Recensione Penumbra: Overture

Il nuovo volto dell'orrore psicologico

Recensione Penumbra: Overture
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  • Avete mai pensato cosa succederebbe su un attempata nonnina chiedesse ad un ragazzino, fiero giocatore di PC, cosa vorrebbe fare da grande e questi le dicesse “ Voglio essere come Gordon Freeman!”
    Questa ipotesi, seppur desueta, non è affatto remota visto che ormai i protagonisti di alcuni videogiochi sono diventati veri e propri oggetto di culto, miti per certi versi paragonabili alle varie icone pop ed ai mostri sacri della blasonata scuderia di Hollywood.
    Grazie a sceneggiature e storie sempre più articolate i personaggi, da semplice ammasso di pixel sono divenuti qualcosa in più. Tutto ciò è stato reso possibile anche dal grado di maturità narrativa che i videogiochi hanno raggiunto in questi ultimi lustri, nonché dal pensate lavoro di connotazione che interessa i protagonisti delle produzioni. Basti considerare le “professioni” degli eroi videoludici, veramente esotiche ed in grado di stimolare le fantasie del fruitore: c’è chi fa l’agente segreto, chi il killer professionista, l’altro è l’elemento d’elite dell’esercito, oppure un’archeologo/a di fama mondiale, senza contare i principi, i re, i vampiri e soprattutto i pistoleri.
    L’unica cosa che accomuna tutti questi signori è il tasso di lavoro che riservano ai becchini: sono veramente rari i personaggi che si limitano a mietere solamente qualche dozzina di malcapitati.
    Se dovessimo interrare tutte le salme gentilmente forniteci da personaggi come il calvo 47, il depresso Max Payne, oppure il candido idraulico Mario (a furia di seccare tartarughe ed altre schifezze di natura animale rischia davvero la collera del WWF), occorrerebbe espropriare qualche stato europeo ed adibirlo a fossa comune.
    Comunque è lo spirito che rende unici questi tizi: Serious Sam si è mai dimostrato intimorito di fronte ad un plotone di nemici? Sam Fischer ha mai perso il sorriso in una sua missione in cui fronteggiava un plotone di soldati? Avete mai sentito lamentarsi Gordon Freeman (in 2 episodi non ha fatto un fiato...)?
    Certo che no! Tutti sono dei duri, forse con qualche macchia, ma senza dubbio con un carisma veramente invidiabile.
    Cosa accadrebbe quindi se volessimo fare un esperimento e creare un videogioco in cui il protagonista è un poveraccio a cui ne capitano di tutte i colori, perseguitato dalla iella, invischiato nel peggior pasticcio che avesse mai neppure lontanamente concepito, e soprattutto caratterizzato da una forte inclinazione agli attacchi panico?
    Semplice: avremmo creato Penumbra Overture.

    La fortuna è cieca, la sfiga ultimamente ha comprato un visore notturno per lavorare ancora meglio

    Quando il destino ci è avverso, un sistema per tornare a vedere positivo è pensare che c’è chi sta peggio di noi. Una volta giocato a Penumbra Overture EP1 (da ora semplicemente PO), quando attraverseremo momenti poco felici, penseremo a Philip, protagonista della vicenda.
    Il tapino è una placido ragazzone americano come tanti, con un lavoro presso una facoltà scientifica di una non precisata università americana, a cui il destino ha riservato l’infausta sorte di crescere senza padre.
    L’unica cosa che sa il prode Philip della propria figura paterna è che questi è scomparso prima ancora che lui nascesse, lasciando quindi alla madre del ragazzo l’arduo compito di allevare un figlio.
    Costei improvvisamente passa a miglior vita, e il ragazzo si trova solo al mondo.
    Dopo il funerale della madre al giovane giunge una missiva.
    Niente di particolarmente straordinario, però il mittente della lettera è niente poco di meno che il padre di Philip, magicamente riapparso dal niente.
    Una volta sinceratosi di non essere di fronte ad uno spregevole ritardo postale, il giovane si trova invischiato in una faccenda che sembra essere a dir poco più grande di lui. Tramite la lettera il giovane riesce ad aver accesso ad una cassetta di sicurezza di proprietà del genitore, contenente documenti e note non molto chiare, che il padre chiedeva esclusivamente di distruggere.
    Philip ovviamente cede alla curiosità, e decide di recarsi nella fredda Alaska in cui, secondo quel poco che era riuscito a carpire, si trovava qualche traccia di suo padre e del suo passato.
    Tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino: il ragazzo si trova in men che non si dica in una miniera abbandonata sotto i freddi ghiacci polari, nella quale ha preso residenza una grossa mole di mostri e qualcosa di terribile sembra accaduto.
    Philip ha una sola strada per cercare la salvezza: proseguire a testa bassa e cercare qualche punto fermo in questo agghiacciante mosaico.
    Non avrà armi, non avrà superpoteri, ma solo la sua testa e qualche elemento contundente di fortuna. Benvenuti nell’agghiacciante mondo di Penombra Overture!

