Recensione Lost Planet: Extreme Condition

Fuoco e fiamme nell'inverno di Capcom

Lost Planet
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Il gelo di Lost Planet lentamente si diffonde oltre lo schermo del monitor. Si inizia a giocare con il consueto distacco dell'osservatore esterno e gradualmente si diviene molecola di un mondo invadente ed ostile.
    Lost Planet: Extreme Condition è il nuovo brand della Capcom, tra le regine del mondo videoludico la più dinamica. Nasce come progetto furbo, che maliziosamente ammicca ad oriente ed occidente. E come vedremo riesce a centrare entrambi i target.

    Punti di vista

    Lost Planet è un viaggio già iniziato diverse volte, ma mai concluso. Ha radici piantate negli shootem'up e rami puntati verso i first person shooting. E' l'anello finale di una ibridazione che non è mai stata cavalcata, per paura di ottenere un duplice diniego piuttosto che un consenso concorde. E' il protagonista di Space Harrier che scende dalla sua piattaforma e comincia a sporcarsi la divisa di neve e polvere. E' Max Payne che vaga tra i ghiacci polari, Marcus Phoenix davanti a centina, migliaia di locuste. Quando pensavamo di aver raggiunto un checkpoint difficilmente bissabile con Gears of War ci troviamo nuovamente ad eseguire un passo in avanti; auspicato, ma insospettato. Molti sviluppatori stanno abbattendo quell'idea di shooting che risultava omologata. Stanno scappando dal concetto ludico di Half Life, di Quake, di Halo per trovare nuove strade e nuovi pellegrini. Stanno tradendo la prima persona, sirena di una immedesimazione che non ha mai convinto. Delegare ogni sensazione all'occhio del protagonista di un videogioco, significa privarsi di altre esperienze sensitive. Come avvertire sulla nostra pelle il rigido clima di Lost Planet se non possiamo vederci annaspare nella neve alta, se non possiamo osservare la brina depositarsi sul nostro capo e sulla nostra giacca, se non possiamo vedere gli schizzi di neve ammantarci? Come trasmettere le Extreme Condition del sottotitolo del gioco se non mostrando gli effetti sul personaggio e quindi sul giocatore che vive in simbiosi con lui? Gli sviluppatori dietro a Lost Planet hanno dato seguito a tutte queste congetture imponendo una visuale in terza persona e per la prima volta appare una scelta calibrata e fondamentale.

    Una sola risorsa per l'uomo

    Gli umani hanno abbandonato da anni il pianeta di origine dirigendo i propri sforzi colonizzatori sul glaciale E.D.N. III. La superficie di questo luogo è perennemente ricoperta da una coltre di neve e funestata da impressionanti tempeste artiche. La temperatura dell'aria rasenta la soglia di tollerabilità dell'uomo. Le condizioni di vita sono pessime e una notevole quantità di energia è necessaria per fronteggiare il clima ostile. Il pianeta E.D.N. III è popolato dagli Akrid, essere alieni dalle sembianze riconducibili ad aracnidi ed insetti terrestri. Tali Akrid si dimostrano, a breve, non essere esclusivamente una minaccia per i coloni, ma anche una risorsa al fabbisogno energetico. Nelle proprie viscere si celano delle sacche di energie termica che gli umani hanno imparato a sfruttare. I predatori diventano prede.
    Durante una battuta di caccia incontriamo il protagonista di Lost Planet, Wayne Gale. I tratti orientali di Wayne, modellati sul volto dell'attore coreano Lee Byung-Hun, sono pesantemente anonimi ed insieme ad un vestiario che presenta come connotato caratteristico esclusivamente un visore adagiato sulla fronte, aiutano a delineare Wayne come uno dei protagonisti di videogiochi Capcom più insignificanti. Il tappeto narrativo si srotola vorticosamente dopo che Wayne viene soggiogato dalla possanza di Green Eye, un Akrid di dimensioni faraoniche. Rimasto esanime dopo lo scontro, resta sepolto dalla neve fino ad essere risvegliato, un domani, da un trio di persone votate all'eliminazione della minaccia autoctona: il carismatico Yuri, l'esperto tecnologico Rick e la deliziosa Luka. L'improvvisa perdita di memoria, che sorprende Wayne una volta ripresa coscienza, è il meccanismo che consente alla narrazione di evolvere e contemporaneamente compensare gradualmente delle lacune legate al passato del protagonista ignare al giocatore. La trama è purtroppo un pout pourri di personaggi stereotipati, clichè abusati, montaggi scadenti, su un substrato di sequenza da b-movie. Ma con Lost Planet si può sorvolare su queste deficienze del costrutto narrativo e godersi una giocabilità che rasenta la perfezione.

