Intervista Gamification

Fabio Viola racconta l'espansione del videogioco nella vita quotidiana

Intervista Gamification
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A coniarla sono stati gli ambienti universitari, i primi ad utilizzarla i luminari degli atenei americani. E ora la parola Gamification può dirsi entrata nell'uso comune e il concetto sociologico/economico perfettamente integrato con i dettami della società dell'immagine e della tecnologia imperante. Applicare i consueti elementi remunerativi, collezionabili ed interattivi dei videogiochi allo schema di relazione tra individui e gruppi oppure all'interno di un modello di transazioni finanziarie non solo si ritiene essere un affascinante campo di studi teorici, ma anche un investimento economico potenzialmente proficuo.
E tuttavia rimangono numerose zone d'ombra su quanto il linguaggio videoludico - ancora piuttosto acerbo - possa permeare l'esistenza quotidiana e creare rete all'interno del pianeta dilatato a dismisura dalla globalizzazione. Il libro Gamification di Fabio Viola si propone come uno dei contributi più validi sull'argomento: scritto da un videogiocatore per i videogiocatori, narra la trasformazione del videogioco da prodotto fisico a digitale, da un modello di vendita attraverso negozi specializzati e grandi magazzini a uno basato sugli store digitali e le microtransazioni.
Con grande professionalità e grazie a reiterate ricerche sul campo, Viola può quindi indagare sugli aspetti più significativi della pervasiva penetrazione del medium interattivo nelle attività più disparate e sulle piattaforme più disparate.

Per ulteriori informazioni dirigete i vostri browser verso il sito www.gameifications.com dove è possibile consultare il sommario, una sinossi dei singoli capitoli ed ovviamente acquistarlo a partire dal 10 Marzo sia nella versione ebook che "print on demand", ovvero versione cartacea ordinata e spedita comodamente a casa.
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Intervista a Fabio Viola

Everyeye:Il termine Gamification è entrato di recente nel linguaggio specialistico dei new media e in parte anche della critica digitale. Quale il suo significato? Quale la sua origine?
Fabio Viola: Mi imbattei per la prima volta nel termine "Gamification" nel Febbraio 2010 ascoltando un discorso - il video è visibile sul sito ufficiale del libro - tenuto dal game designer e scrittore Jesse Schell alla Dice Conference negli Stati Uniti. Lo speech proponeva una nuova visione della nostra vita basata sul gioco, o meglio su come aspetti tipici del game design possano migliorare e influenzare positivamente ogni singola azione quotidiana: dal lavarsi i denti al mattino alle ore spese in ufficio passando per la prevenzione sanitaria. Punteggi, leaderboard, achievements, badges, livelli possono essere introdotti nella vita umana conferendo un aspetto divertente ad attività che per loro natura non lo sono. Dopo questo squarcio nel futuro, sono nate decine di start ups come BunchBall e BigDoor Media impegnate concretamente nel tentativo di "gamificare" le attività più disparate all'interno di un mercato stimato in 1.6 miliardi di dollari nel 2015 da M2 Research.

Chi fosse interessato ad approfondire questa specifica tematica troverà in "Game Based Marketing" di Game Zichermann una affascinante lettura (in inglese).

Everyeye:Una delle tue tesi sostenute è che tutti sono potenzialmente videogiocatori: dai nostri nonni che potrebbero prendere in mano un videogioco se solo trovassero una interfaccia a loro adatta, passando per chi svogliatamente si concede intermezzi a Solitario o Puzzle Bobble, e infine i cosiddetti "nativi digitali". Per quale motivo allora è così semplice incontrare uno sguardo di traverso al solo menzionare questi "giochini"?
Fabio:La domanda è corretta. Io stesso sono un videogiocatore console e quotidianamente mi confronto con amici o leggo commenti nei forum di settore in cui si individua in PES o Halo l' unica forma valida di videogioco. Fermiamoci un attimo a riflettere. La generazione dei nostri genitori ha giocato come noi, se non di più per via dell'assenza della televisione ed altri strumenti di intrattenimento alla portata di tutti. Hanno utilizzato le carte o giochi in scatola in ambiente domestico o in appositi locali si sono cimentati con i flipper, biliardi e calcio balilla. Per loro i "giochini" sono i videogiochi come CoD o WoW, un mondo totalmente estraneo alle loro logiche. La nostra generazione, ovvero gli attuali under 30, ha abbandonato le precedenti forme di intrattenimento tacciandole di scarsa interattività, immersione e così via. Non è difficile credere che i nostri figli giocheranno esclusivamente giochi digitali in piattaforme e modalità oggi impensabili vedendo in negli attuali dischetti e cartucce qualcosa di anacronistico.

