Recensione No More Heroes: Heroes Paradise

Arriva anche su PS3 l'avventura di Travis TouchDown

No More Heroes: Heroes Paradise
Recensione: PlayStation 3
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  • PS3
  • No More Heroes è un titolo sottovalutato. E' imperfetto, grezzo, traballante, ma è anche uno dei capolavori di stile di questa generazione: uno di quei prodotti ardentemente visionari, prepotentemente fuori dagli schemi, fra i pochi capaci di stuzzicare in maniera sentita e originalissima il nerd che abita dentro ogni HardCore Gamer di vecchia data che si rispetti. No More Heroes è una sorta di Scott Pilgrim videoludico ante litteram.
    Quindi è inutile cercarci dentro raffinatezze e smancerie: No More Heroes è una sequenza di pugni allo stomaco, un concentrato di visuali acide, di suoni metallici, di ossessioni e manie.
    Stando così le cose, si capisce perchè al tempo della sua uscita in molti lo hanno praticamente snobbato, alla ricerca forse di titoli più “rifiniti”, sottili: meno graffianti. Ma lasciatevelo dire: la fantasia malata di Suda51 deve finire nelle vostre collezioni.
    Deve averlo pensato pure Konami, che ha ben pensato di offrire anche agli utenti PS3 la possibilità di vivere le avventure di Travis Touchdown, pubblicando un remake HD di quella che fino ad adesso era rimasta una delle più invidiate esclusive per Nintendo Wii. Il porting aggiunge davvero poco a livello contenutistico, ma sfruttando il Playstation Move e un sistema di controllo funzionale anche con il Pad, e stuzzicando le pupille con un colpo d'occhio aggiornato, risulta efficace e funzionale. Heroe's Paradise è dunque, come vedremo, un acquisto seriamente consigliato per recuperare un pezzo di storia del videogioco moderno.

    Orizzonti Desolati

    Travis è il cuore del gioco. La sua figura viene scolpita da un percorso narrativo che non lesina sui colpi bassi, incuneandosi con maestria tra il trash più spinto e il political incorrect. La sequenza introduttiva racchiude al meglio le passioni e le pulsioni distorte di un protagonista che più antieroe non potrebbe essere. Un otaku invischiato nelle girandole dei propri vizi, la cui ultima depravazione è l’assassinio. Il suo obiettivo? Scalare la classifica dei dieci migliori killer degli Stati Uniti a colpi di katana laser. Il motivo? A metà fra il desiderio di “mettere le mani” sull'avvenente Silvia Christel e il brivido della lotta: un concentrato di pulsioni primordiali, di voglie insaziabili.
    Tutto, all'interno di No More Heroes -ogni elemento ludico e narrativo- è funzionale a delineare il profilo di questo “protagonista onnivoro”, che calca la scena con un'appariscente disattenzione. Come un “cazzone” da antologia. Servono ad esempio le inquadrature statiche del suo appartamento, addobbato con decine di action figures e maschere da wrestling, serve -come vedremo- una mappa di gioco in cui i punti di interesse rappresentano i capricci delle sue perversioni. E serve ancora di più una sceneggiatura che mette continuamente in risalto la leggerezza con cui questo “killer del nuovo millennio” si diverte ad inseguire la morte, appiattendo su un orizzonte etico praticamente senza rilievi il sesso e l'autoesaltazione.
    Oltre a queste chicche disseminate in ogni angolo della produzione, il tutto è sorretto da un plot assolutamente esaltante. La trama si diverte a gettare sulla scena un vortice interminabile di personalità assurde, di incontri-evento con i dieci Killer che rappresentano il top del Ranking mondiale. Di avversario in avversario, quella di Travis si rivela dunque una strana storia di formazione: un viaggio in grado di cambiare lentamente, ma inesorabilmente, le prospettive del protagonista. Ed ecco che forse anche fra le prospettive brulle di Santa Destroy, in questo “deserto di pixel” in cui soffia la brezza costante della disillusione, può nascere in qualche modo una nuova, strana e incomprensibile figura dal nome indefinibile. Fossero stati altri tempi, l'avremmo chiamato, chissà, Eroe.