    Ne carne ne pesce, la mia angoscia non decresce (Citazione)

    PO è un titolo fresco, rispetto al vecchiume concettuale che ultimamente opprime e restringe ad un tipizzazione ferrea i nostri cari videogiochi.
    Definire a che genere appartiene il titolo non è un lavoro di poco conto: in PO troviamo elementi tipici di un FPS (first person shooter), di un avventura grafica, di un survival horror blasonato e addirittura di uno Stealth game.
    Fughiamo subito uno dei facili dubbi che possono passare per la mente dopo aver letto queste poche righe: il gioco non è assolutamente un calderone informe, semplificato e quindi insipido, ma bensì si rivela essere una piacevole sorpresa.
    Per capire il perché di questa affermazione occorre parlare dell’architettura del gameplay del gioco, complessa ma veramente apprezzabile.
    Ci ritroveremo a vivere l’avventura in prima persona, ovvero nella visuale ormai collaudata da anni e generazioni di FPS. Ci muoveremo quindi con il gaio quartetto WASD, e gestiremo i movimenti della nostra testa e le direzioni di spostamento con il mouse. Di primo acchito possiamo pensare quindi di essere di fronte a uno dei tanti giochi in cui, a furia di fucilate e bazookate risolviamo la situazione, mandando al creatore un numero consistente di anime da smistare.
    Niente di più sbagliato: PO è un gioco in cui non sarà affatto necessario usare la forza bruta per proseguire (eccetto rari casi), e soprattutto non avremo un arsenale in grado di renderci la vita facile. Le armi che potremo usare sono piuttosto controverse: potremo ad esempio prendere a martellate, a picconate e addirittura a colpi di scopa un nemico, ovvero con mezzi di fortuna tutt’altro che letali.
    Aggiungiamo inoltre che nel gioco non viene implementato come tasto di fuoco il classico tasto sinistro del mouse, ma bensì questo viene utilizzato come iterazione con l’oggetto o il mondo circostante. Per tanto, per tirare una picconata nella schiena di un avversario, occorrerà tenere premuto il left click e muovere il mouse a destra e sinistra con violenza, per simulare i fendenti virtuali che il prode Philip si curerà di sferrare nel gioco. Questa aspetto la dice lunga sul gameplay e soprattutto tira in ballo un concetto fondamentale: l’iterazione con il mondo circostante.
    Al centro schermo, ogni qual volta Philip si trovi ad osservare un oggetto interessante, comparirà un puntatore di iterazione dinamico, ad indicare quale tipo di azione è possibile svolgere (mano, l’oggetto può essere usato; occhio, l’oggetto può essere osservato). Ciò è importantissimo visto che il gameplay di PO prevede la risoluzione di svariati enigmi per poter proseguire nell’avventura, spesso di denotazione logica, ovvero i classici puzzle game in cui la materia grigia unita all’esplorazione risulta determinanti per la risoluzione della faccenda. Tuttavia, i puzzle che vanno per la maggiore sono quelli legati alla fisicità del mondo virtuale che ci circonda. I ragazzi della Frictional Game, oltre che aver scritto il motore grafico di PO (in open GL), si sono cimentati niente poco di meno che nella realizzazione di un nuovo engine fisico, molto simile al pluridecorato Havok, chiamato Newton Game Dinamics. Senza entrare troppo nel merito delle specifiche, delle quali parleremo nel paragrafo dedicato alla bontà tecnica del titolo, diciamo che questo engine proietta una pienamente riuscita identità fisica su ogni oggetto presente nel gioco. Per cui potremo afferrare, trasportare, lanciare e interagire con ogni corpo, in una maniera che ricorda produzioni come Half Life 2 e Call of Juarez, al fine di aprirci una strada, tendere una agguato ad un nemico e sostanzialmente cavarci d’impaccio dalla situazione.
    Per fare qualche esempio chiarificatore, possiamo dire che di fronte ad un cunicolo da cui fuori escono dei ragnetti troppo cresciuti determinati a assaggiare il nostro giovane corpo, potremo usare un masso per ostruirlo, dopo averlo raccolto e trascinato.
    Potremo afferrare pietroni, casse, bombole di gas e quant’altro di moderatamente pesante e scagliarlo con i nemici, oppure usarlo per costruire vere e proprie scale di fortuna per arrampicarci in luoghi altrimenti inaccessibili.
