Recensione Painkiller: Resurrection

Il fallito tentativo di far... risorgere Painkiller

Recensione Painkiller: Resurrection
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  • State alla larga da questo orrore. In parole povere, potremmo anche concludere la recensioni qui, ma tant’è, il dovere redazionale e professionale impone comunque una analisi dettagliata, e ci troviamo quindi quasi costretti a raccontarvi cosa non ha funzionato in Painkiller: Resurrection (tutto, che diamine).
    Ma andiamo a ritroso. La serie nasce nell’ormai lontano 2004 per mano di People Can Fly, sotto pubblicazione di DreamCatcher Interactive. La sua fortuna sorse immediatamente per essere uno sparatutto ignorante quasi all’antica, con un level design ispirato e un gameplay immediato e dannatamente divertente, con decine di armi e nemici da fracassare con tanto amore video ludico su schermo. Nel suo piccolo dunque Painkiller divenne anche famoso, e non ci sorpresero affatto dunque i tentativi di sfruttare ancora quel franchise con una espansione prima e un prequel poi. Sta di fatto che entrambi non riuscirono comunque a pareggiare la qualità portata dal primo capitolo, forse perché, come tutti i prodotti di questo genere, unici per così dire, non hanno realmente bisogno di un seguito o se ce ne fosse bisogno dovrebbe riuscire ad innovare nei punti giusti senza stravolgere le cose che si sono fatte apprezzare dai fan. Di certo, cambiare Painkiller non sarebbe stato per niente facile.
    Deve essere quello che hanno pensato gli austriaci di Homegrawn Games per questo nuovo prequel, sottotitolato quasi auspicalmente “Resurrection”, mantenendo praticamente il primo Painkiller tale e quale a quello del 2004. Con la differenza che nel frattempo è passato un lustro, e soprattutto il prodotto originale non era il trionfo del bug occasionale.

