Driveclub: il ritratto della Team Generation

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In occasione del lancio di Driveclub, il primo videogioco “sociale” dedicato al mondo del racing, sono stati presentati i risultati della ricerca, commissionata a Doxa da Sony Computer Entertainment Italia, che fotografa un mondo fatto di giovani sempre più disposti alla condivisione piuttosto che alle sfide solitarie. Il 61% ha una squadra o un team al quale è (o è stato) affiliato... Solo lo studio è meglio viverlo da soli, tutto il resto è da condividere.

Partiamo da un dato di fatto, per alcuni aspetti non proprio scontato. Il 61% dei giovani di età compresa tra i 14 e i 34 anni – spiega la ricerca Doxa, realizzata su un campione di 500 giovani, e commissionata da PlayStation (Sony Computer Entertainment Italia) in occasione della presentazione di DRIVECLUB, il primo racing game “sociale” – fanno parte (o hanno di recente fatto parte) di una squadra o di un team. Parliamo di circa 7/8 milioni di ragazzi e ragazze, accomunati da una passione che diventa una “tessera” o un luogo fisico in cui ritrovarsi. A guidare la graduatoria di questi momenti/occasioni di “unione” generazionale due elementi che raccontano bene anche l’approccio alla vita di questi ragazzi: da un lato lo sport (per il 71% dei giovani), dall’altro l’impegno sociale/volontariato (25%). A seguire tra i momenti di condivisione troviamo la musica (7%) e la cultura/visite culturali (7%). 

In particolare, dall’esperienza personale alle passioni da spettatore, lo sport di squadra stravince su quello a forte componente individualistica: le attività agonistiche “dove ognuno contribuisce al successo, anche se poi alcuni si mettono in luce più degli altri”, raccolgono il 68% dei consensi. Mentre gli sport da one man show “dove una persona sfida gli altri e vince, o perde, con le sue forze” piacciono solo a 1 giovane (24%) su 4. La graduatoria degli sport di squadra per eccellenza vede, oltre al calcio, primo assoluto con il 59% dei consensi, salire sul podio anche la pallavolo (45%) e il basket (36%). A seguire, tutti tra il 16% e il 20%, il rugby, la pallanuoto e il nuoto sincronizzato.  Ma condividere non significa solo sport di squadra. Tra le “nuove parole” della Team Generation c’è sicuramente anche “Share play”, che si affianca a termini come “co-housing”, “co-working” e “car sharing”.

Dai dati Doxa emerge che 1 giovane su 4 (25% - pari a circa 3,3 milioni di ragazzi) ama giocare insieme ad amici che vivono in ogni parte del mondo attraverso videogame multigiocatore, e un’altra bella fetta (19%, altri 2 milioni circa) si dice molto interessata a farlo al più presto. E’ il cosiddetto “fenomeno multiplayer”. Il 41% guarda in maniera decisamente positiva a un futuro in cui i videogiochi potrebbero diventare sempre più “socializzanti” e condivisi, mentre la dimensione del gioco individualistica e in solitaria è preferita dal 16% del campione. Il termine “Share” applicato al gioco è un merito in parte attribuibile a PlayStation, che al lancio di PS4 ha proposto un controller – primo del suo genere – dotato di tasto “Share”, un pulsante in grado di “caricare” online, in tempo reale, gli ultimi minuti di gioco, così da condividere con gli amici (e non solo) la propria performance. In appena 4 mesi dall’arrivo sul mercato, avvenuto a novembre 2013, sono state oltre 100 milioni le sessioni di gioco condivise online. In questo contesto di nuova generazione videoludica si inserisce DRIVECLUB, il gioco in esclusiva per PlayStatio®4 (PS4™), basato sulle scelte di tutti e sulla volontà di raggiungere insieme un obiettivo comune. Due chiari esempi di come il concetto di condivisione sia stato fatto proprio anche nel mondo del gaming.  L’unico aspetto sul quale la team generation rimane di stampo tradizionale e individualistico è lo studio, visto che il 61% pensa che è meglio studiare da soli “altrimenti si perde tempo e s’impara poco”, mentre quando si va in vacanza cambia tutto: il 47% la concepisce come un momento “da condividere con molte altre persone o nella quale possa conoscere nuovi amici”.

Ma è sul mondo del lavoro che troviamo la più chiara applicazione di questo spirito che trova nell’unione una “forza” nuova, da utilizzare per superare il muro delle scarse opportunità offerte dalla nostra società: il 48% (come dire 1 giovane su 2) crede che le start up di attività imprenditoriale maturate insieme con qualche amico siano “un percorso quasi obbligato, visto che da soli è molto più difficile e rispetto al passato ci sono meno occasioni per trovare o crearsi un’occupazione”. Perde terreno, dunque, il mito del self made man: quello che da solo, con la determinazione e l’impegno, supera tutti gli ostacoli e riesce a scalare le vette del successo professionale: solo 1 giovane su 3 (32%) ritiene infatti che “è meglio provare a farcela da soli e con le proprie forze”. Una verifica di questo diverso approccio arriva anche dal 63% degli intervistati che dichiara: “amo lavorare in team, perché è l’unico modo per crescere”. Contro un risicatissimo 4% che vede nel lavoro di gruppo un freno che non mi “permette di esprimere al meglio le mie potenzialità”. E anche la definizione di lavoro in team non lascia margine d’incertezza: per il 77% è dato da “un gruppo di persone che grazie alla capacità di un leader costruiscano insieme un percorso e raggiungano un risultato che va oltre le capacità e le caratteristiche del leader stesso”.