Io credo che bisogni ritornare ad una condivisione di base degli elementi che rendano un gioco tale (obiettivi, regole, sistema di feedback e divertimento volontario), per poi lasciare al pubblico la possibilità di scegliere in quali generi, piattaforme e modalità cimentarsi. E quando dico "pubblico" intendo le 7 miliardi di persone che abitano la Terra. E' bene tenere a mente che i giocatori console, sin dagli esordi negli anni 70, non sono mai stati più del 4% della popolazione mondiale, ovvero nessuna generazione di console ha mai piazzato più di 250 milioni di unità nel suo ciclo vitale medio di 5 anni. Un profondo gap che l'industria deve colmare se vuole continare a crescere e probabilmente a sopravvivere.

Fatta questa doverosa premessa metodologica, vorrei sfatare il mito dell' "hardcore gamer" ed in genrerale di una industria contraria all'allargamento verso un pubblico "casual".

  • Nel 2007 Nintendo ha cambiato approccio lanciando Nintendo Wii. Una console diversa dalla concorrenza per sistema di controllo, tipologia di giochi e posizionamento marketing. Per la prima volta una console diventa parte integrante del salotto per una esperienza condivisa tra persone di sesso ed età diversa. Provate a fare una ricerca su Google Image digitando Wii e Xbox. Da una parte verranno restituite immagini piene di luci, persone allegre impegnate in un movimento fisico, nell'altro caso immagini più scure quasi solo di ragazzi con volti tesi nel mentre di uno sparatutto o racing. Questo azzardo di Nintendo è stato ripagato dal pubblico, attualmente Wii è la console next gen leader di mercato, superando di gran lunga i rivali Xbox360 e PS3.
  • Il 2010 ha visto il lancio di Playstation Move e Xbox Kinect. Periferiche in grado di far leva sul concetto di "Mimetic Interface Games", giochi che replicano esperienze di vita reale lasciandoci immergere immediatamente nel prodotto mediante un controllo corporale. Non più ore necessarie ad impratichirsi con decine di tasti ma una curva di apprendimento immediata. Apparentemente più vicini al mondo casual che hardcore, i risultati di vendita sono stati superiori alle attese con circa 8 milioni di unità vendute per il solo Kinect. 
  • Un ultimo dato ci arriva dalla continua crescita a doppia cifra dei giochi digitali scaricabili via PsStore, XBLA e WiiWare, dato ancora più significativo se raffrontato al calo di fatturato che i videogiochi tradizionali hanno fatto registrare negli ultimi due anni su scala mondiale... Numerosi titoli "casual", che non avrebbero mai trovato ragion d'essere in versione pacchettizzata, sono diventati bestsellers catturando l'attenzione ed il portafoglio di presunti utenti hardcore. 


Everyeye:Chi sono i principali attori di tale gamification? Gli sviluppatori di videogiochi? I videogiocatori?
Fabio:Gamification, per come viene intesa nel libro, è una forma mentis a cui l'intera filiera dei videogiochi dovrebbe ambire. L'obiettivo di uno sviluppatore o publisher dovrebbe essere quello di generare il più alto fatturato possibile. Per render questo possibile è indispensabile raggiungere il più ampio bacino possibile di utenza. Spesso si è persa di vista questa ovvietà, accontentandosi di generare un elevato ARPU (spesa pro capite media per utente) su un ristretto numero di individui. Nel mio modo di ragionare preferisco realizzare 1 milione di euro vendendo ad un euro un milione di copie e non a 100 euro sole 100.000 copie. Nel breve periodo potrebbe essere scarsamente funzionale, ma nel lungo termine aiuterà l'ingresso nel mercato di milioni di non giocatori che a loro volta tireranno dietro amici e parenti.

Portare un gioco su piattaforme estremamente popolari come i cellulari o Facebook rappresenta sicuramente una strada maestra della "Gamification". Tra i grandi publishers lo ha capito bene Electronic Arts che negli ultimi tempi ha acquisito sia un leader social developer come Playfish per 400 milioni di dollari sia il publisher iPhone Chillingo. Eppure nel corso della storia vi sono state interessanti strade intraprese dalla stessa industria console e PC per allargare le vendite al proprio interno. Nel libro vengono raccontate alcune storie, tra le tante Deer Hunter per PC. Il simulatore di caccia divenne negli anni 90 il software più venduto per PC scavalcando addirittura Windows 98. Come fu possibile questo miracolo per un genere così di nicchia? Il publisher GT Interactive posizionò il prodotto nelle armerie americane, luogo abituale di incontro per la comunità di cacciatori per l'acquisto di armi, munizioni ed attrezzatura tecnica. Fece ancora di più, rese Deer Hunter disponibile in bundle con prodotti da caccia dando vita a fatturati milionari frutto di una brillante idea marketing. Un gioco a basso prezzo veicolato a milioni di non giocatori che trovavano nel videogioco un semplice strumento per prolungare il passatempo preferito anche nei momenti domestici.

