Recensione Natale a Rio

L'ennesimo Natale nazionalpopolare di De Sica and Co.

Recensione Natale a Rio
Articolo a cura di

Senza Scalo

Finiranno mai i luoghi di villeggiatura visitati da De Sica and company?
Una domanda che si ripropone ogni Natale Natale, e che non riceve mai una risposta. Nonostante abbiano raggiunto la veneranda età di 25 anni i film "caciaroni" che allietano (!) da tempo il pubblico di bocca buona, non sembrano voler andare in pensione.
Colui (Christian De Sica) che senza timore porta avanti la "tradizione" ininterrottamente da un quarto di secolo, difende il suo personaggio con le unghie e con i denti. Un ruolo senza margine di crescita, senza spessore o impegno, tanto che viene da chiedersi se De Sica sia sul serio come i suoi personaggi, visto la facilità con la quale interpreta (o, peggio, la questione è molto più profonda e radicata ormai nel connettivo sociale stessa dell'italico popolo, sempre più superficiale, cinico e puttaniere come i personaggi di De Sica figlio).
Neri Parenti, invece, ogni volta tenta qualcosa di nuovo per lasciar credere che nei suoi film ci sia un qualche tipo di svolta. Quest'anno tocca all'esplorazione del rapporto "Padre e Figlio" e assicura un distanziarsi dal sesso e dalle facili macchiette di costume.
Quale può essere il ragionamento che si cela dietro ad un affermazione del genere? Come per molto altro su questo tipo di pellicole aleggia un parziale velo di mistero.
Tuttavia molti degli espedienti "guadagno facile" non sono tenuti all'oscuro, anzi risultano talmente palesi da essere ormai diventati un marchio di fabbrica. Ad esempio la furbata introdotta da qualche anno di arruolare tra le fila della pellicola comici di Zelig ha sempre dato i suoi frutti, facendo la differenza anche nei riguardi di un pubblico più giovane, che si accontenta di poco.
Lo sfoggiare personaggi televisivi come trofei sembra ripagare la produzione: ogni anno si scopre il nuovo "venduto" e si macinano altri milioni di Euro.
Se ormai Fabio De Luigi è una costante, la "sorpresa" di quest'anno risiede nel volto di Ludovico Fremont, "star" nascente strappata al cast di "I Cesaroni" (serie televisiva che sembra far da tutorial per apprezzare meglio i film di Natale).
Chissà quanto incasseranno questa volta? Le scommesse sono aperte.

Low Cost/Extra Lusso

Due sono gli episodi del film: nel primo Christian De Sica e Massimo Ghini interpretano due padri che da tempo sognano di fare una vacanza extra lusso a Rio de Janeiro.
Invece Emanuele Propizio (Grande Grosso e Verdone) e Ludovico Fremont (i Cesaroni) indossano i panni dei due figliocci scapestrati: anche loro hanno prenotato una vacanza per Rio, ma low cost .
Il funesto fato vuole che le coppie si scambino i viaggi per errore: i ragazzi verranno catapultati in Hotel di lusso e incontreranno ragazze meravigliose, mentre i due poveri padri si ritroveranno tra favelas e ladruncoli di strada - e le gag qui si scrivono da sole.
Nel secondo episodio invece, seguiremo le vicende di Michelle Hunziker e Fabio de Luigi (Love Bugs). I due, colleghi di lavoro, si ritroveranno assieme in un viaggio a Rio per un equivoco con un e-mail, e assieme a Paolo Conticini formeranno un triangolo amoroso dai non pochi grattacapi.

Il Colpevole

E' impossibile riporre speranza in prodotti del genere, nonostante le interviste fuorvianti del cast, i trailer meno "spinti" del solito e un tentativo di imitare serie di successo come "Love Bugs": il risultato è inevitabilmente sempre lo stesso.
Quando già nei titoli di testa, la canzone di sottofondo consiglia un suicidio mediatico è già chiaro a tutti quello che andremo ad incontrare.
Presupponendo che l'inizio voglia "confondere" lo spettatore suggerendogli una nuova chiave di lettura per questi prodotti (come se quest'anno il "Cinepanettone" avesse intenti diversi dal solito) l'esperimento si disperde subito appena realizziamo che si tratta dell'ennesima comicità basata sugli equivoci.
Messaggi comici rivolti ad una generazione bombardata da pellicole anni ottanta con Jerry Calà e Ezio Greggio che, a sua volta, ha allevato una nuova schiera di appassionati di commedie volgari, "zozze", una uguale all'altra.
Il susseguirsi infinito degli stessi siparietti, risulta talmente triste da osservare sul grande schermo che la sensazione dominante che si percepisce è la pena per gli interpreti. Pena immeritata, pensando che stiamo guardando degli "attori" in vacanza, che, con uno sforzo minimo (anzi inesistente), qualche pernacchia e due modelle semi nude, riescono a portare a casa milioni di Euro.
Palate di denaro intascate alla faccia di quelli che pagano il biglietto per questi insulti, quando basterebbe affacciarsi da un balcone per avere uno spettacolo più interessante.
Ma la vera ipocrisia, più che nel cast e negli addetti ai lavori che almeno sono fieri di quello che fanno, risiede nelle emittenti televisive che pubblicizzano film di questa risma. Pronti a mostrare il risultato ai botteghini senza problemi, ma mai disposti a dare spazio a una recensione o all'opinione di chiunque si intenda di cinema (oppure abbia un poco di buon senso). Tanto ormai la rivalutazione del cinepanettone è già cominciata in certi ambienti, e Parenti e soci non han neanche dovuto attendere la classica "gloria postuma" sempre di moda in Italia.
Resta essenzialmente inutile affermare quanto sia mcarente una pellicola come "Natale a Rio": è ovvio, scontato, soprattuto perché è stata pensata per essere così.
Il dito va puntato sulle migliaia di spettatori che a Natale spengono il televisore, smettono di guardare "Buona Domenica" o "Uomini e Donne" e si trascinano alle biglietterie assicurando con i loro euro un nuovo "Cinepanettone" anche per l'anno a venire.
Non possiamo biasimare De Sica o Neri Parenti se con un lavoro di qualità bassa riescono a raggiungere vette di guadagno non indifferenti. Al massimo, e più onestamente, possiamo invidiarli.
La soluzione è una, semplice e chiara: volete mettere fine ai "Cinepanettoni" ? Basta non andare a vederli.
Le pellicole squallide ci sono perché piacciono, quindi chi va giudicato?

Natale a Rio Pellicola squallida sotto ogni punto di vista, sia tecnico che artistico, ma è coerente e raggiunge esattamente quello che si prefigge: macinare quattrini. Un Prodotto assolutamente perfetto per il pubblico al quale si rivolge, e un capolavoro di produttività e di guadagno. Risulta quindi inutile ogni considerazione sui meriti cinematografici di un film che, al confronto, fa sembrare le gag e le tematiche di un qualsiasi American Pie roba partorita da Ingmar Bergman. A dover essere recensita, sarebbe una società, quella italiana, che in un modo o nell'altro sembra riconoscersi nella cinicità, nella cialtroneria, nella superficialità dei personaggi di Cristian De Sica e soci, a giudicare dagli esiti commerciali che ogni anno vengono raggiunti dai cinepanettoni. Riadattando un celebre proverbio "siamo quello che vediamo". E' ora di recitare qualche sano "Mea Culpa"

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