    Alcuni oggetti possono essere invece raccolti in un inventario che ricorda in modo poco velato quello standard usato in molte avventure grafiche: all’interno di esso potremo osservare, equipaggiare e addirittura combinare alcuni oggetti fra di loro per ottenere particolari risultati, di indubbia utilità per la nostra vicenda. Da osservare la presenza all’interno dell’inventario di una sorta di menù di equipaggiamento veloce: potremo infatti assegnare alcuni oggetti ad un preciso tasto numerico, semplicemente collocandoli in particolari slot. Ciò si rivela essere particolarmente comodo, soprattutto nel caso sia richiesto di sfoderare rapidamente qualche arma occasionale
    Ciò non vi autorizza a sentirvi sicuri: i combattimenti in PO sono tutt’altro che semplici!
    I nemici che incontreremo durante l’avventura, oltre che essere particolarmente repellenti nell’aspetto, sono molto agguerriti: come è facile immaginare, ammazzare un lupo a picconate non è cosa semplice, specialmente quando è accompagnato da qualche amico di zampa. In certi casi è quindi preferibile evitare lo scontro, usando tecniche Stealth, ovvero cercare di muoversi carponi, senza far rumore e sfruttando l’ombra come alleata.
    In PO potremo correre, camminare ed ovviamente strisciare, procurando diversi gradi di rumore che ci faranno rischiare di essere localizzati con più o meno facilità dai nemici.
    Tuttavia, se rimarremo accovacciati nell’oscurità, fermi immobili, dopo qualche secondo il nostro Philip diverrà pressoché invisibile, evitando quindi le ronde nemiche per passare poi, di soppiatto, alle loro spalle.
    Tuttavia lo spirito di Philip durante questo tipo di operazione è tutt’altro che rilassato o determinato: da piccoli, quando qualcosa ci spaventava, molto spesso ci dicevano di tapparci gli occhi, e in PO dovremo ricorrere a qualcosa del genere.
    Quando saremo fermi immobili, nascosti nel buio, ed un nemico entrerà nel nostro campo visivo, la visuale inizierà a sfuocarsi e Philip comincerà a respirare convulsamente, come se stesse per essere vittima di un attacco di panico.
    Se non vorremmo far emettere un urlo di paura al giovane e quindi farlo localizzare dai nemici, basterà volgere lo sguardo lontano dal mostro: semplicemente geniale!
    Questo la dice lunga sui sentimenti che il gioco è in grado di generare nel giocatore: la situazione è precaria in qualsiasi momento e saremo sempre “sul chi vive”, temendo da un momento all’altro che la faccenda prenda un brutta piega.
    La trama stessa, che si dipanerà nel corso dell’avventura tramite il rinvenimento di testi ed appunti, non è per niente rassicurante, ma inquietante a dir poco. Essendo un gioco strutturato ad episodi, non possiamo certo pretendere di arrivare in fondo al primo capitolo e conoscere l’intera vicenda, ma sapremo a sufficienza per capire che situazione è dannatamente pericolosa. Secondo Alfred Hitchcok uno sparo spaventa, mentre l’attesa di uno sparo terrorizza e PO pone le sue basi in questo concetto. L’ombra sa essere nostra amica, ma per sua natura, specialmente quando sappiamo che il posto pullula di bestiaccie, diviene un fattore che complica a dir poco le cose e mette a dura prova i nostri nervi. Philip è in grado di illuminarsi la via grazie a una torcia (le cui pile sono consumabili, quindi occhio a raccogliere quelle sparse per i livelli), con una specie di torcia chimica con raggio ridotto e con dei flare: per esplorare a fondo il posto occorrerà sempre usufruire di questi oggetti, ma ovviamente ciò ci renderà vistosi come alberi di Natale.
    L’unico sollievo è il sistema di salvataggio: oltre che poter usare strani artefatti presenti in locazioni strategiche per memorizzare la posizione, il gioco ne prevede alcuni automatici, ogni qualvolta ad esempio ci addentriamo in particolari aree a rischio.
    Ciò significa che nel caso di una nostra morte prematura, evento a dir poco papabile, potremo riprovarci a partire da un punto non troppo remoto, scongiurando quindi l’eventuale frustrazione di dover praticamente fare di nuovo mezzo livello.
    Tirando le somme, PO si rivela essere un titolo con un gameplay piuttosto inconsueto, basato su elementi di successo di generi classici sapientemente remixati e resi organici fra di loro in modo da dare corpo ed equilibrio alla produzione.
    Il titolo, a nostro modo di vedere, è foriero di un’esperienza di gioco realistica grazie a un motore fisico di alto livello, ma anche plausibile -se vogliamo- dal punto di vista umano, visto che stavolta il nostro alter ego non è un super eroe armato di missili e lame rotanti, ma un semplice ragazzo impaurito. Ciò contribuisce a rendere il tutto più intrigante e soprattutto più spaventoso, dando al titolo un tono diverso rispetto quanto visto oggi in campo videoludico.

