Recensione Wario: Master of Disguise

Forse tenta di nascondersi per la pessima figura...

Recensione Wario: Master of Disguise
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  • Nintendo sembra non voler capire che affidare a terze parti lo sviluppo di prodotti legati ai suoi brand più famosi è un brutto vizio. Certo, da un lato offre l’opportunità della gloria (e di vendite più o meno sicure) a misconosciuti team “di periferia”, nella speranza di guadagnare non solo collaborazioni prolifiche e durature, ma anche di favorire la nascita di futuri progetti che popolino il mai troppo fervido mercato. Il dazio da pagare è tuttavia molto elevato: se non correttamente indirizzati, i team esterni rischiano di annientare quell’alone di nostalgia mitica di cui i personaggi-simbolo dell’azienda sono investiti da anni. E se in alcuni casi i progetti possono risultare comunque gradevoli (Starfox Command), altre volte il successo non è così scontato. Basti pensare a Yoshi’s Island DS, un videogioco che traballa pericolosamente sul baratro dell’inconsistenza ludica.
    Ed è proprio in questo stesso baratro che gli sviluppatori di Suzak hanno lanciato, ultimamente, Wario.

    Master of Disguise vorrebbe essere un “ritorno alle origini”, dopo che l’anti-eroe Nintendo per eccellenza ha abbandonato la via del platform bidimensionale per dedicarsi, con profitto, alle raccolte di minigame. Nella realtà dei fatti le contaminazioni al genere sono così tante e tanto evidenti che il titolo perde molte delle connotazioni tipiche del gioco di piattaforme, a causa di un level design sussiegoso e astruso, e di un ritmo ludico blando all’inverosimile. Con ordine.
    Le vicende narrate in Master of Disguise riescono inaspettatamente a cogliere lo spirito del personaggio, alternando ad una malsana ironia l’esaltazione del nonsense e la gloria della disarmonia che Wario stesso incarna. La narrazione procede a dire il vero in maniera piuttosto sopita, ma dialoghi ben scritti e personaggi indovinati riescono appieno a proiettare il giocatore in un contesto gradevole, in grado di svegliare i sopiti ricordi di chi non fosse ancora dimentico dei molti Warioland. Le prime battute della trama vedono il protagonista che si impossessa di una bacchetta magica parlante, che gli conferisce il potere di trasformarsi in un ladro agilissimo. Non passa molto tempo che Wario scopre gli altri, incredibili poteri della bacchetta: questa, ingurgitando delle gemme speciali, può donare al suo possessore la capacità di eseguire ulteriori trasformazioni, ciascuna con le proprie caratteristiche. Ed è proprio quando si guadagnano i primi poteri che Master of Disguise comincia a prendere forma, rivelando poco a poco come una struttura concettuale già abusata, affiancata da un level design senza verve alcuna, possano segnare la rovina di qualsiasi prodotto.

    Il sistema di controllo di Master of Disguise, ardito esperimento nell’ambito del platform bidimensionale, prevede l’utilizzo combinato del d pad (o della pulsantiera frontale, per i mancini) e dello stilo. Con i pulsanti direzionali si gestisce il movimento del protagonista, mentre con il pennino è possibile disegnare qualche stilizzato schizzo per cambiare trasformazione. Salvo rare eccezioni (in cui l’interazione è meno semplicistica), toccando lo schermo è possibile attivare il potere specifico della trasformazione. Già durante i primi minuti di gioco, osservato il level design piuttosto piatto e rettilineo, si intuisce che l’elemento fondamentale del Concept di Wario non è affatto il tempismo o la precisione millimetrica dei salti: il ritmo di gioco è blando, i movimenti del protagonista assai lenti, i nemici misere esistenze sopite con routine comportamentali prevedibili. La progressione avviene dunque in maniera assai tranquilla, e la particolarità del sistema di gioco è quella di “costringere” il giocatore a variare trasformazione per superare barriere architettoniche ed ostacoli locazionali. In pratica dopo che già Yoshi’s Island e Super Princess Peach avevano tentato l’ibridazione del platform con il Puzzle Game, Master of Disguise porta a compimento l’ideale percorso di nullificazione del ritmo elevato, riducendo tutti gli spunti ambientali non a stimoli motori (rampe e baratri, piattaforme semoventi e nemici attivi), ma a intricate situazioni lucubrative. Sfortunatamente l’ampia sessione dedicata al Puzzle Solving ha caratteristiche tutt’altro che vincenti: le locazioni mostrano chiaramente quale sia la trasformazione da utilizzare: altezze insormontabili rivelano che è necessaria l’agilità del ladro, alcuni tipi di blocchi non possono essere distrutti se non con le fiamme del Drago, stanze buie illuminate solo dall’Uomo-Lampo, e distese d’acqua attraversate solo con Wario-Natante. A fronte di una semplicità disarmante, le intricatissime geometrie dei livelli costituiscono l’unico elemento di sfida. Eppure, persi nei meandri di un Backtracking eccessivo (si è costretti a tornare sui propri passi un numero spropositato di volte, attraversando location chilometriche), i giocatori perderanno ben presto interesse per un titolo che non richiede altro che un’estrema pazienza. E basti considerare che alcuni livelli richiedono oltre cinquanta minuti per essere terminati (e data la latitanza di Save Point, è tradito lo spirito “portatile” del prodotto), per capire che spesso Master of Disguise è un titolo troppo logorante. Del tutto superflui sono poi i minigame che il giocatore deve affrontare per aprire i vari forzieri (dentro cui troverà tesori per incrementare il proprio punteggio, nuove trasformazioni o oggetti-chiave): le micro attività, tutte da affrontare con l'uso del pennino, divise in appena 6 tipologie, risultano monotone e poco ispirate. La loro unica funzione è quella di rallentare ulteriormente il ritmo di gioco.
    Si salvano in parte i Boss finali, alcuni dei quali si distinguono per un design ispirato e routine comportamentali gradevolmente complesse, eppure (anche a causa dei fastidiosi aiuti che semplificano l’esperienza di gioco) questo non basta a risollevare le sorti del gioco. Sembra che l’ultimo Wario non riesca a ritagliarsi uno spazio preciso all’interno del mercato: troppo complesso per le nuove categorie dei videogiocatori, eccessivamente stereotipato per chi ha ormai qualche anno di gioco sulle spalle, e assurdamente “contorto” per tutti.
    Neppure le buone idee in potenza si trasformano i concreti pregi: ad esempio i disegni che servono per mutare trasformazione sono semplicemente dei tratti stilizzati. Per eseguirli è necessaria una precisione certosina (vanno “composti” nei pressi del ridotto sprite di Wario), e spesso il sistema di riconoscimento scambia due pattern troppo simili, costringendo l’utente a ripetere quell’ingorgo di linee che ha tutte le caratteristiche di un pasticcio.

