Recensione Echochrome

Il puzzle game più atipico di sempre arriva sugli store europei

Recensione Echochrome
Articolo a cura di
Disponibile per
  • PS3
  • Psp
  • Croce o delizia?

    Da quando Echochrome è stato annunciato, non s’é fatto altro che parlare di quali sarebbero state le concrete potenzialità di un progetto così singolare e audace in un contesto di nuova generazione. I pesanti dubbi legati alla giocabilità e alla completa fruizione di un titolo che si presentava squisitamente riservato ad una ristrettissima cerchia di appassionati possono finalmente essere dissipati, o al contrario confermati, dalla prova pratica del gioco che, ricordiamo, può essere reperito sul Playstation Network al costo di 9,99 €.

    Questione di punti di vista

    L’affascinante mondo di Echochrome si fonda su cinque regole misteriose che il giocatore deve sfruttare a proprio vantaggio per riuscire a raggiungere gli echo, ombre umanoidi che hanno il brutto vizio di apparire e scomparire in punti diversi dello stage.
    La particolarità di questo prodotto, oltre alla discussa scelta stilistica di cui parleremo nelle battute finali di questo articolo, risiede in un concetto semplicissimo che può essere riassunto in maniera esemplare da una delle prime frasi del tutorial “ciò che vedi diventa la verità”: il gameplay di Echochrome è difatti interamente basato sulla percezione della prospettiva intesa come unico elemento di interazione con il gioco stesso e minimo comune denominatore delle cinque leggi sopra menzionate.
    In sostanza, gli scenari vanno modificati e manipolati in modo tale da creare congiunzioni laddove non ve ne siano o raggiungere zone del livello altrimenti inaccessibili; operazione che trova concreta applicazione nella rotazione della telecamera, gestita tramite levette analogiche e tasti direzionali.
    Sfruttando questo principio il giocatore può dare origine a percorsi sovrapponendo sezioni di livello precedentemente separate (perspecting travelling), nascondendo con un altro elemento dello scenario fastidiose interruzioni che impediscono di raggiungere un altro blocco poco distante (perspecting existence), precipitare da buchi neri in modo da far cadere l’omino sulla struttura sottostante (perspecting landing) oppure coprire tali cavità in modo tale da cancellarne l’esistenza (perspectin absence) e infine saltare sui piani più alti posizionandosi sui cerchi bianchi (perspecting jump).

    Sebbene la presunta semplicità di queste azioni lascerebbe supporre una certa facilità nell’esecuzione delle stesse, la meccanica di gioco è invece molto più complessa di quanto sembri in apparenza poiché richiede una elasticità mentale ed uno spirito di osservazione non comune alla totalità degli utenti. Trovare la giusta angolazione per proseguire il cammino o allineare correttamente due piani al fine di eseguire con successo un salto si dimostra spesso più difficile del previsto tanto più che, soprattutto in quest’ultimo caso, il rischio di atterrare altrove è veramente elevatissimo e contribuisce ad avvicinare pericolosamente la soglia del divertimento a quella della frustrazione in più di un’occasione. La sensazione che si prova nell’avventurarsi di livello in livello, per quanto ben progettato e diversificato esso sia, è quella di trovarsi di fronte ad una sorta di monotono e inconcludente circolo vizioso in cui viene meno l’aspetto fondamentale di un qualsiasi videogame, la sana ed irrinunciabile soddisfazione ludica. I maniaci dei rompicapi ambientali forse godranno nello studiare ogni percorso nei minimi dettagli e trovare di volta in volta la soluzione dell’enigma ma l’utente medio, seppur appassionato di puzzle game, difficilmente troverà di suo gradimento una struttura di gioco che di fatto non ha uno scopo ben definito.
    L’assenza di varietà si riscontra oltretutto nelle opzioni di gioco, Freeform e Atelier, sostanzialmente identiche se non per fatto che nella prima la CPU sceglie a caso un livello tra i 56 disponibili (il giocatore può comunque influenzarne la difficoltà interagendo con i tasti direzionali) mentre nella seconda è l’utente a decidere in piena autonomia in quale stage avventurarsi tra quelli predefiniti presenti nella sezione Gallery o tra quelli che lui stesso ha creato nella sezione Portfolio. Entrando in modalità Canvas è infatti possibile costruire i propri livelli utilizzando l’ottimo editor messo a disposizione degli sviluppatori; un’idea potenzialmente geniale ma tutt’altro che semplice da mettere in pratica visto e considerato che realizzare un ambiente che possa essere giocato richiede tempo, pazienza e una buona dose di inventiva.

    L'occhio vuole la sua parte o no?

    Uno degli aspetti che fin dall’inizio a suscitato clamore è stato senza ombra di dubbio il comparto tecnico. Al dì la del concept stesso, ispirato alle bizzarre opere dell’artista olandese Escher, la decisione quanto mai azzardata di riprodurre scenari totalmente sterili e privi di colore riesce pienamente nell’intento di stupire e compiacere i palati più raffinati attraverso forme semplici e tuttavia armoniose; di grande impatto visivo, oseremmo dire, nonostante la delicatezza del tratto. Fermo restando un level design di eccezionale qualità ed ingegno, quello che tuttavia potrebbe apparire come un grande pregio per alcuni, per altri potrebbe costituire motivo di grande sdegno poiché se una preferenza stilistica di questo tipo ben si addice ad una console di “poche pretese” come PsP, non è certo il massimo applicata ad una macchina di nuova generazione come Ps3.
    Le stesse divergenze di opinioni potrebbero insorgere riguardo alla colonna sonora formata esclusivamente da pacati brani di musica classica: se da un lato la scelta musicale si addice alla perfezione allo stile di gioco, infondendo un enorme senso di pace e tranquillità, dall’altro potrebbe invece risultare addirittura snervante e appesantire ulteriormente un ritmo di gioco già di per sé tutt’altro che serrato.

    Echochrome EchochromeVersione Analizzata PlayStation 3Questa volta i ragazzi di Japan Studios hanno davvero esagerato nella loro ricerca dell’originalità, dando vita ad un videogame talmente singolare da renderlo inaccessibile a molti. Per quanto ci si sforzi di vedere questo titolo come un tripudio di freschezza ed estro in un mercato fatto di idee riciclate e operazioni commerciali di dubbio gusto, Echochrome è un prodotto troppo ambiguo per poter essere compreso ed amato dal grande pubblico tant’è vero che si stenta ancora a capire quale sia il target a cui si rivolge. D’altro canto, per poterlo apprezzare veramente, non basta nemmeno essere amanti dei puzzle game estremi poiché solo coloro che hanno personalità fortemente meticolosa, ostinata e paziente potrebbero rimanere incollati a questo titolo per più di venti minuti senza domandarsi perché mai stiano perdendo tempo con un manichino di legno che passeggia su costruzioni asettiche sospese a mezz’aria quando si ha la fortuna di possedere una console come Playstation 3. Echochrome è un videogame eccentrico, unico e meraviglioso a suo modo, il classico titolo che si ama o si odia, ma che va certamente scaricato con la piena consapevolezza di ciò a cui si va incontro. Se siete curiosi di provarlo di persona fate pure, (in fondo si tratta di una cifra più che onesta per un gioco completo) ma non dite che non vi avevamo avvisato...

    6.5

    Che voto dai a: Echochrome

    Media Voto Utenti
    Voti: 33
    7
    nd