    Le gioie di Santa Destroy

    L’organizzazione che promuove una la gara fra i Killer deve ovviamente far fronte alle proprie brave spese di gestione: su questo siamo tutti d’accordo. Il biglietto d’ingresso di questo folle luna park di sangue e decapitazioni è dunque oneroso a dir poco, un salasso che aumenta proporzionalmente all’inasprirsi della competizione. Per chiarirci, se i 50000 crediti spillati dal duello col fulvo maestro di spade -tristemente inchiodato coi suoi tatuaggi al decimo posto- rappresentano una spesa tutto sommato contenuta, i 500000 bramati dalla lotta per il vertice paiono invece meno racimolabili in tempi umani. Soprattutto considerando il verde vivo in cui sono solite sonnecchiare le tasche del buon Travis. Come uscirne? Col sudore della fronte, naturalmente. Sebbene piccola e poco vitale, la città di Santa Destroy non è avara di situazioni in cui raggranellare qualche spicciolo. Due le porte a cui bussare per trovare lavoro, sporco o pulito che sia: quella dell’agenzia K-Entertainment -per salutari omicidi su commissione- o del Job Center. La permanenza nel desolato sobborgo urbano è dunque puramente legata all’accumulo dei soldi necessari per accedere alle sfide classificate. I diversivi sono di fatto inconsistenti (videoteca e negozio di vestiti), mentre l’interazione con altri ambienti è funzionale all’affinamento di alcune caratteristiche di base (nel laboratorio, per esempio, è possibile acquistare spade nuove e accessori più performanti; in palestra si migliora la forma fisica svolgendo tre esercizi elementari). Se lo si guardasse attraverso le lenti del free roaming, la natura costrittiva del gameplay impallidirebbe dinanzi all’apertura di un GTA qualunque. Ma sarebbe un errore. Poiché non sono solo le strutture ad essere inaccostabili, ma anche le visioni che ne hanno guidato il design. Come abbiamo già detto Santa Destroy risponde alle esigenze del solo Travis, non a quelle del giocatore. Tutto gira intorno alla sua ossessione, ogni fattore è mirato alla sua voglia di divenire primo in classifica. Il resto, ovvero il mondo intero, non conta. La cittadina è interamente esplorabile, sia a piedi che a bordo della moto, ma girovagare non appaga come si è abituati a pensare. Non è un problema di estensione, piuttosto di densità. Santa Destroy è praticamente una città fantasma, vuota. Un teatrino poligonale privo di attrattive, costellato da automobili rozzamente ricostruite che viaggiano senza meta e cittadini che si aggirano come (leggeri) fantasmi trascinati da una IA appena abbozzata. Non ha segreti da nascondere o condividere: gli unici tesori che custodisce sono i soldi seppelliti qua e là tra le aiuole, le t-shirt abbandonate in qualche cassonetto o le palle fluorescenti tanto agognate dall’ubriacone del bar.
    Ecco dunque che molti potrebbero trovare l’esplorazione una componente del tutto secondaria. Noiosa, persino, nei momenti in cui si devono effettuare dei lavoretti per racimolare denaro. Ed in effetti le mansioni previste sono diverse, ma mai entusiasmanti: spesso accomunate dal canonico leit motiv del “raccogliere”. Immondizia, noci di cocco, gattini, scorpioni: tutto viene agguantato nel corso di qualche piccola prova a tempo fatta di button mashing limitante e trito.
    Eppure, viene da chiedersi se non faccia tutto “parte del piano”. Se il fatto che i lavori comuni, i modi onesti di guadagnarsi da vivere siano così scostanti e poco divertenti non faccia parte della “visione moderna” di Travis. Di un ragazzo che non riesce a trovare stimoli nei pomeriggi color ocra passati in una città francamente desolante, ma da cui non si può scappare. No More Heroes, lo diciamo senza timor di smentita, è un titolo che in qualche maniera tratteggia un orizzonte esistenziale con cui moltissimi videoplayer devono confrontarsi. Da una parte c'è il mondo, forse un po' sterile, troppo “comune” e poco fantasioso. Dall'altra l'esaltazione della lotta, il brivido. Ed è così che No More Heroes riesce a trasformare le sessioni Action in oscuri e prepotenti oggetti del desiderio. Le offerte dell’agenzia K-Entertainment cambiano infatti le carte in tavola, poiché si allacciano al fulcro del prodotto, ovvero i combattimenti. Time attack forsennati, scontri che si concludono al primo colpo subìto, o che prevedono l’utilizzo di una sola mossa speciale od anche delle sole tecniche di lotta libera, si coniugano agli stravaganti ribaltamenti dell’inquadratura o della prospettiva previsti talvolta dagli sviluppatori, preservando e stuzzicando di fatto l’interesse del giocatore. Ed ecco dunque che proprio in queste sessioni si scopre l'anima di No More Heroes, la sua colonna portante: un'azione originale, da ritmo ossessionante, variegata da mille trovate di spessore.

