Red Dead Redemption: primo contatto con il western di Rockstar

Wild Wild West

Red Dead Redemption: primo contatto con il western di Rockstar
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Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • PS4
  • Switch
  • PS4 Pro
  • E’ curioso, ma fu proprio un western ad innovare, all’inizio del secolo scorso, un certo modo di fare cinema, di raccontare una storia seguendo una linea narrativa ideale. The Great Train Robbery del mitologico Edwin S. Porter di certo non fu il primo film a sviscerare una delle tante e polverose e logore favole del vecchio West, ma di certo marchiò a fuoco un mood narrativo che in parte ancora oggi ci appartiene. Per questo stralci del capolavoro in questione riemergono dal video di presentazione di Red Dead Redemption, cui abbiamo assistito negli studi londinesi di Rockstar.
    Il nuovo titolo di Rockstar San Diego è dunque un autentico omaggio, la celebrazione di un immaginario filmico, di un’iconografia poco sfruttata dall’industria ludica. Il caro e vecchio West.
    Con un distinguo ben preciso, però. Siamo al crepuscolo di un’epoca. La frontiera sconfinata e desolata, sconnessa da un qualsivoglia sistema morale, anarchica e indipendente sul piano della legiferazione, è ormai agli sgoccioli. L’industrializzazione pressante rende tutto più piccolo, più vicino, più controllabile. Treno e telegrafo sono solo i prodromi del morbo tecnologico che pasteggia divorando le carni di un’intera era. Il governo Federale anela ad accorpare a sé quelle lande dimenticate, per trasformarle, trasfigurandone le vite che ancora vi soggiornano.
    Quello di Red Dead Redemption è un West stanco, moribondo, disperato. Lo stesso West messo alle corde dalla camera di Sam Peckinpah, ne “Il mucchio selvaggio”. O da Leone, col suo “C’era una volta il West”. O dal sempreverde Clint col testamentario “Gli Spietati”.
    Primi vagiti di piombo del ‘900. Cinquanta sono gli anni trascorsi nel mondo di gioco dal primo Red Dead Revolver. La posta in gioco ora è riuscire a replicare il successo di GTA IV, ricalcandone la medesima cura realizzativa, lo stesso lirismo nelle dinamiche free roaming, applicandole ad un contesto scenico se vogliamo ancor più immersivo e pregno di atmosfera.
    E’ il momento di fare nuove conoscenze. Vi presentiamo John Marston.

