il segreto, ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati! Ma ancora non applaudite, perché far sparire qualcosa non è sufficiente. Bisogna anche farla riapparire. Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua. La parte che chiamiamo “Il Prestigio”.

Se vi state domandando cosa stia succedendo e perché stiamo iniziando quest’articolo con una citazione tratta dal precedente film di Nolan, sappiate che non c’è nulla di sbagliato in tutto questo. Forse c’è qualcosa di bizzarro e, come direbbe qualcuno “quello che non ti uccide ti rende più strano”. Ma la pazienza è la virtù dei forti, quindi sappiate che abbiamo ancora un po’ di strada da percorrere insieme, prima di capire la logica di questo rimando, afferrando fino in fondo il motivo di questa stranezza.
The Dark Knight è arrivato finalmente nelle sale italiane, con qualche giorno di ritardo rispetto all’uscita statunitense che ha polverizzato ogni precedente record d’incassi, portando il film direttamente al primo posto della discussa e discutibile top 250 di imdb.com. Magari il risultato è destinato a cambiare col passare del tempo, tuttavia, all’interno di quel piccolo grande mondo rappresentato da internet e dalla sua utenza, l’aver spodestato la decennale reggenza de “Il Padrino” è un fatto di non poco conto.
Il nuovo film del talentuoso regista inglese Christopher Nolan, con la sua nomea d’opera maledetta funestata da diversi incidenti di percorso (di cui non parleremo dato che in questi mesi sono stati spremuti come degli agrumi dalla stampa italiana, pressappochista e tombarola come sempre), è pronto a spiazzare le allegre comitive di famigliole armate di pop corn e snack ipercalorici che hanno già cominciato ad invadere i cinema, rassicurate dai, sostanzialmente, innocui cineadattamenti da fumetti seriali visti fin d’ora.
Destabilizzante, cupo, profondo e decisamente poco confortante, tanto che verrebbe da porre una domanda.....Perché così serio?

La promessa.

Gotham City non è più la stessa da quando Batman (Christian Bale) è in circolazione. Il tenente Gordon (Gary Oldman) non è più solo nella lotta alla mafia che flagella la città. Con il Boss Falcone rinchiuso nel manicomio di Arkham, dopo aver ricevuto “le cure particolari” del Dr. Jonathan Crane, le famiglie criminali che si spartiscono i loschi affari della metropoli, hanno trovato il proprio punto di riferimento nel clan di Salvatore Maroni (Eric Roberts). Ciò nonostante, i proventi e i traffici della mala hanno subito delle rilevanti riduzioni proprio per colpa di Batman, divenuto ormai il nemico numero uno dei Mob di Gotham City. In città però, è arrivato un uomo nuovo. Uno spaventoso e spietato clown dalla faccia sfigurata che agisce senza alcuna logica, con il solo scopo di creare il caos, conosciuto semplicemente come Joker (Heath Ledger). Seppur non compreso fino in fondo dai capi mala, Joker viene da questi assoldato per eliminare dalla piazza l’uomo pipistrello che, nel frattempo, ha unito le sue forze col valente e integerrimo (?) procuratore distrettuale Harvey Dent (Aaron Eckhart), a sua volta impegnato, insieme alla vecchia fiamma di Bruce Wayne Rachel Dawes (Maggie Gyllenhaal che riprende il ruolo che fu di Katie Holmes) a mettere sotto chiave i signori del crimine di Gotham.
La loro crociata però, non sarà priva di conseguenze e le loro esistenze verranno per sempre stravolte dalla furia anarchica del Joker e dalle sue terribili minacce alla sicurezza di Gotham City.

La Svolta.

