Recensione Metal Gear Solid: Portable Ops

"Tu e quale esercito?"

Recensione Metal Gear Solid: Portable Ops
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  • Dopo le acide reazioni della spaesata utenza europea di fronte a due traballanti Card Game, Metal Gear Solid si presenta su Psp in una forma più consona alla sua vera essenza di Stealth Game d’alta scuola. Portable Ops abbaglia così i possessori del portatile Sony, protesi alla ricerca di un annunciato capolavoro che riesca ad infiltrarsi nei loro cuori. E’ così che il titolo Konami gode appieno della “congiuntura favorevole” dei tempi, spacciato per un nuovo, unico ed indimenticabile “masterpiece” di poesia ludica e narrativa.
    La realtà dei fatti è lievemente diversa. Portable Ops è un gran bel gioco, del tutto imprescindibile per i possessori della piccola Sony e per chi voglia appropriarsi in toto di una “continuity” che ripercorra la storia del Soldato Leggendario, ma a fronte di vistose e interessanti innovazioni concettuali soffre non poco di riduzioni (tecniche o meno) che impolverano l’esperienza di gioco.

    Metal Gear Solid? Ops!!!

    Metal Gear Solid non è mai stato soltanto un gioco. A fare da spalla (o a rubare la scena) ad un gamaplay assai raffinato, tutti i tre (o cinque?) capitoli della serie hanno avuto una trama interessante e ben sviluppata, radicata su di una sceneggiatura impeccabile e costellata di Cut-Scene dirette magistralmente. A tutti gli effetti, Metal Gear Solid è sempre stato, anche, e soprattutto, emozione. E la forza prorompente delle situazioni narrative ha trovato finale consacrazione in un terzo capitolo (Snake Eater) incalzante ed introspettivo, doppiogiochista e disciplinato, ricchissimo da un punto di vista squisitamente scenico.
    Portable Ops compie un vistoso passo indietro. Oltre che per mezzo dei soliti dialoghi radiofonici, la trama procede grazie a piccole scene realizzate non più con il motore di gioco, ma attraverso stilizzate tavole dinamiche. Lo stile del tratto è affascinante, si avvicina (meticolosamente) alle tavole di concept art che hanno caratterizzato, in copertina o meno, i tratti ipotetici dei personaggi nelle precedenti incarnazioni. Eppure nonostante gli sforzi del team e l’abbondante uso di tecniche narrative raffinate, il feeling con personaggi e situazioni è meno evidente rispetto a quello, glorioso ed indimenticabile, dei titoli principali. Forse anche a causa delle ridotte tempistiche con cui i fatti si sviluppano i comprimari non riescono a ritagliarsi un ruolo così rilevante, e di fronte ad un giovanissimo Roy Campbell, ad un inconsapevole Frank Jaeger, ai primi accenni sul progetto genetico che avrebbe dato l’avvio al progetto “Les Enfants Terribles”, non si resta impressionati e colpiti come sarebbe lecito aspettarsi. Cogliere i riferimenti di un’intricata “timeline” è piacevole, ma non entusiasmante.
    A salvare questo aspetto, il doppiaggio, eccelso, che caratterizza le voci dei protagonisti virtuali.
    Se pur privati di gestualità, sguardi, comportamenti in grado di renderli in qualche modo immortali, i protagonisti “vivono” grazie alle tonalità di un Voice Making perfetto, e almeno sul momento riescono ad attirare l’attenzione dell’utente, conducendolo con cadenza suadente lungo una tortuosa ribellione che, di lì a poco, avrebbe dato in natali ad un dimenticato Outer Heaven.

    Just Metal Gear Solid?