    Scappare dal proprio passato è impossibile. Come un cane a cui si è dato da mangiare una volta di troppo, segue ed insegue la scia dei ricordi di chi cerca di sfuggirgli nutrendosi di rimpianti.
    John Marston lo sa, ma corre lo stesso. Corre lontano da una vita vissuta ai bordi di una civiltà di frontiera, senza leggi, senza etica, e avida di sangue. E’ un ex fuorilegge, le cicatrici che ne deturpano il volto lo testimoniano. Forse ha vissuto troppo, e sicuramente non ne può più di quell’oblio. Il vento sta cambiando. E potrebbe portare buone nuove. Come un’esistenza normale.
    Per qualche tempo le cose andarono per il verso giusto. Finché il Bureau -agenzia antesignana della coeva FBI- un bel giorno ruppe l’incantesimo, richiedendo il suo aiuto per stringere la corda al collo di quei disperati che ancora brulicavano in quelle sudice terre. Piccola rettifica: non fu una vera richiesta, quanto un ricatto bello e buono.
    I dettagli concernenti la storia di Red Dead Redemption finiscono qui. Gli sviluppatori ci hanno assicurato una componente narrativa preponderante, sfaccettata e fascinosa. Sulla falsariga d GTA IV? Forse qualcosa di più. In primis perché al traino narrativo verrà affiancato un complesso sistema di scelte morali, che veicoleranno conseguenze diverse. Non è dato sapere quanto e come tali opzioni etiche influiranno sul gameplay o sulle diramazioni della trama, sebbene un piccolo indizio sia la proceduralità degli eventi che contornano l’esperienza di gioco, soprattutto per quanto riguarda gli NPC. In pratica, ad un set predeterminato di missioni primarie e secondarie, si allaccia tutta una serie di eventi casuali e non scriptati che rendono più verosimile l’ambiente di gioco, più vivo e svincolato da logiche story driven.
    Durante una cavalcata al tramonto, ci imbattiamo dapprima in una rapina con tutti i crismi: una donna -braccata da malviventi degni del premio Oscar- invoca a squarciagola il nostro aiuto. L’aiutiamo? Non l’aiutiamo? L’odore di trappola è davvero forte, quasi insopportabile. Ma noi ci caschiamo lo stesso.
    Stessa cavalcata, partita diversa. Della donna e della sua sciagurata combriccola nessuna traccia, solo un uomo inseguito da un branco piuttosto arzillo di coyote. Ci dispiace amico, andiamo di fretta.
    E ancora. Medesimo tragitto. Stavolta nulla turba la quiete silenziosa di quella distesa di sabbia e polvere. Giusto un cane randagio, che ci lancia un’occhiata sbieca prima di scomparire.
    Carichiamo per l’ultima volta il medesimo spezzone. Assalto ad una diligenza. Interveniamo?
    Il fine ultimo è quindi assicurare un alto tasso di varietà, senza sminuire il ruolo cardine della narrazione. Una scelta che dunque costituisce un passo in avanti rispetto a quanto ostentato dallo stesso GTA IV.
    Altro punto chiave nel processo di rilettura del genere sandbox operato da Rockstar San Diego, è la presenza vitale, pulsante e attiva di un vero ecosistema, che trascende la scontata presenza dell’essere umano inserendo anche gli animali, che vivono non in armonia, bensì in lotta con l’uomo per la sopravvivenza in un ambiente arso dal sole.
    Topi, lepri, serpenti, cani, coyote, orsi, e svariati volatili controllano la scena in virtù di specifiche routine comportamentali, che ovviamente tengono conto del territorio, della situazione e del fattore rischio. Molti escono allo scoperto solo per pasteggiare con i resti di altri animali, o per rifocillarsi con cadaveri umani imbottiti di piombo.
    La fauna locale, naturalmente, ha un solo re: il cavallo. Il quadrupede in questione è fondamentale, fra le altre cose, per gli spostamenti, trainare carri o guadare torrenti, ed è anche soggetto a caratteristiche fisiche diverse. Alcuni cavalli sono resistenti, altri potenti, altri ancora veloci. E’ il caso, per esempio, di quelli selvaggi e non addomesticati, difficile anche solo da avvicinare. Le loro reazioni, inoltre, sono sottese da algoritmi differenti. Se sovrasfruttati, magari con qualche scudisciata di troppo, possono imbizzarrirsi o disarcionare chi li governa. Inoltre, taluni esemplari possono maturare la tendenza a fermarsi su specifici terreni (magari perché troppo rocciosi, o comunque impervi), mentre in linea di massima optando per percorsi meno ortodossi -quindi meno battuti da carovane, carri e dai cavalli stessi- a risentirne è l’andatura dell’animale.
    Il discorso sulla diversità dei terreni fornisce il la alle speculazioni sull’ambiente di gioco. Enorme, gigantesco, quasi sconfinato. L’area calpestabile, suddivisa in tre zone collegate (Messico, Frontiera e Plains), stupisce innanzitutto per il colpo d’occhio: un’estensione visiva che lascia senza fiato, già tagliata da effetti di luce abbaglianti capaci di rendere calda e veritiera la fotografia d’insieme.
    In termini di grandezza, le tre zone rispecchiano le dimensioni della Liberty City di GTA IV, da cui si discostano però in maniera radicale. Se la chiave di lettura della metropoli di Niko Bellic era la densità, qui, fra la steppa sabbiosa del vecchio West, è la rarefazione -delle persone, dei centri abitati- a dettare legge. Il che ovviamente non equivale a non avere nulla da fare, vuoi per gli eventi non scriptati citati poc’anzi, vuoi per l’abbondanza di minuscole cittadine che affastellano l’ambiente di gioco. A volte vere e proprie cittadine, con tanto di banca, fabbro, merceria, sartoria e saloon. E qualche sparuta fattoria nel raggio circostante. Talvolta invece solo quattro baracche costruite alla meno peggio, poche assi e un tetto spiovente, spuntate dal nulla o vicine ad una sorgente d’acqua. Città, villaggi e sobborghi divisi da gradi di civilizzazione diversi, e da chilometri di vita differente, che cambia in base alle diverse ore del giorno e della notte. Perché non solo gli NPC (personaggi non giocanti) conducono esistenze scandite dal tempo, ma anche gli animali. Di notte, per esempio, è assai più probabile imbattersi in branchi di lupi davvero poco amichevoli.
    Gli sviluppatori hanno poi promesso un grado di interagibilità ambientale importante: ovviamente il numero di edifici esplorabili è al momento sconosciuto, sta di fatto che in una di queste piccole realtà locali siamo riusciti ad entrare un po’ dappertutto. Centro nevralgico di qualunque paesello del West è senza dubbio il saloon. Luogo di svago, di attività collaterali, ma anche catalizzatore di guai, come hanno fatto intendere i portavoce Rockstar. I mini giochi e le scommesse fanno quindi parte della vita del buon vecchio John Marston. Uno di questi, il Five Finger Filet è il figlio prediletto di un’epoca in cui bisognava per forza di cose convivere col rischio. E inventarselo, quando mancava. Un coltello, da passare il più velocemente possibile tra gli spazi lasciati della dita di una mano poggiata sul tavolo. Un QTE che via via si fa più difficile e sincopato.
    E’ presente dunque un sistema economico, i cui bordi sono ancora da delineare. Gli sviluppatori hanno confessato una valenza superiore al corrispettivo presente in GTA IV (dove i soldi erano sostanzialmente superflui), senza però scendere nel dettaglio. Per far soldi, quindi, oltre alle scommesse, è possibile rivendere gli oggetti eventualmente trovati tra le lande desertiche.

