Recensione State of Play

Russel Crowe e Ben Affleck nei vortici di una spy story.

Recensione State of Play
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Dalla tv al cinema

Thriller giornalistico, dall'impostazione classica e verbosa con un cast di attori noti, ma non del tutto convincenti. Questo è, in sintesi, l'ultimo film di Kevin Macdonald, regista nel 2007 de L'ultimo Re di Scozia che valse a Forest Whitaker l'Oscar al miglior attore protagonista. State of play è la diretta trasposizione cinematografica della fortunata miniserie scritta da Paul Abbott e trasmessa dalla BBC. Un'intrigante quanto piacevole corsa al colpevole, con tanto di indagine gestita dalla polizia e portata avanti in segreto da un gruppo di talentuosi giornalisti. I colpi di scena non mancano e l'azione, quantomeno nei minuti iniziali, ricorda la serie Bourne. In effetti tra gli sceneggiatori compare Tony Gilroy - di cui abbiamo visto recentemente lo spy-romance Duplicity - ovvero il principale soggettista della trilogia tratta dai romanzi di Ludlum. Oltrepassata però la prima mezz'ora, il film arranca a intrattenere giacché manca di un soggetto realmente trainante.

La serie Tv

In Italia "State of Play" (2003) è andata in onda sul canale Jimmy nel 2006. Gli episodi, tutti caratterizzati da intrighi politici, omicidi, indagini serrate e momenti piccanti, hanno visto i due protagonisti, David Morrissey e John Simm, creare personaggi credibili su un soggetto di Paul Abbott, già autore di "Clocking Off" e "Shameless".

La trama

Il membro del congresso degli Stati Uniti Stephen Collins (Ben Affleck), è il presidente di un comitato che supervisiona la spesa della difesa. In corsa alla Casa Bianca, gli occhi dei media sono puntati su di lui fino a quando arriva la terribile notizia: la sua assistente nonché amante è stata brutalmente assassinata. Non si conosce il movente, ma in seguito a questa tragedia vengono alla luce molti segreti. Parallelamente, Cal McCaffrey (Russel Crowe), reporter del District of Columbia, si ritrova a dover investigare con l'aiuto dell'affascinante Della Frye (Rachel McAdams) in cerca dell'esclusiva per il suo direttore (Helen Mirren). McCaffrey, tuttavia, vanta un'amicizia di vecchia data con Collins, grazie alla quale scoprirà una serie di verità opportunamente insabbiate da chi detiene il potere. Ma fidarsi fino a che punto e a che prezzo? D'altra parte: "Un bravo giornalista non ha amici, solo fonti".

[Mai fidarsi di un direttore]

Con una serie di successo alle spalle e forte di tre sceneggiatori di talento (in particolare Billy Ray e il suo ottimo Breach - L'infiltrato) State of Play non è riuscito a soddisfare le attese. Questo perché nonostante punti a coinvolgere gli spettatori più navigati - specie se alla scena spettacolare, ma priva di logica si preferisce un buon dialogo -, disperde il suo messaggio destabilizzandone l'equilibrio interpretativo. Il giornalismo che anticipa la polizia, che mette a repentaglio la vita di sbadati innocenti in un caso di rilevanza nazionale, appare davvero poco realistico; ma soprattutto sono le ipotesi a non reggere alla lunga distanza. I momenti di déjà vu si presentano a cadenza regolare - anche se i più importanti si concentrano in concomitanza delle battute finali - e, come se non bastasse, a compromettere la credibilità della storia ci pensano gli attori. Se Russel Crowe è forse l'unico a calarsi nei panni del giornalista olimpionico e con la puzza sotto al naso, il resto del cast per diversi motivi non riesce a coordinarsi con il proprio personaggio. Ben Affleck nei panni di Stephen Collins, in particolare, risulta troppo distante e poco in parte nonostante si sforzi di sembrare adulto e maturo; da questo punto di vista la sua faccia da bravo ragazzo non lo gli ha semplificato il lavoro. Ci si chiede come lo avrebbe interpretato Edward Norton, anche se il suo rifiuto la dice lunga sulla qualità della sceneggiatura. Kevin Macdonald probabilmente è il solo a crederci, tanto che non fa mancare brillanti momenti di pathos e tensione - si pensi all'originale sequenza dell'omicidio o all'incontro frontale col killer.
State of Play non è un brutto film, semplicemente sa troppo di già visto. Piacevole la sua diegesi classica e improntata sul dialogo giornalistico, così come la colonna sonora, ma il soggetto alla base non è che il solito minestrone riciclato, che cerca a tutti i costi di sorprendere pur non avendone i presupposti. E per far ciò, non si accorge nemmeno di scadere nella stucchevolezza.

State of Play State of Play è un thriller piacevole sebbene poco originale. Viste le penne coinvolte ci si chiede come mai non siano andati oltre il già visto, anche perché i temi interessanti (su tutti il confronto stampa/blogger) non mancavano. Il cast poi non sembra molto convinto e a pagarne le conseguenze è propria la credibilità della storia. In generale, nonostante le premesse, il film appare decisamente poco verosimile e costruito attorno alla figura (mitizzata) del giornalista brillante e senza macchia.

5.5

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