    Pura estasi ludica

    Lost Planet si appropria dell'aggettivo blastatorio, ormai caduto in disuso. Lo rilegge e lo attualizza fornendo un'espressione videoludica innovativa ed efficace. Gli avversari che incontreremo sono essenzialmente di due tipi: gli Akrid e gli umani. I primi hanno un set comportamentale animalesco. Attaccano senza strategia, si muovono in modo disorganizzato e puntano esclusivamente al loro obiettivo. La minaccia può essere rappresentata dalla numerosità degli elementi ostili oppure dalla loro dimensione, talvolta anche dalla combinazione di questi. L'abilità richiesta al giocatore sarà concentrata sulla capacità di divincolarsi tra gli Akrid e contemporaneamente offenderli grazie all'arsenale in dotazione. La rarefazione dei colpi inferti dagli Akrid e la loro limitata mobilità sposta il campo di sfida su un piano differente dagli shootem'up classici. Non è mai richiesto un'esorbitante livello di schivate, piuttosto la dominazione degli scenari di gioco, che sono sufficientemente ampi da consentire ogni chiave difensiva si desideri. Una meccanica più cauta va riservata per gli scontri contro i boss di fine livello. Questi brillano per dimensione e ferocia ed il loro comportamento è dettato da pattern predefiniti. Il target dei boss (che nel prosieguo del gioco entrano a far parte del bestiario consueto, seppur con un ridimensionamento della vitalità) è sostanzialmente costituito dalle sacche di energia termica che sono facilmente visibili grazie ad un'accesa luminescenza gialla-rossa. Questi depositi corporei di energia rappresentano l'unico obiettivo sensibile degli Akrid più massicci. Contemporaneamente agli Akrid, il plot ci porterà ad affrontare dei nemici umani. Dapprima dei pirati della neve ostili e seguentemente dei soldati della Nevec, una organizzazione le cui intenzioni diverranno sufficientemente chiare con il proseguire della storia. Il modus operandi degli avversari umani è differente. Tendenzialmente si mantengono a distanza da Wayne, sfruttando la portata delle proprie armi e beneficiando di alcune coperture. L'intelligenza artificiale che li controlla non è estremamente elaborata. Basta fronteggiarli a breve distanza, per instillare in loro un sottile imbarazzo e per vederli muoversi in modo indeciso; più attratti dalla ricerca di una protezione che dal desiderio di abbattere l'avversario. Se i fanti sono una minaccia consistente solo se affrontati con frettolosità, decisamente più pericolosi sono i soldati a bordo di mech. Nel vocabolario di Lost Planet i mech sono noti con il nome di Vital Suit. Le varianti offerte sono diverse e l'aspetto più esaltante è la possibilità per lo stesso giocatore di impadronirsene. La breve animazione che vede Wayne sedersi al posto di comando, il VS sollevarsi sulle gambe ed infine azionare i propri meccanismi interni concederà un leggero piacere durante l'intero corso del gioco. Ogni Vital Suit esegue la propria routine iniziale in modo diverso, accompagnata da un rumoroso clangore. La dotazione balistica dei Vital Suit è identica a quella dei soldati, seppur con delle evidenti diversità di dimensione e potenza. Sia a terra che a bordo di un mech potremo utilizzare migliatrici, doppiette, lanciarazzi, fucili oppure cannoni laser e di energia. Wayne potrà trasportare solamente una coppia di armi, analogamente avviene con i Vital Suit. Sarà possibile rimuovere un'arma da questi ultimi e sostituirla con una diversa, oppure lo stesso Wayne potrà imbracciarne una in situazioni di emergenza. A bordo dei mech, il protagonista si troverà sostanzialmente in una fase di immortalità. La barra di vita viene sostituita momentaneamente dall'indicatore di stato del Vital Suit; al decadere di questo il mech esploderà lasciando il giocatore nuovamente a calpestare personalmente il suolo di E.D.N. III.
    Lost Planet presenta una coppia di barre sull'HUD di gioco. La prima evidenzia lo stato di salute del protagonista, e tende a decimarsi ad ogni colpo subito. Grazie alla funzionalità di un oggetto futuristico chiamato armonizzatore, Wayne ha la capacità di rigenerare la propria salute consumando un quantitativo corrispondente di energia termica, associata alla seconda barra di stato. La continua osservazione del livello di quest'ultima è una delle ruote motrici del gameplay. Senza energia termica Wayne non potrà recuperare la propria vitalità, né manovrare i Vital Suit e soprattutto perderà con il passare del tempo porzioni di vitalità a causa del freddo polare. L'energia termica si condensa in pozze dopo l'uccisione di qualsiasi nemico oppure in seguito all'abbattimento di specifici serbatoi. All'interno delle mappe sono disperse inoltre della Stazione Dati che hanno la triplice funzionalità di innalzare il quantitativo di Energia Termica, fornire una mappa della zona circostante, accessibile dai menù di gioco, ed infine indicare la direzione aerea della prossima stazione oppure della destinazione finale.