    FuckHead

    La seconda -e più consistente- parte del gameplay ispessisce dunque l’esperienza con attimi di pura genialità, sia formali che strutturali. I duelli di No More Heroes si vestono di profondità, e si imprimono nelle pupille di chi gioca sia per la velocità che per la purezza stilistica. Il merito è di un battle system assolutamente strabiliante, capace di regalare quelle soddisfazioni che la fase “esplorativa” sacrifica con insistenza.
    La formula rimane la stessa -salvo qualche estemporanea sorpresa- per tutta la durata dell’avventura: gli scontri sono inscenati in livelli chiusi (metropolitana, stadio, scuola, foresta e così via) e prima di servire la portata principale, ovvero la battaglia col boss di turno, prevedono l’eliminazione dei pesci piccoli, che fanno sì leva sul numero. Ma che nei livelli avanzati richiedono un discreto impegno per essere sopraffatti, in special modo per via dei diversi armamenti di cui dispongono: spranghe, bastoni infuocati, katane, spade laser fino a giungere alle armi da fuoco, che necessitano approcci differenti, soprattutto quando maneggiate da cinque-dieci sgherri contemporaneamente.
    Il control scheme, che in origine utilizzava una combinazione di tasti e input motori, si adatta oggi alle caratteristiche del Move come a quelle del Dualshock. In entrambi i casi, a onor del vero, le configurazioni si rivelano molto funzionali, sacrificando ben poco della ricchezza caratteristica della versione per Nintendo Wii. Soltanto nei momenti in cui, per eseguire le mosse di Wrestling, si sfruttavano i sensori di movimento di Wiimote e Nunchuck, si avverte una lieve inadeguatezza degli stick analogici. Ma è davvero poca cosa, in quanto Heroes' Paradise ha perso davvero poco in fatto di ritmo e spettacolarità (unica avvertenza: se utilizzate il Move dovrete per forza accompagnarlo con il Navigation Controller, perchè impugnare il pad “a metà” è davvero improponibile).
    Con lo stick si controlla dunque il movimento di Travis, mentre uno dei dorsali attiva il lock on sull’avversario più vicino. I fendenti della Beam Katana, così come le mosse in grado di stordire gli avversari, sono affidati ai front button del pad. Lo shoulder button di destra aziona la ricarica della katana, che si completa scuotendo il Move o il Dualshock. Le parate infine si compongono in automatico, rimanendo immobili dopo aver “lockato” un contendente.
    Sebbene ad un occhio poco attento il titolo possa sembrare incline alle semplificiazioni, la tipologia degli attacchi ha pochissimo da spartire con le nozioni del mero button mashing. Premere senza cognizione i tasti dedicati agli attacchi conduce più velocemente solo alla scarica della batteria che alimenta l’affilato gingillo di morte. Gli avversari, in ossequio all’arma con cui sono accessoriati, schivano, scappano e si difendono coprendo alternativamente la parte superiore ed inferiore del corpo. Per debellarli è necessario leggere con criterio quanto accade sullo schermo ed in pochi attimi optare per sferzate alte o basse. Ben accette sono ovviamente le mosse di aggiramento: schivare col giusto tempismo significa disorientare per qualche prezioso istante il diretto avversario, per poi sorprenderlo punendolo da tergo. I casi invece di incroci contemporanei di lame vengono risolti da una prova di forza che influisce sul perdente sbilanciandone la postura. E’ inoltre possibile stordire il nemico intervallando saggiamente frustate all’arma bianca e spassosissime mosse da wrestler (affinabili nel corso del gioco), in modo da poterlo cinghiare con prese sempre più spettacolari (perfezionando in tempo il QTE presente sullo schermo). Un Quick Time Event simile sancisce invece la disintegrazione di un nemico ormai privo di energia in uno scontro comune: una sorta di omaggio indiretto alle fatalities tanto care ai frequentatori di casa Midway. 
    E ancora. Una monetina per ogni uccisione. La sconfitta di un nemico viene continuamente segnata dall’avvio della slot machine che campeggia nella parte inferiore dello schermo: talune combinazioni sono associate a delle mosse speciali veramente fuori dall’ordinario, in grado di sovvertire l’esito di uno scontro. Velocità e chioma bionda degne di un Super Sayan; la capacità di terrorizzare i nemici e frantumarli premendo il tasto corretto (o di irretirli, facendo vedere loro il posteriore, pigiandone un altro); o anche solo la gioia di vedersi moltiplicati i guadagni a missione compiuta. E stavolta, diversamente da quanto accadeva nella versione Wii, i “bonus” possono essere accumulati e usati al momento che si riterrà più opportuno: una piccola modifica decisamente interessante.
    E’ pura ipnosi quella veicolata dalla furia di No More Heroes. Un piacere che scorre velocissimo al ritmo di una danza fatale, ancor più serrata e sincopata durante i duelli finali coi killer. Caratterizzati in maniera anormale e dunque perfettamente in linea con la filosofia sopra le righe del prodotto, manifestano una differenziazione che impone il ricorso oculato all’intero ventaglio dei propri attacchi, oltre che allo studio minuzioso dello scenario.