    Il gameplay basilare delle fasi attive di Portable Ops è quello che ormai distingue inequivocabilmente l’intera saga. In una sapiente mescolanza che ai semplici movimenti dell’originale capitolo PsOne aggiunge le movenze da Close Quarter Combat di Snake Eater ed i “Freeze!” di Sons of Liberty, senza la necessità mimetica del Camo Index, le meccaniche di gioco delineano uno Stealth Game variamente complesso, ricco di sfumature ed effettivamente in grado di restituire appaganti sensazioni. Grazie anche ad una buona efficacia delle routine comportamentali avversarie e ad un sistema di controllo finemente adattato alla disposizione digitale dell’Handheld, Portable Ops mostra dunque solidissime fondamenta ludiche.
    Eppure, dimostrando uno sforzo innovativo di fatta eccezionale, Kojima Production ristruttura pesantemente l’organizzazione del gioco, intarsiando con buoni risultati una struttura marginale che strizza l’occhio al managment bellico. Costretto ad operare nell’ombra in territorio nemico, Big Boss si trova a fronteggiare un intero esercito, senza evidente possibilità di riuscita. La soluzione adottata dal soldato leggendario consiste nel logorare lentamente le convinzioni dei militi avversari, catturandoli per poi convincerli a schierarsi dalla sua parte. Questo fa sì che, dopo le fasi iniziali dell’avventura (a dire il vero leggermente sottotono), Big Boss abbia alle proprie dipendenze un piccolo esercito personale. Così nasce la necessità di organizzare le fila del proprio contingente, indirizzando i soldati, a seconda delle loro abilità, in apposite “divisioni”: l’unità tecnica in grado di progettare accessori, armi e munizioni, l’unità medica al lavoro su razioni e medikit e costantemente impegnata per far recuperare ai propri uomini salute e stamina, e gli addetti alle operazioni di spionaggio, in grado di recuperare preziose informazioni in ognuna delle mappe di gioco. La penisola di San Hieronymo, in cui si ambienta l’intera avventura, è infatti suddivisa in vari Hot Spot, fra i quali è possibile muoversi utilizzando un carro trasporti guidato da un acerbo berretto verde: Roy Campbell. In ciascuna di esse Big Boss o uno dei tre soldati al suo seguito dovrà compiere una particolare missione.
    Un’impostazione di questo tipo determina, a valle, radicali modifiche nell’approccio all’azione Stealth. Pur variegando l’esperienza ludica grazie a gradevoli (ma non eccelse, e tutto sommato basilari) prerogative di amministrazione tattica e ad una serie di abilità che diversificano i vari soldati “reclutati”, l’eccessivo frammentarsi dell’esperienza riduce leggermente l’attrattiva del prodotto. Sebbene sia decisamente più in linea con lo spirito “portatile” della titolazione, non è raro avere la sensazione di giocare indipendenti e cortissime sezioni d’infiltrazione fini a se stesse, in cui al giocatore è richiesto semplicemente di recarsi in un determinato punto della mappa. Il fatto che, con conseguenze non immediatamente visibili (evidenti solo nel punteggio finale), sia possibile annullare o ricominciare la missione (le più della durata di pochi minuti) accentua la sgradevole sensazione di cui sopra. Probabilmente l’idea alla base di Portable Ops è quella di adeguarsi attentamente alla caratteristiche della macchina da gioco, risultando un prodotto adatto anche e soprattutto al disimpegnato quick play. E’ evidente la perdita di fascino che ne consegue: notare che in ogni caso è possibile completare la missione correndo “verso la X”, incuranti delle reazioni avversarie e degli allarmi, o utilizzare soldati perfettamente “integrati” al contesto tanto da passare inosservati, lascia perplessi e disarmati. Eppure, alla fine Portable Ops riesce a gratificare il giocatore, vuoi per un graduale amento di complessità delle mappe di gioco, che costringono a sessioni ludiche via via più complesse, vuoi per la grande quantità di elementi accessori: grazie all’unità di spionaggio è possibile trovare in ogni locazioni delle missioni accessorie aggiuntive. Prigionieri da liberare, armi da recuperare, personaggi segreti e ufficiali da catturare. Il tutto per rendere più competitivo ed efficace il proprio, personalissimo esercito, così da poterlo trascinare, superato il poco incisivo “Ending Theme”, nei campi di battaglia Online.

    Metal Gear Solid? Portable!!!