    Questa dipendenza dall'energia termica stimola una meccanica di gioco equilibrata e ponderata. Il nemico, che sia un Akrid, un umano oppure un mech, è contemporaneamente pericolo e salvezza, male e cura. Il giocatore deve saper gestire gli ammanchi di energia termica e ciò significa dover fronteggiare volontariamente ogni agente ostile che possa essergli utili. Ad un livello di difficoltà Normale prevale la volontà sterminatrice del giocatore, ma passando a dei gradi superiori procedere con maggiore oculatezza è fondamentale. Basta passare al successivo livello Difficile per imbrigliare il gioco in una struttura più spigolosa, per temere ogni singola creatura ostile. La longevità del titolo pertanto è direttamente proporzionale alla scelta iniziale che si compie. Il cronometro di gioco si bloccherà, in ogni caso, intorno alle sei-sette ore di gioco una volta giunti ai titoli di coda, ma il tempo fisico impiegato per arrivare al fatidico finale potrebbe risultare doppio o ulteriormente maggiore.

    Battaglie a 20° sotto lo zero

    L'azione di gioco è coadiuvata da un sistema di puntamento e spostamento realizzato ottimamente. La levetta sinistra è deputata al movimento del nostro avatar in ogni direzione sul piano di gioco, mentre l'analogico destro è utilizzato per spostare il punto di mira della propria arma. Muovendo il mirino all'interno di un quadrato invisibile situato al centro dello schermo, l'inquadratura rimane ancorata alla propria posizione. Oltrepassando il perimetro dello stesso la visuale subisce una rotazione nella direzione relativa. E' una soluzione poco usuale per i giocatori di FPS, ma assolutamente funzionale ed appagante. Inoltre riduce al minimo i disturbi da motion sickness che paiono colpire in modo accentuato il popolo orientale. I controlli sono docili e dopo un incremento della sensibilità (che suggeriamo) degli stessi rispetto ai valori di default è possibile annullare in breve tempo qualsiasi gap prestazionale rispetto ai normali shooting. Per incrementare la mobilità di azione è stato aggiunto a Wayne un rampino in dotazione. Con la semplice pressione del pulsante x una corda con appiglio viene scagliata in direzione della porzione di schermo mirata. Se il rampino impatta contro una superficie adatta, come per esempio il fianco di una formazione rocciosa oppure la parete di una costruzione, Wayne verrà catapultato nel punto individuato per poi prodursi in un salto in grado di scavalcare il ciglio dell'obiettivo. In questo modo sarà possibile padroneggiare lo scenario non soltanto orizzontalmente. Il level design degli scenari gode di questa introduzione ed è stato indirizzato per fornire una ulteriore esplorazione in senso verticale.