Everyeye:Quale è il ruolo del mobile gaming e dei social game?
Fabio:Le due piattaforme digitali sopra citate sono alla base di una rivoluzione copernicana iniziata nel 2007 con l'apertura di Facebook alle terze parti e proseguite nel 2008 da Apple col lancio del suo App Store, seguito a ruota da tutte le altre aziende di telefonia mobile. Possiamo individuare tre grandi meriti che travalicano la piattaforma stessa per ripercuotersi a cascata, su tutto l'ecosistema dei videogiochi:

  1. Distribuzione: questa ventata di nuovi store digitali è basata sul concetto di Ecosistemi Aperti. Chiunque può realizzare una applicazione e metterla in vendita, sia esso un ragazzino di 12 anni o una multinazionale come Activision. Senza particolari spese di accesso, al massimo i 100 dollari l'accredito Apple, si ha la possibilità di diventare bestseller sia creando "original ip" sia adattando brand prestigiosi, un processo di democratizzazione impensabile nel mondo console. Sappiamo bene come il "self publishing" sia impensabile nel mondo fisico dove subentrano enormi costi di masterizzazione e distribuzione, supportabili solo da figure specializzate e con fondi ignificativi alle spalle.
  2. Monetizzazione: Nel corso della storia dei videogiochi lo sviluppatore si è sempre accontentato della parte più piccola della torta. Su un prodotto console venduto a 60 euro al pubblico, nella migliore delle ipotesi e semplificando entrano 2-3 euro a copia allo sviluppatore, il resto viene eroso dal punto vendita, distributore, publisher. Nell'era del self publishing il paradigma si è invertito, lo sviluppatore è il dominus indiscusso della monetizzazione intascando tra il 70% (cifra standard negli application stores) ed il 100% (social networks, online games). Un capitolo a parte si potrebbe aprire sul cambio di business model velocemente in atto. Ad oggi è imperante il pay per play, paghiamo 60 euro e otteniamo la confenzione agognata piuttosto che paghiamo 5 euro per scaricare un gioco java. La massiccia adozione di queste nuove piattaforme da parte di milioni di nuovi giocatori sta contribuendo a spostare il baricentro sempre più verso il free to play. Da modello di nicchia è ormai il cardine dell'esperienza nei social games dove titoli come CityVille in 30 giorni hanno raggiunto circa 100 milioni di utenti attivi mensilmente dando vita ad una economia di virtual goods e micro transazioni.
  3. Innovazione: L'apertura delle piattaforme sta consentendo a centinaia di nuovi sviluppatori di cimentarsi in idee originali e spesso innovative. Un titolo AAA su console next gen richiedere budget di decine di milioni di euro, cifre significative che le aziende investono solo se sicure di vederle tornare indietro. E' questa la ragione se gli scaffali dei negozi pullulano di sequel o titoli brandizzati. Fare rischio d'impresa in piattaforme digitali, bestsellers come Angry Birds su iPhone e FarmVille sono stati concepiti con 100.000 dollari per dare una quantificazione. Si rischia lanciando idee, inventando generi o andando a coprire fette di mercato ormai lasciate scoperte dal mondo console. Nel libro si cita l'esempio dei giochi di moto trial, ormai scomparsi dal radar dei negozi ma vivi più che mai sul digitale. Trials HD su Xbox Live Arcade è stato uno dei titoli più venduti nel 2010 con oltre 1 milione di copie vendute in 12 mesi. Questo exploit ha permesso ad un piccolo sviluppatore nord europeo di gareggiare e sbaragliare competitors come Electronic Arts. Sempre nel 2010 su App Store ha fatto capitolino nella top 3 dei più scaricati Stick Stunt Biker, gioco di trial venduto a 79 centesimi. Un genere abbandonato dal mondo fisico che invece trova un pubblico enorme di milioni di giocatori in ambito digitale! 