    Probabilmente vero pilastro portante del gioco, la modalità online di Portable Ops è ricca di contenuti e piacevole da giocare. Raccogliendo in eredità le classiche opzioni da FPS (Death Match, Cattura la Bandiera) ed offrendo l’opportunità di giocare in modalità Ad-Hoc e infrastruttura (fino a 6 giocatori), o addirittura in Game Sharing (per 2 utenti), il Metal Gear portatile guadagna non pochi punti. Soprattutto per il fatto che gli eserciti a disposizione dei giocatori saranno gli stessi costruiti durante le partite in Single Player: questo spingerà gli utenti più competitivi ad “esaurire” letteralmente il Solo Mode, cercando attentamente in ogni livello i soldati più capaci da arruolare nelle proprie fila, o le armi più efficaci.
    Il gioco in rete si divide sostanzialmente in due tipologie di partite: mentre nella modalità libera è possibile sfidarsi per il piacere della competizione, durante i match “classificati” si corre il rischio di perdere definitivamente i propri soldati, catturati dal nemico in caso sia lui a prevalere.
    Sfortunatamente la correlazione fra modalità multiplayer e singleplayer non si limita alla formazione di un contingente bellico sostanzioso: le mappe utilizzate in rete sono estensioni o riadattamenti di quelle viste durante l’avventura, e salvo rare eccezioni risultano leggermente claustrofobiche.
    In definitiva sembra di vedere un titolo che non è riuscito a prendere bene le “misure”: un’avventura poco incisiva perde la sua finalità principale (quella di entusiasmare), e diventa un lungo viaggio alla ricerca di soldati, ed una modalità multiplayer legata ad una disponibilità di mappe non sempre ottimizzate. Pur con il rischio di scontentare i fan, Kojima avrebbe forse dovuto prendere una decisione netta e dare un carattere ben definito alla sua opera: o un gioco “narrativo” ed intimo, o un frenetico titolo votato al “quick play” e al divertimento online, del tutto scisso dall’incedere della sceneggiatura o della storyline. In definitiva Portable Ops propende per quest’ultimo aspetto: esaurito lo story mode (lungo meno di dieci ore) il gioco resta un valido e longevo prodotto dedicato all’intrattenimento portatile.
    Lo sottolinea non solo la vasta mole di contenuti “autonomi”, ma anche la buonissima qualità tecnica del multiplayer (scarsa presenza di Lag) e qualche altra “finezza visionaria” di quelle a cui ci ha abituato Hideo: come esempio, citiamo la possibilità di reclutare validissimi soldati cercando in giro per la città le fonti dei segnali wireless.

    Portable Ops adatta alle (non troppo) ridotte capacità della PSP il motore grafico di Snake Eater. Il risultato finale è decisamente gradevole, soprattutto per quanto riguarda realizzazione dei personaggi e delle loro movenze. Le modellazioni poligonali sono ricchissime, dettagliate, animate in maniera ineccepibile. Meno impressionanti gli ambienti di gioco: l’ampio riuso di texture non sempre efficaci fa perdere un po’ il gusto visivo, a causa anche di architetture poco variegate, salvo rare eccezioni.
    Il framerate è piuttosto stabile, e “zoppica” solo durante gli scontri con alcuni boss (le cui routine comportamentali non sono affascinanti come ci si potrebbe attendere).
    Vale la pena citare una ottimizzazione della telecamera imperfetta: a causa delle ridotte dimensioni dello schermo (e quindi degli elementi visualizzati) l’inquadratura non può allontanarsi troppo dal personaggio: spesso non è facile, dunque, gestire la visuale. Niente di eccessivamente penalizzante, almeno ai livelli di difficoltà standard e lontani dall’azione frenetica delle partite online.

    L’accompagnamento sonoro di Portable Ops è, come da tradizione, magistrale. Non solo stupisce la gamma di brani che accompagna i movimenti felpati dei soldati e le loro “azioni di forza”, alternando sonorità e ritmi guerreschi in maniera ineccepibile, ma il già citato lavoro di doppiaggio, che interessa le sequenze filmate come gli interventi vocali “in game” dei soldati, è davvero perfetto.

    Metal Gear Solid: Portable Ops Metal Gear Solid: Portable OpsVersione Analizzata PSPMetal Gear Solid: Portable Ops soffre leggermente di una “crisi d’identità”: a metà fra l’esperienza narrativa e il voto che dichiaratamente offre al veloce intrattenimento portatile, non riesce ad inquadrarsi in nessuno dei due profili. Resta però un prodotto marcatamente interessante, non solo perché trascina su Psp meccaniche di gioco complesse, profonde e divertenti, ma anche perché tenta di tracciare una strada alternativa per il gioco in rete, e aggiunge elementi tattici e gestionali in grado di variare il collaudato (ma non abusato) gameplay. Un impegno creativo di questo genere è ben apprezzabile, e prodotti di così alta levatura pubblicati in esclusiva per Psp sono davvero in grado di valorizzare l’hardware per cui sono prodotti. In fin dei conti Portable Ops svolge funzioni affatto secondarie nel mercato, e marginali solo se confrontate con l’impatto dei capitoli di Metal Gear pensati per le console casalinghe. E’ doveroso dunque avvertire l’utente alla ricerca di esperienze segnanti come quella di Snake Eater che la presentazione della trama di Ops non è altrettanto efficace, così come meno “rotonda” appare l’esperienza di gioco. Quest’ultima trova dunque il suo sfogo più significativo nelle missioni accessorie e nel gioco in rete.

    8

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