    Il comparto tecnico di Master of Disguise non risolleva la situazione.
    Anzitutto è facile notare che il 2D del titolo Suzak non è all’altezza degli ultimi lavori visti su DS (nonostante qualche sparuto tocco di classe), e in parte tradisce lo stile con cui Nintendo aveva caratterizzato i prodotti dedicati a Wario. La sottile decadenza che si avverte nelle locazioni non è voluta (Wario ha sempre avuto un occhio di riguardo per la pop-art surreale e povera), quanto derivante da un design delle strutture poco ispirato. L’ampio riuso di texture, la palette di colori leggermente “oppressiva”, pur applicata a locazioni “fuori norma” (cioè oltre il solco dei cliché del platform standard), condannano MoD all’anonimato quasi totale. L’assenza degli elementi distintivi che hanno caratterizzato le apparizioni del nasuto antieroe sgretola d’un colpo gli sforzi della casa madre per concedere a questo personaggio uno spazio elitario e ben determinato: e non basta qualche immagine di una scarpa puzzolente, la silhouette di un naso o degli scarafaggi da schiacciare per far si Wario ritrovi la sua dimensione.
    Infine gli sprite dei personaggi sono piuttosto piccoli, il set di animazioni ridottissimo e tutt’altro che gradevole, e i nemici incautamente modellati senza alcuna particolarità.
    Il comparto sonoro è uno smacco, e travisa completamente quella linea positiva con cui Nintendo ha inteso, finora, dare rilievo alle tracce musicali. Quelle di Wario: MoD non hanno nessuna particolarità, e dato il loro permanere (se il livelli durano lunghe mezz’ore, i Midi assillano il giocatore per altrettanti minuti) tendono a stancare anche le orecchie più pazienti. Laddove anche gli Artoon, con Yoshi’s Island DS, hanno avuto il doveroso buonsenso di riprendere temi sonori indimenticabili, il Team di Suzak ha ben pensato di chiudere il cerchio e mostrare fino in fondo la natura spiccatamente “Low Budget” del progetto.

    Wario: Master of Disguise Wario: Master of DisguiseVersione Analizzata Nintendo DSWario: Master of Disguise è un titolo insufficiente. Inserito nel solco di una serie di Platform massicciamente ibridati con cui Nintendo ha popolato il mercato, il lavoro dei Suzak tradisce non solo lo spirito del personaggio protagonista, ma segna il definitivo smarrimento di un genere che trova difficoltà sempre maggiori nel ritagliarsi un proprio spazio. Non dovremmo essere noi, quanto le scarse vendite, a consigliare alla Grande N un deciso ritorno alle origini. Perché oggi, il giocatore navigato ha poca voglia di sostenere pessimi impianti legati al puzzle solving (come in questo caso dominati dal Backtracking) o inserimenti ingiustificati di quei minigame che tanto piacciono alla massa (ma che sono futili e mal caratterizzati). Ben pochi utenti saranno poi disposti a sopportare quel generale clima di disfacimento ludico che soggiace ad un comparto tecnico al limite della sufficienza e arriva ad intaccare anche meccaniche trite e tutt’altro che profonde (e con qualche problema a livello di gestione dei segni). Se proprio non siete fanatici del platform game cervellotici, basati su ampie sessioni dedicate al puzzle solving, potete evitarlo senza rimpianti.

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