Everyeye:La cultura videoludica, di cui la Gamification non è che una propaggine, lavora molto sul concetto di community, di pubblicità virale. Non sono poche quelle software house che si confrontano con stampa e utenti attraverso Twitter o Facebook. E' la sensazione di sentirsi parte di un gruppo dinamico, con cui è così semplice interagire, a decretare lunga vita al videogioco?
Fabio:Il concetto di community è proprio alla base dell'incredibile successo che i social games hanno conosciuto negli ultimi anni. Le prime testimonianze archeologiche risalenti a 3000 anni fa attestano come i primi giochi praticati fossero tutti "sociali", ovvero pensati per essere giocati insieme ad altre persone. Negli ultimi anni l'industria ha riscoperto l'importanza dell'esperienza inter-personale non vi è quasi più gioco che non includa una opzione multiplayer locale o via rete. Cosa sarebbe Callo of Duty senza la funzione multiplayer online? Cosa sarebbe Farmville se non si potesse confrontare la propria fattoria con quella di un proprio amico?

Inoltre tutti noi conosciamo Twitter o Youtube come incredibili tool di comunicazione per veicolare messaggi in forma diversa e a pubblici diversi. Ma in pochi sanno che entrambe le piattaforme citate sono in grado di ospitare giochi e potrebbero diventare, in futuro, grandi bacini di distribuzione. I primi esperimenti di giochi twitter ricordano di vicino il mondo dei giochi sms, prodotti puramente testuali che interagiscono in modo nuovo ed originale con i followers dando vita a produzioni interessanti come 140Mafia, rpg gangster based. Su Youtube invece è possibile da poco innescare meccaniche ludiche, sono già presenti quiz, avventure grafiche e addirittura picchia duri come un clone di Street Fighter.

Everyeye:Anche il cinema sembra o acquisire diritti di produzioni videoludiche o ricalcare i clichè del videogioco. Mancanza di idee o contagio interattivo?
Fabio: Le idee sicuramente non mancano, solo su iPhone ci sono attualmente 60.000 giochi, molti spazzatura ma alcuni estremamente appealing. Molti di questi sono realizzati da ex sviluppatori console che hanno fondato una propria start up o semplicemente hanno riconvertito il business focalizzandosi su questi nuovi Ecosistemi. Tenderei a scarte a proprio questa opzione.

In una precedente risposta ho parlato di giochi brandizzati. Questa continua caccia alla licenza famosa, sia essa cinematografica o dei fumetti o dalla vita reale, è la logica conseguenza del rischio di mancato break even. I publishers ragionano sui numeri stendendo un business plan in cui sono obbligati a preventivare i costi ed i ricavi nell'ottica di milioni di euro. Lavorare su un prodotto originale amplifica il rischio in una duplice veste: l'utenza potrebbe non trovare risposte a specifiche esigenze e le grandi catene di distribuzione (Gamestop e Mediaworld su tutte in Italia) saranno meno propense a concedere loro spazio sugli scaffali.

Lavorare su un marchio già famoso aiuta a preventivare le vendite analizzando i dati di prodotti affini (incassi al botteghino per una licenza hollywoodiana) e soprattutto consente al publisher di negoziare con posizione di forza il posizionamento del prodotto nel negozio. A tutto questo bisogna aggiungere il marketing naturale che un brand è in grado di apportare, mentre lanciare un nuovo franchise richiede sforzi enormi come quelli profusi da Microsoft nel rendere un "brand" lo sparatutto Halo.

Un libro coraggioso

Everyeye:Parlando del libro Gamification. Da dove è nata l'idea di trattare tale argomento e quale taglio intendi dare alla narrazione?
Fabio: Il libro vuole essere la narrazione del passaggio da una industria 100% basata sul videogioco "fisico" ad una aperta alla prospettiva digitale. Ad oggi è ancora difficile coglierne la valenza, ma guardando ad industrie vicine è possibile coglierne il dirompente impatto che si paleserà nel giro di pochi anni. Uno degli esempi citati è l'industria della fotografia ed il suo passaggio da atomo a digitale. Fino a venti anni fa esistevano le macchine fotografiche ed i rullini, Polaroid imperava con la sua geniale idea di foto istantanea. Un mercato enorme che sembrava inscalfibile. Poi arrivarono le macchine digitali e nel giro di un decennio aziende vecchie di mezzo secolo furono costrette ad evolversi. Purtroppo non tutte riuscirono a riposizionarsi, e da qui la morte di Polaroid e tante altre.