    Remastered

    Agli occhi dei più, l'intento di questo articolo potrebbe sembrare quello di “disinnescare” con metodo tutte le criticità di No More Heroes. E' invece bene rivendicarle una per una, perchè in fondo, nonostante le finalità e le intenzioni di Suda 51, quello che ci troviamo di fronte è pur sempre un videogioco. Che costringe ad affrontare momenti davvero desolanti, e che pure nell'essenza degli scontri è incline ad una certa ripetitività concettuale. Chi non si lascia ammaliare da un incedere roboante e ritmato, dalle variazioni su tema legate agli scenari, dallo stile sopra le righe del combattimento, dovrà vedersela con un prodotto impossibile da giustificare appieno. Anzi, passati più di tre anni dalla sua commercializzazione, le lacune del prodotto si fanno sentire ancora di più, visto che di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. E c'è poi da dire che l'utenza Playstation 3 è abituata a ben altre -e più complesse- soluzioni, quando si parla di Action Game. E' giusto quindi avvertire i lettori che questa riedizione non colma affatto i “vuoti” della versione originale, e non illumina le zone d'ombra. Il modo giusto di prenderla è per quello che è: un'occasione per rispolverare una delle prime (contrastate) glorie di questa generazione, aggiornata in qualche maniera grazie ai pregi di una grafica in alta definizione.
    Ma, anche da questo punto di vista, è bene mettere le mani avanti. Texturizzazione ed effetti speciali sono migliorati notevolmente, tantochè il look di Heroes' Paradise compiace, ma la mole poligonale, le animazioni, sono quelle di un tempo. Spariscono i problemi di framerate, il pop up, e l'unico fastidio tecnico che permane è l'ottimizzazione di una telecamera a volte fin troppo rapida, a volte poco reattiva. Come per molte delle “HD collection” arrivate su Playstation 3, insomma, Heroes' Paradise fa quanto basta per non sfigurare, ed anzi riesce a valorizzare al meglio la componente stilistica davvero eccezionale, che rappresenta senza ombra di dubbio una delle eccellenze del prodotto, in un tumulto di citazioni da far innamorare ogni nerd. I rimandi alla storia del videogioco si respirano in ogni angolo di Santa Destroy: menù, icone pixellose, ma anche poster, console d’annata in bella mostra, così come gli effetti e i jingle che riempiono sonoramente la scena, riportano l’orologio mentale del giocatore indietro di qualche decennio. E poi l’amore per il cinema (si pensi al taglio di alcune inquadrature), per Star Wars, per l’iconografia del Zemeckis anni ’80, per l’animazione giapponese. Ogni elemento è inserito con delicatezza in un contesto che ha una sua eccezionale coerenza. Inossidabili, anche se abbastanza ripetitive, le musiche che accompagnano la progressione in ogni livello: un tributo alle sonorità 8-bit dei bei tempi che furono, un inno al chiptune più spinto. Il doppiaggio in inglese, infine, è sempre lo stesso: espressivo al massimo grado, accompagnato da un adattamento in italiano che tenta di essere, per quanto possibile, rispettoso.

    No More Heroes: Heroes' Paradise No More Heroes: Heroes' ParadiseVersione Analizzata PlayStation 3No More Heroes è una perla rara. Imperfetta, ma brillante come poche. E' anche un titolo per “pochi eletti”, per chi è in grado di accettare che sull'altare della pienezza stilistica e narrativa si possano sacrificare (volutamente?) alcuni valori ludici che dovrebbero invece guidare i Game Designer (e soprattutto quelli alle prese con un Action Game). Ma si sa com'è Suda51: sempre incline a soddisfare le proprie pulsioni: proprio come Travis. In definitiva, vi basti sapere che in No More Heroes troverete forse più significati che contenuti, e che in fondo ad entusiasmarvi saranno i personaggi, la trama, i dialoghi e la componente artistica. Non manca, certo, un gameplay stuzzicante, ritmato, frenetico e tecnico, ma la pura esaltazione dei combattimenti si alterna al vuoto di certe soluzioni, oggi amplificato dagli anni. Poco male: a parziale risarcimento di una critica al tempo troppo severa, vogliamo premiare questa riedizione in HD, che perde qualcosa in termini di Control System e guadagna punti sul fronte tecnico. Avvertendo ogni lettore che No More Heroes necessita di particolari predisposizioni culturali per essere apprezzato appieno, consigliamo seriamente l'acquisto a tutti gli hardcore gamer d'antan. Perchè la visionaria opera di GrassHopper è perfetta per inquadrare le girandole esistenziali di una generazione che si esalta per i pixel, che scombussola i propri valori, ma che non è ancora così sterile da non poter produrre, in qualche strana maniera, nuovi Eroi.

    8

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