    A me le armi

    Per quanto riguarda il motivo per sparar... la trama, questa volta prenderete i panni di un ex e sfortunato agente della CIA che all’anagrafe risponde come William Sherman, conosciuto anche come “Wild Bill”, il selvaggio. Durante la sua ultima missione è stato protagonista di atroci ingiustizie contro decine di civili indifesi: atti di crudeltà che lo hanno portato al limite della follia e viene così intrappolato in una sorta di purgatorio “dark” tra paradiso e inferno.
    Insomma, il classico minestrone che con la scusa trasporta il giocatore all’interno di livelli ed ambientazioni terrificanti, con nemici sempre all’altezza di tale orrore e soprattutto un arsenale di armi da fare invidia al miglior Terminator. Dove stanno i problemi dunque? Passino i menù spiccicati ai vecchi episodi, il motore grafico tutt’altro che degno dei requisiti richiesti, nemici, armi e tutto ripreso pari pari dal primo capitolo, non ci va giù il fatto che si ha la pretesa, o dovremmo dire forse il coraggio, di vendere al pubblico un prodotto che non ha evidentemente attraversato una accurata fase di test.
    I bug presenti in Painkiller: Resurrection rasentano il ridicolo, e non dovrebbero mai e poi mai presentarsi in un videogioco completo destinato alla vendita in pubblico. Anche perché, non tutti potrebbero informarsi ed in copertina non vi scrivono di certo “Questo prodotto è pieno zeppo di difetti, dimostrate amore al vostro portafoglio, per una volta”. Musiche che spariscono e ricompaiono all’improvviso, avversari talmente dementi capaci di incastrarsi nello stesso punto per più volte e, in ogni caso, ripetere sempre ed in maniera incredibilmente stupida le stesse azioni, gestione degli ambienti completamente sballata (roba da compromettere persino delle scenette da trama di gioco) che spieghiamo subito in porte troppo piccole, ad esempio, per mostri che dovrebbero uscirne per farvi saltare in aria e mille altri difetti che faremmo notte ad elencarvi tutti.
    La faccia tosta degli sviluppatori e del producer continuano anche nel versante multi giocatore. Per mesi, e attirando giustamente l’attenzione dei fan, si è parlato praticamente solo ed esclusivamente di una presunta modalità cooperativa che sarebbe andata ad arricchire senz’altro l’esperienza ludica di Painkiller. Ebbene, cosa combinano? Innanzitutto questa modalità di per sé non esiste proprio, e rimanendo in tema riguardo al “prodotto venduto senza aver passato una fase di test”, è richiamabile solo attraverso un poco pratico sistema “nascosto” tra le opzioni multiplayer del gioco. A parte questo aspetto, già vomitevole di per sé, giocare online è praticamente impossibile. “Crash” e disconessioni ogni cinque minuti (anche prima), instabilità frequente e tante altre magagne che rendono praticamente inutile e inesistente la possibilità di poter giocare anche in rete. E Painkiller e le parole “gioco online” si sposano alla perfezione. Come se non fosse possibile divertirsi online con Halo o Call of Duty. Immaginate.
    Naturalmente non che il gioco sia godibile almeno in single player, non saranno mica pazzi gli sviluppatori a darvi questa soddisfazione! Giusto per la cronaca, come nel più classico dei first person shooters “ignoranti”, il prodotto è strutturato in sei (corti) livelli nei quali bisogna distruggere tutto e tutti con l’arsenale messo a disposizione. Ma anche qui partono i problemi, ricordandovi sempre dei bug che vi accompagneranno con simpatia per tutta la durata (scarsissima) dell’avventura. Nonostante non possiamo parlare propriamente di fotocopie, è chiaro comunque che ci sia una forte “ispirazione”, chiamiamola così, dal primo capitolo. Non solo per quanto concerne le situazioni che si vengono a creare, ma anche per via dell’aspetto estetico immuatato degli avversari e di quello che rimane comunque un continuo deja-vu in negativo. Le armi, poi, non cambiano e a parte per un esemplare, sono rimaste le stesse di cinque anni fa. Il tentativo quindi di cercare di dare ai fan quello che hanno amato qualche anno fa si ritorce completamente con un effetto boomerang terrificante. L’amore è cieco, si sa, ma neanche stupido. E da parte di chi vi scrive, c’era una discreta assuefazione per questo marchio, scemata completamente con la presunta e mancata “resurrezione”.

    Painkiller next-generation! (quale?)

    A guardare, giusto di sfuggita, i requisiti richiesti per far girare Painkiller: Resurrection verrebbe da pensare perlomeno che sia stato cambiato il motore grafico. Illusi, neanche per sogno.
    L’engine è letteralmente lo stesso del 2004 con qualche logica miglioria. E’ chiaro naturalmente che l’aspetto estetico non è comunque il medesimo del primo episodio ma, in ogni modo, si riscontrano facilmente degli effetti grafici rimasti praticamente immutati ed un incremento esclusivamente dedicato al design dei livelli, soprattutto per quanto concerne le textures, di qualità decisamente superiore rispetto al mediocre resto. Nulla cambia sotto l’aspetto sonoro. Niente di nuovo più i “bugs”: cosa volere di più?

    Painkiller: Resurrection Painkiller: ResurrectionVersione Analizzata PCL’aspetto più triste dell’intera vicenda è la promessa da parte degli sviluppatori di numerose patch correttive da qui in futuro per Painkiller: Resurrection. Ma allora, a parte l’ammissione del fallimento, perché uscire adesso e non aspettare magari qualche mese in più nell’attesa di migliorare dei difetti evidenti che hanno minato una potenzialmente buona esperienza di gioco? Noi della critica specializzata dobbiamo comunque fare il nostro di lavoro e sconsigliarvi quindi assolutamente questo gioco, realizzato male e soprattutto indegno di una pubblicazione regolare nei negozi. Il voto sarebbe tre in realtà, ma regaliamo mezzo voto in più quasi solo perché se lo acquistate su Steam vi regalano il primo gioco completo in “Deluxe Edition”. Jowood Productions si dichiara colpevole in modo evidente. Painkiller è nato e morto con il primo capitolo.

    3.5

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