Il passaggio a digitale porta alcuni svantaggi come la chiusura di società (studi fotografici, produttori di pellicole) e una diminuzione generale del fatturato (10 euro il rullino, altri 10 euro per svilupparso scompaiono per sempre) bilanciati e superati dagli innegabili pregi. Il digitale abbatte i costi per l'utente finale ed in generale le barriere di ingresso che rappresentano spesso il primo ostacolo invalicabile all'adozione mass market di un prodotto. Se pensiamo alla diffusione della fotografia, è innegabile che oggi vi sia una produzione centuplicata. Ognuno di noi scatta foto con la sua Canon digitale o col telefonino condividendole immediatamente sul web. Lo stesso sta pian piano accadendo coi videogiochi, le nuove piattaforme come mobile, social ma anche le tv interattive contribuiranno ad allargare l'audience ed è questo il filo conduttore del libro.

Una straordinaria cavalcata su come i nostri amati videogiochi sono cambiati e cambieranno, senza voler minimamente sostenere l'estinzione veloce delle console che anzi diverranno sempre più strumento di fidelizzazione con l'avanzare di forme ibride (gioco retail + DLC) e hardcore (limited edition).

Everyeye:Come hai sviluppato il lavoro? Su quali fonti ti sei basato?
Fabio: Confesso di aver scritto gran parte del libro di getto in pochi mesi, per poi spendere altrettanto tempo nel perfezionarlo e dargli una forma narrativa ad uso e consumo di un pubblico eterogeneo. L'obiettivo del libro è quello di risultare leggibile sia per una platea di addetti al settore sia per il semplice appassionato di videogiochi e tecnologia in genere. Avevo da tempo in cantiere questo progetto, ma gli stringenti impegni quotidiani (sono socio in due società legate ai videogiochi) mi portavano via la forza mentale necessaria all'impresa. Il libro nasce da dieci anni spesi conversando e lavorando con i principali attori che hanno intrapreso questa trasformazione digitale da Electronic Arts Mobile (per cui curo la comunicazione dal lontano 2006) a Digital Chocolate (fondata da Trip Hawkins, inventore del mouse e padre di 3DO ed EA) passando per Namco Digital e Vivendi Games Mobile. Ad una teorizzazione sul campo si sono aggiunte numerose letture, sfortunatamente tutte americane, che negli ultimi anni mi hanno invitato alla riflessione. Letture non strettamente connesse ai videogiochi ma ad una serie di campi affini dalla psicologia al marketing. Tra i più inspiranti sicuramente "A Casual Revolution" di Jasper Juul, "Free" di Chris Anderson e "Made to Stick" dei fratelli Heath.

Everyeye:Per quale motivo il libro conosce una autopubblicazione? Gli editori contattati si sono dichiarati non interessati al progetto?
Fabio:Sin dal primo giorno in cui ho approcciato il progetto ho deciso di auto-pubblicarlo. Parlare di rivoluzione digitale, di piattaforme aperte dove ciascuno è cretore e publisher mi imponeva di seguire il modello anche a titolo personale. Non nascondo le difficoltà nel dover gestire un approccio di auto pubblicazione, soprattutto in un paese come l'Italia già poco avvezzo ai libri sui videogiochi intesi come industria ed ancora di più al self publishing. Da scrittore diventi editore e devi curare aspetti disparati dalla scrittura al marketing passando per la cover, sistemi di pagamento e distribuzione ma è una sfida entusiasmante che mi lascerà un know how spendibile nel mio vero lavoro. I vantaggi superano ovviamente gli svantaggi. Poter avere il controllo su tutti gli aspetti consente di focalizzare meglio l'attenzione e trattenere il 100% delle revenues (spese escluse) contro il 10% che solitamente retrocede un editore tradizionale.

Everyeye:Grazie mille per le tue risposte.
Fabio: Grazie a voi per l'interesse dimostrato e sono contento che la prima intervista di Gamification venga rilasciata a voi. Conosco il progetto sin dai suoi inizi 10 anni fa quando ebbi modo di confrontarmi spesso con Lightman e Gfxman..che tempi!!!

Gamification Con il suo ventaglio di proposte sull'intero mondo dell'entertainment, Everyeye non può che fantasticare sulle magnifiche sorti progressiste della gamification, una diffusione del concept videoludico ad altre branchie del sapere umano, dal marketing alla psicologia. E' per questo che abbiamo proposto a Fabio Viola, autore del volume Gamification in uscita il prossimo 10 Marzo, la chiaccherata che vi proponiamo qui sopra. Ma questo non è tutto: nelle prossime settimane seguiranno altri contenuti tratti dal libro in anteprima sulle pagine del nostro portale. Stay tuned!