Se già Batman Begins aveva accontentato critica e pubblico ottenendo dei buoni riscontri su entrambi i fronti, rilanciando in grande stile l’eroe nato dalla mente di Bob Kane, questo nuovo capitolo delle gesta de Il Cavaliere Oscuro di Gotham, ha avuto l’onore e l’onere di chiudere una stagione cinematografica brulicante di cinecomic tuttosommato buoni sia dal punto di vista cinematografico (Iron Man e Hellboy II) che del mero fan service (Hulk).
Dimenticate certi buchi di sceneggiatura dribblati grazie allo charme di attori in stato di grazia (qualcuno ha detto Robert Downey Jr?).
Quella che in apparenza è solo una guerra combattuta a suon di battage pubblicitario ed action figure ispirate ai personaggi del film, assume una valenza differente con il nuovo film di Nolan.
Cristopher Nolan ha definitivamente portato l’adattamento da fumetto ad un livello successivo, tanto che non ci si deve scandalizzare se Dark Knight abbia catalizzato l’attenzione della critica e del pubblico in questo modo. Così come autori del calibro di Alan Moore, Frank Miller, Grant Morrison e Jeph Loeb hanno decostruito su carta il mito dell’uomo pipistrello, pur in maniera rispettosa e ossequiosa delle sue origini, mettendone in evidenza il lato più oscuro e disturbante unendo alla mitologia del Batman la loro visione, Nolan ha operato in modo analogo sullo schermo. Così come “Arkham Asylum” non può essere etichettato propriamente come “fumetto per bambini”, Il Cavaliere Oscuro abbandona definitivamente l’eredità di prodotto per famiglie per elevarsi al rango di crime movie di razza. Se le prime avventure dell’uomo pipistrello erano la prosecuzione su carta della narrativa pulp, noir di Raymond Chandler e Dashiel Hammett , nonché delle ansie e delle speranze date dall’ipertrofico sviluppo urbano delle città americane dell’epoca, il Batman di Nolan/Bale diviene un fuoricasta, perennemente in bilico fra legalità e negazione della stessa, la cui spinta morale e moralizzatrice verrà messa in dura prova dallo scontro con il Joker. Se, da una parte, abbiamo un uomo che ha scelto di operare per il bene per far sì che non ci sia più bisogno di altri giustizieri mascherati nati dalla violenza come lui, dall’altra c’è un individuo che non agisce in maniera razionale, intelligibile. L’unico stimolo che lo muove è il desiderio di dare origine al caos, di mettere letteralmente fuoco all’ordine prestabilito delle cose mettendo in luce le ipocrisie degli abitanti di Gotham tramite “esperimenti sociali” mefistofelici e perversi. Più che dalle parti di Spider Man, siamo in zona Funny Games. Ma se gli psicopatici di Haneke agivano consci di sottostare alla sovversione delle regole narrative che vogliono le povere vittime della finzione cinematografica salve nel finale, gli “scherzi divertenti” del Joker di Heath Ledger necessitano di una presa di posizione dolorosa, che nel finale assumerà addirittura un sapore molto amaro soprattutto per Batman/Bruce Wayne. In tal senso, Il Cavaliere Oscuro s’inserisce perfettamente nella produzione artistica di un filmaker che non sta sbagliando un film dal giorno in cui ha deciso di mettersi dietro ad una macchina da presa. Tutto ruota attorno al concetto “d’identità”. Cos’è che ci rende ciò che siamo? Cosa c’è davvero dietro all’uomo che agita ossessivamente una polaroid in Memento nell’infinita autopoiesi di Leonard Shelby, qual’è la vera natura della sfida mortale e mortifera fra Alfred Borden e Robert Angier in ”The Prestige”, cosa si nasconde dietro la fissazione di Cobb nel far riesaminare le vite del prossimo attraverso lo shock che nasce da un furto in ”Following”. Sono le nostre scelte a determinare quello che realmente siamo e, anche se lo spietato Joker afferma che, in realtà, la vera natura di un uomo si scopre solo negli ultimi agonizzanti istanti di vita dopo avergli inferto una coltellata, la scelta di Batman di vivere nell’ombra e di sorvegliare Gotham senza godere dell’amore e del clamore normalmente attribuito ad un eroe, vanificherà, almeno in parte le profetiche parole dello psicopatico. “Sei solo un mostro....come me!”, sentenzia il Joker rivolto a Batman in una scena che, per intensità, può tranquillamente essere paragonata al leggendario scambio di battute fra Pacino e De Niro in Heath. Ma se nel capolavoro di Michael Mann a fronteggiarsi erano due uomini che avevano scientemente scelto il loro modo di essere, ne Il Cavaliere Oscuro a farlo sono un giustiziere mascherato nato dalla cattiveria di una città corrotta fino al midollo e un criminale con un identità in continuo mutamento, senza piani, privo di qualsiasi logica. Le due metà della mela, le due facce della medaglia che si completano a vicenda, tanto che il vero interesse del Joker è continuare questo perverso passatempo di morte perché, a conti fatti, lui e Batman si completano a vicenda. Tanto che diviene lecito chiedersi “ma è davvero Batman l’eroe di cui Gotham ha bisogno?”. Ed è nella zona d’ombra che nasce da quest’interrogativo che si pone la figura di Harvey Dent, il procuratore distrettuale di Gotham che agisce nei sentieri, parimenti pericolosi, della legalità alla luce del sole, che combatte il crimine nei tribunali piuttosto che corazzato di Kevlar nei vicoli bui della metropoli. Contrariamente a Batman che, nelle parole del saggio e paterno maggiordomo Alfred, è l’unico a poter sostenere il peso dell’odio della gente per perseguire un fine ben più elevato, Dent è il Cavaliere della Luce, colui che senza bisogno di falsificare la propria identità, può ridare speranza ai cittadini di Gotham. Il dubbio è se la sua volontà sarà così ferrea da annichilire la forza eversiva del Joker, poiché in più d’una occasione le sue azioni sembreranno un po’ troppo “aleatorie”.
Scelta razionale di sé, continua ridefinizione di sé e scelta casuale di sé.
Chi vincerà? Forse è il caso di lanciare una monetina.
Testa o testa bruciata?