    Tecnicamente parlando

    PO è nato come demo tecnica, scritta da alcuni studenti universitari, con il fine di rendere testabile la bontà del nuovo engine Newton Game Dinamics per fini ludici.
    Per tanto l’intero ed oneroso lavoro di programmazione è stato portato a termine da una produzione indipendente, con certamente mezzi limitati e finanziamenti ridotti rispetto alle grandi software house.
    Il risultato tecnico visto in questa chiave è veramente spettacolare.
    Per quello che concerne la grafica, ottima la realizzazione degli effetti luci ed ombre, molto curata, specialmente per quello che riguarda gli elementi di ambiente.
    Ottimi gli effetti shader di caratterizzazione delle superfici, invidiabili quando fonti luminose producono dei riflessi, molto verosimili.
    Inoltre PO implementa il Motion Blur (un particolare effetto di sfocatura) sugli oggetti in secondo piano quando ad esempio ci concentriamo ad osservare un dettaglio oppure quando spostiamo velocemente la visuale da un punto all’altro dell’ambiente.
    A tratti, la combinazione di questi tre elementi appena citati da un’ottima sensazione di foto realismo, veramente invidiabile anche da produzioni più blasonate.
    Ciò che invece convince meno è il Level Design e la caratterizzazione delle location in generale, che risultano essere, specialmente in alcuni casi, un po’ troppo povere, scarne e ripetitive.
    Solito discorso per quello che concerne i nemici: la varietà e la caratterizzazione dei modelli è veramente ridotta e le animazioni stesse sembrano essere state poco curate.
    Molto probabilmente questi aspetti meno felici sono legati alla risorse disponibili.
    Il comparto sonoro è più che interessante: buone e d’atmosfera le musiche che, seppur non brillando per varietà, non si rivelano essere troppo ripetitive e quindi fastidiose.
    Va inoltre detto che la colonna sonora è dinamica: in presenza di pericoli sentiremo partire la classica musichetta più ritmata e stridente che ci avverte di tenerci pronti, che senza dubbio aiuta a far crescere la tensione. Purtroppo in certi casi questo cambio ritmico avviene con troppo anticipo e quindi rovina la sorpresa.
    Gli effetti sonori sono piuttosto curati: ogni oggetto se colpito produce un rumore compatibile e verosimile, mentre i rumori prodotti dai nemici sono convincenti e veramente allarmanti.
    Il motore fisico, il Newton Game Dinamics, che ormai avrete capito essere uno dei piatti forti del titolo, merita una piccola digressione.
    In molti altri giochi con una implementazione fisica di un certo spessore, se dopo aver costruito una pila di oggetti ci fossimo cimentati nel gioco della tovaglia (togliere un elemento velocemente senza far cadere gli altri), con buona probabilità avremmo notato che l’oggetto da rimuovere si sarebbe estratto tutto sommato facilmente, e i corpi soprammessi sarebbero caduti seguendo una traiettoria verticale. Il motore proposto dai ragazzi della Friction sembra essere particolarmente attento ai baricentri dei vari corpi, al concetto di attrito, di pressione e di momento angolare.
    Per tanto, se in PO tentiamo l’esperimento descritto poco sopra, noteremo per prima cosa che la rimozione dell’oggetto dalla pila non è assolutamente immediata: per la forza che esercitano i corpi soprammessi verrà a crearsi un attrito che in certi casi comporterà anche uno spostamento dell’intera pila nella direzione in cui stiamo tirando.
    Una volta vinta la resistenza oppure sollevato radicalmente l’oggetto, ci accorgeremo che a seconda del punto in cui avremo afferrato il si compierà una rotazione a causa delle forze gravitazionali dei corpi sovrastanti. Il risultato sarà vedere la parte superiore della pila inclinarsi su un lato e rovinare per terra.
    Questo concetto di baricentro è osservabile anche qualora afferriamo corpi di una certa superficie: se ad esempio intendiamo prendere un’asse acchiappandolo per uno degli estremi, vedremo sollevarsi verosimilmente solamente il lato interessato dalla nostra azione, mentre l’altro plausibilmente rimarrà a terra.
    Per tanto, questo motore si rivela essere molto interessante, vista la qualità dell’esperienza che è in grado di regalare.
    L’unico aspetto negativo è che risulta essere piuttosto oneroso in termini di risorse: con un AMD 3000+ Xp, senza dubbio un processore datato ma sempre piuttosto valido, abbiamo avuto qualche calo di frame rate, legato appunto all’ultilizzo della CPU.
    L’unico vero neo di tutta la produzione è forse la scarsa longevità: si parla di sole 8-10 ore di divertimento.
    Tutto sommato non sono poche, visto e considerato che stiamo parlando di un gioco strutturato ad episodi (qualcuno sta pensando ad Half Life?), ma senza ombra di dubbio qualche ora in più non avrebbe che giovato.
    Il prezzo è comunque accettabile, visto che dovremo sborsare solo una ventina di euro per portare a casa PO: poco più di quanto spenderemo per acquistare un titolo budget.