    Analoga attenzione è stata riposta alla progettazione delle mappe per il Live! In modo piuttosto sorprendente Capcom ha impreziosito Lost Planet con una sontuosa componente online. L'incedere del gioco multiplayer è analogo a quello di comuni FPS (la possibilità di zoomare la visuale fino a coincidere con i globi oculari di Wayne abbatte ogni barriera), ma con delle sottili varianti. Le modalità offerte sono le classiche eliminazioni (a squadre e non), Fuggitivo (tutti i giocatori in stanza devono accanirsi contro un unico soggetto che ha l'ovvio compito di ritardare il più possibile la sua morte) e Conquista Stazione Dati in cui è necessario controllare il numero maggiore di omonime colonnine distribuite nella mappa. Il ritmo di gioco è tendenzialmente frenetico, ma la presenza massiccia di armi da recuperare negli schermi consente ad ogni giocatore di conquistare rapidamente un arsenale temibile. Le granate rivestono un ruolo importane. Rispetto alla modalità campagna vi è l'aggiunta di alcuni prototipi alternativi, come le granate disco e le granate partner. Nel caso delle modalità eliminazioni il punteggio conseguito non è collegato esclusivamente al numero di uccisioni effettuate. Ogni giocatore ha un punteggio di base, che potrà variare nel corso della partita. Le kill e la conquista di una stazione dati portano un accrescimento del numero di punti, mentre le morti ed i suicidi comportano una variazione negativa del totale. I Vital Suit sono controllabili anche nella modalità Live; la distruzione di uno di questi conferisce un ulteriore guadagno punti. Dietro a questa elencazione si cela un giudizio sulla godibilità del comparto online, che può emergere unicamente con delle prove sul campo. Il multiplayer di Lost Planet è estremamente piacevole, in particolare se non si richiede un margine strategico elevato. La vastità delle mappe (molto valide e scenograficamente ispirate), l'evoluzione verticale degli ambienti, la dirompenza di molte armi e la presenza di numerosi Vital Suit non consente di attuare tattiche elaborate. L'abilità del singolo prevale su ogni altro aspetto, intesa come capacità di mira, ma anche di padronanza delle mappe e dei controlli. In particolare il rampino è particolarmente indicato per fuggire da situazioni complicate e la riuscita di tale manovra evasiva è realmente appagante. Attualmente le stanze sono satolle di giocatori extra-europei. Le lobby create da utenti statunitensi oppure giapponesi (in cui il gioco sta ottenuto un discreto successo) costituiscono la maggior parte di quelle disponibili con conseguenti problemi di lag. Il consiglio è di eseguire il controllo della nazionalità del giocatore hostante ed evitare giocatori localizzati al di fuori del vecchio continente, cercando di emulare un check up che avremmo gradito fosse compiuto automaticamente dal gioco. Il codice live dello stesso è estremamente valido, ma la quantità di posti nelle stanze (fino a 16) sono uno scoglio insormontabile per le nostre connessioni telefoniche.