Il Prestigio.

Seppur il titolo possa portare a pensare che il film sia in qualche modo un omaggio al lavoro di Frank Miller Il Ritorno del Cavaliere Oscuro va subito puntualizzato come esso riprenda dall’opera di Miller la tematica “dell’eroe fuorilegge”, visto più come una minaccia che come un salvatore. La storia del film, scritta dallo stesso Nolan e da David Goyer e sceneggiata, di nuovo, da Nolan e da suo fratello Jonathan, prende molti spunti dalla saga di “The Long Halloween” di Jeph Loeb (creatore e produttore di Heroes) e Tim Sale, seguito ideale di Batman: Year One di Frank Miller. Come precisato dagli stessi Nolan e Goyer nella prefazione de Il Lungo Halloween, la storia alla base del tutto era perfetta per mettere in luce le nuance da film noir del nuovo Batman, con tutto il suo sottobosco fatto di accordi fra le famiglie mafiose e i criminali fuoriusciti dal manicomio di Arkham, gli unici capaci di ostacolare in qualche modo la forza dirompente del Cavaliere Oscuro. Ancor più importante ai fini della realizzazione del film, erano i rapporti che si venivano ad instaurare fra gli unici paladini della legalità, ovvero Gordon/Dent/Batman, perfettamente ricreati nel film.
Grazie all’unione delle tematiche noir alla cifra stilistica di Nolan, The Dark Knight riesce a trascendere i limiti del cinefumetto d’autore, entrando nel ristretto novero dei grandi capolavori del crime movie. I disturbanti interrogativi morali che lo spettatore si troverà inaspettatamente ad affrontare, avvicinano il film a Scorsese, piuttosto che ad altre celebri trasposizioni d’altri nobili esponenti dell’arte sequenziale. Lo stile di regia adottato da Nolan, seppur virtuoso come sempre, non indulge più di tanto in quello che ormai è divenuto il suo marchio di fabbrica, ovvero quel montaggio incrociato capace di dialogare e di spiazzare continuamente lo spettatore (che di fatto scopre gli eventi contemporaneamente ai personaggi del film), ma lascia il compito di mettere in crisi le certezze del pubblico ai due villain del film che, de facto, vanno a demolire la sicumèra di chi pensa di andare a vedere il solito film di super eroi dalla morale rassicurante e conciliante. Il buon vince sempre? Probabile. Ma a quale prezzo?
Se Bale e, ovviamente, i veterani Caine e Fox confermano le notevoli performance del “primo” Batman, è verso Ledger e Eckhart che bisogna tessere le lodi più grandi.
Non è una celebrazione post-mortem, o una considerazione buonista, politicamente corretta, originata dal fatto che “la livella” rende tutti improvvisamente degni di chissà quale peana. L’intepretazione di Heath Ledger è semplicemente strepitosa. Non è nostra intenzione stabilire paragoni con quanto mostrato da Nicholson in passato perché il suo Joker era l’ennesima dimostrazione dell’istrionismo di un attore dalla fama già conclamata, mentre quello di Ledger è la conferma di capacità recitative in piena fase eruttiva. Confrontarsi a 28 anni con una leggenda del cinema non deve essere stato semplice, ma la volontà di caratterizzare il suo Joker un po’ alla Sid Vicious un po’ alla Iggy Pop, lo rende spaventoso, irrazionale