    Tre le missioni cui abbiamo preso parte, un timido assaggio di quello che sarà il piatto finale, particolarmente ricco di sparatorie, duelli, corse a perdifiato in groppa a destrieri instancabili o a diligenze. La varietà è comunque un punto nodale delle produzioni Rockstar, ed in più qui hanno una base filmica particolarmente copiosa da cui poter attingere situazioni.
    Nella prima, pioggia di fuoco in una cittadina dimenticata nel nulla, attraversata solo da rotoli di paglia. Uno scambio di persone. Finito male. Qualcuno sta per penzolare da una corda. Un’amica di John. Il sistema di coperture non è dissimile da quello palesato da GTA IV, così come la distruttibilità dello scenario (solo accennata nel capolavoro di Rockstar North). John Marston può portare fino a quattro armi: shotgun, fucili di precisione, pistole, coltelli e lazzi, pezzi autentici fuoriusciti direttamente da quell’epoca, senza intromissioni moderne di sorta.
    L’unica concessione ad un gameplay più all’avanguardia è in realtà un retaggio del prequel, Red Dead Revolver, ovvero il Dead Eye, qui ampliato nella meccanica e nell’efficacia. Maneggiando una qualsivoglia arma, è possibile rallentare il tempo per prendere la mira con più calma, seguendo le direttive canoniche del bullet time. La seconda modalità è attivabile ricorrendo alla sola pistola, con la quale puntare bersagli multipli (anche parti del corpo diverse di un singolo nemico) per uccisioni dannatamente veloci, utili soprattutto quando si è circondati.
    Se la seconda missione -su binari- non ha detto nulla di particolarmente nuovo, l’ultima è stata un grandioso inno tanto alla filosofia western quanto all’estensione del mondo di gioco. La difesa di un treno, a cavallo, insieme ad un gruppo di militari messicani, dall’assalto di decine di fuorilegge, si è rivelata un trionfo per ritmo e strategia. Diverse le possibilità date dall’ambiente di gioco: sfruttamento delle pareti rocciose per nascondersi e recuperare energia, o di punti sopraelevati da dove poter colpire con più calma i cavalli dei nemici.
    Garantita la presenza di modalità multiplayer, così come di futuri downloadable content, sebbene la natura di entrambi per ora non sia stata specificata.
    La release del gioco, inizialmente prevista per il prossimo autunno, nelle ultime ore è stata oggetto di riposizionamenti (da parte di Rockstar, al primo quarto del prossimo anno fiscale) e di speculazioni (da parte dei giocatori). Attendiamo notizie ufficiali da parte di Rockstar, sebbene condivideremmo la scelta di saltare a piè pari un periodo natalizio che si preannuncia particolarmente congestionato.

    A livello tecnico, Red Dead Redemption getta la basi per un ulteriore affinamento delle peculiarità mostrate da GTA IV. Il motore -Rage- è lo stesso, ed il fatto di essere alleggerito dal calcolo simultaneo di decine e decine di veicoli e NPC, rende possibile una definizione dei particolari -degli ambienti, dei personaggi- impensabile per il gioco targato Rockstar North.
    John Marston è caratterizzato in maniera davvero incredibile: nel vestiario, nelle armi che ne ricoprono torso e cintola, nel viso.
    Le animazioni, figlie dell’Euphoria Engine, risultano estremamente realistiche ed appropriate. Vedere gli avversari che si contorcono, cadono e si dimenano in maniera diversa a seconda del punto di impatto del proiettile, dona un nuovo senso alla tecnologia Natural Motion evidenziata dagli sviluppatori. Un realismo che interessa anche gli animali, i cavalli in primis. La loro corsa è semplicemente perfetta, così come l’interazione degli zoccoli col terreno, o le reazioni che palesano qualora feriti o spaventati (magari da una serpe).
    Ottima inoltre l’illuminazione dinamica, che tinteggia con squarci di luce un mondo che anela l’ombra e la sera più di ogni altra cosa.
    Non giudicabili per ora le cut scene, i tagli registici utilizzati o il sonoro. Bisognerà attendere la prossima build.

    Red Dead Redemption Red Dead Redemption non è GTA IV ambientato nel vecchio West. Troppe le differenze fra i due titoli, e davvero tante le novità che Rockstar San Diego ha messo sulla bilancia. In primis, un ecosistema vivo e perfettamente integrato. In secondo luogo, un’atmosfera assolutamente senza eguali. Alcuni fattori andranno valutati con attenzione (ad esempio, il numero di missioni, le conseguenze delle scelte morali effettuate, le opportunità extra-missione date al giocatore), ma le premesse già ci parlano di un titolo confezionato con sapienza. Un altro capolavoro in arrivo dalla frontiera Rockstar?

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