    Un colosso di ghiaccio

    L'ambientazione di Lost Planet non è mera location. Il rapporto che si crea tra il giocatore e lo scenario è (e doveva assolutamente esserlo) intimo ed invasivo. Quindi, la drammaticità delle condizioni ambientale è stato indubbiamente il punto di partenza dello sviluppo del titolo. Ed i risultati ottenuti da Capcom sono sbalorditivi.
    L'acne tecnico/grafico ottenuto bissa il livello raggiunto da Gears of War. Epic ha percorso una strada più statica, focalizzata sulla resa eccezionale, e soprattutto ricca di stile, delle texture e degli effetti di illuminazione. Con Lost Planet è stato percorso un cammino parallelo. La qualità degli effetti di superficie applicati al carapace degli Akrid è assolutamente valido, ma non raggiunge i picchi raggiunti dalle locuste di GOW. Wayne è riprodotto in maniera impeccabile, ma non genera meraviglia come il volto di Marcus. Viceversa Lost Planet fornisce un comparto tecnico a tutto tondo che primeggia in altri, molteplici, campi. Gli effetti particellari sono riprodotti in maniera sorprendente. Le esplosioni sulla neve innalzano una nube bianca che ostacola la vista del giocatore, con un effetto incredibilmente verosimile. La distruzione di un mech produce un'esplosione viva, dinamica, che si sviluppa in ogni direzione (da distanza ravvicinata la simulazione della rifrazione ottica dei gas combusti non è ottima dando la parvenza di una sgranatura, ma è un peccato veniale). Gli effetti di fumo sono dosati con sapienza, con una tridimensionalità straordinaria. Tutte queste delizie si sviluppano all'interno di ambienti che sfoggiano una resa cromatica incredibile: i colori del cielo si espandono riflettendo sulle cime innevate, il suolo bianco si illumina se colpito dai raggi del sole, le caverne degli Akrid vivono di migliaia di colori con tonalità surreali che fanno gridare all'artwork, mentre le lacrime solcano il viso del giocatore rimasto inebetito dalla gioia visiva. Come assegnare a Gears of War un primato visivo assoluto, dinanzi a cotanta magnificenza? Ogni oggetto presente nelle mappe è soggetto a distruzione ed ad ogni deflagrazione centinaia di piccoli pezzi schizzano secondo le regole della fisica dei corpi. Ogni elemento su schermo, ogni Akrid, ogni umano, ogni mech si muove con animazioni semplici, ma funzionali. Vorremo prolungare questa lista di mirabilia, ma saremmo costretti a svelare scenari e situazioni che preferiamo il giocatore scopra con il pad in mano, piuttosto che davanti ad una tastiera.

    Dobbiamo comunque formalizzare alcuni difetti che minano una eventuale perfezione. La gestione delle ombre è concessa solo agli elementi mobili. Talvolta ci troveremo al di sopra di una struttura e vedremo la nostra ombra proiettata senza che venga mostrata quella della base su cui poggiamo. L'effetto risultante sarà di un corpo scuro che vaga in modo assoluto sul piano di gioco innevato. Questo peccato rovina un pochino l'esperienza Live!, perchè consente di individuare degli avversari grazie alla loro ombra proiettata irrealmente.
    Sebbene ogni elemento sia distruttibile, le parti restanti in seguito all'abbattimento tendono a scomparire dopo pochi secondi, con un effetto di fade away. Analoga sorte tocca ai nemici eliminati. Infine Lost Planet è saltuariamente afflitto da rallentamenti (senza pregiudicare assolutamente la giocabilità complessiva), mentre le immagini sono afflitte da tearing in modo randomico. Le connessioni VGA sembrano soggette maggiormente a tale imperfezione visiva, sia con visualizzazione 16:9 che 4:3. La presenza dello stesso problema in Dead Rising pare non abbia stimolato sufficientemente Capcom nella ricerca di una panacea valida.
    Il comparto sonoro è complessivamente dignitoso. Le musiche sono composte in modo appropriato, ma non sempre riescono ad innalzare l'esperienza di gioco e condurre il giocatore verso l'estasi audio-visiva. Gli effetti sonori sono puliti e discretamente vari, con particolare cura riposta verso il rumore della armi e dei Vital Suit. Infine il parlato in inglese è di buona fattura e il tono di alcune voci rievocherà, come un deja vù, altri personaggi Capcom grazie alla coincidenza degli speaker.

    Lost Planet Extreme Conditions Lost Planet Extreme ConditionsVersione Analizzata Xbox 360Tanta magnificenza ci ha colto impreparati, sebbene una trama approssimativa, alcuni difetti tecnici ed alcune mancate rifiniture stonino nel contesto generale. Avevamo apostrofato Dead Rising come un piccolo rubino rosso. Lost Planet è un semplice cristallo di neve. Geometricamente perfetto, se osservato con il giusto occhio. E' incredibilmente pratico nelle meccaniche, raggiungendo livelli di immediatezza sognati da sviluppatori esperti nel genere degli shooting. Viscerale se affrontato con un livello di difficoltà normale, sfida avanzata che odora di retro gaming per chi vuole mettersi alla prova con gradi superiori. Mentre molti cercano di rappresentare l'oggi videoludico, Capcom cerca di attirare il passato e condurlo a noi, costruendo su parole magiche come semplicità e divertimento. Rievocando il tempo in cui i mondi venivano condensati negli stage, piuttosto che espandere i quadri fino a farli diventare mondi.

    8

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