e folle, tanto che pare uscito direttamente dalle pagine della graphic novel di Grant Morrison e Dave McKean Arkham Asylum. Un folle con il volto sfigurato da un Glasgow Smile che, con l’incedere del film, diventa sempre più marcio e purulento, uno psicopatico senza storia alle spalle, anzi con una storia ogni giorno diversa, con un’identità in perenne mutamento, un vero e proprio stream of consciousness di pura pazzia, adeguata ad un personaggio come il Joker che, peraltro, riesce a strappare più d’una macabra risata nel corso del film. A fronte di quanto già visto in film come I fratelli Grimm e Brokeback Mountain e della performance in The Dark Knight, non possiamo esimerci dal dire che la scomparsa dell’attore australiano è davvero una perdita per il cinema. Di certo non casuale, la scelta di affidare il doppiaggio di Ledger ad Adriano Giannini figlio del più celebre Giancarlo, voce quasi abituale di Jack Nicholson.
Aaron Eckhart, che già in film come ”Nella società degli uomini” e “Thank you for Smoking” ha dato prova di essere un attore di gran classe, ci regala un Harvey Dent che, fra rimandi più meno espliciti alla schizofrenia del personaggio, si muove in maniera ambigua fra la ricerca della giustizia affidata alla legge e quella delegata alla pistola. A stabilire quale delle due prevarrà, sarà solo la sorte e le doti recitative di un interprete capace di alternare momenti solari ad altri dai toni notevolmente più neri.
Se credevate di entrare nella sala cinematografica solo per divertirvi e passare un paio d’ore abbondanti in compagnia del solito blockbuster tutto inseguimenti ed esplosioni, rimarrete stupiti.
E se vi chiederete il perché di questo, ricordate queste parole
“voi state cercando il segreto, ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati!”
L’illusionista Nolan ha fatto di nuovo centro.

Il Cavaliere Oscuro Il Cavaliere Oscuro è la perfetta fusione della poetica di uno dei migliori registi contemporanei, Nolan, e degli aspetti più dark, noir e cinematografici di una delle figure più note dell’immaginario collettivo, ovvero Batman. Come ha avuto modo di dire lo stesso Tim Burton, artefice degli epocali Batman e Batman Returns, venti anni fa un Batman come quello di Nolan sarebbe stato improponibile, anche se questa è, ieri come oggi, la vera natura del personaggio. Considerazioni filologiche a parte, che anzi devono essere dismesse (quasi) del tutto quando si valuta un film, il nuovo tassello della carriera di Nolan si spinge al di là di certi ottimi cinecomic visti fino ad oggi in virtù dei suoi sincretismi tematici. In maniera analoga a quanto fatto su carta da autori come Alan Moore e Frank Miller, il regista inglese ha elevato lo status del cinefumetto, anzi lo ha trasceso, spiazzando critica e pubblico con un’opera che, ad eccezione del finale troppo indulgente e proteso verso un ipotetico terzo episodio, è capace di argomentare ad armi pari con altre più blasonate opere. Il perfetto commiato di una stagione cinematografica così ricca come non se ne vedevano da tempo.

9

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