    Penumbra: Overture Penumbra: OvertureVersione Analizzata PCPenombra Overture EP1 è un gioco intelligente, per certi casi innovativo anche se non propriamente rivoluzionario, capace di riunire nel proprio gameplay elementi caratteristici di generi famosi come quello delle avventure grafiche, dei survival horror, degli FPS e degli Stealth game, in modo organico e funzionale. Il risultato ci ha convinto, sia perché il gioco diverte e cattura, sia perché ognuna delle sfaccettature che compongono l’essenza del prodotto trova un suo spazio nell’economia di gioco. La realizzazione grafica è di buon livello, ma purtroppo altalenante: ottimi effetti contrapposti ad un level design un po’ ripetitivo ed a modelli poligonali ed animazioni non sempre all’altezza. Il risultato finale è tutt’altro che sgradevole, e per certi versi anche ammirevole visto che parliamo del lavoro svolto da una software house indipendente, con molti meno soldi e mezzi rispetto alle big del settore (ovviamente PO non riesce a competere con titoli blasonati che ormai hanno segnato standard in fatto di grafica). In ogni caso consigliamo il gioco agli amanti dell’ horror e delle avventure poco convenzionali, mentre mettiamo sugli attenti coloro che amano l’azione pura: Penumbra non è forse il gioco che fa per voi. Tuttavia vale la pena provare PO almeno una volta nella vita: non capita davvero tutti i giorni un prodotto che sappia estraniarsi da ormai collaudati gameplay a cui siamo abituati. Speriamo quindi nel secondo capitolo della serie, previsto per il terzo quadrimestre dell’anno: se i Frictional Games riusciranno a fare tesoro delle critiche mosse al primo capitolo, e soprattutto racimoleranno le risorse necessarie per un progetto di più ampio respiro, c’è la possibilità di trovarsi di fronte ad un capolavoro.

    7

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