Amnesia Collection Recensione

La Amnesia Collection porta per la prima volta su console i terrificanti The Dark Descent, Justine e A Machine for Pigs.

Amnesia Collection Recensione
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Disponibile per
  • PS4
  • Sebbene la paura sia un sentimento soggettivo, non si può certo negare che nel 2010 Amnesia: The Dark Descent scosse i nervi anche dei giocatori più impavidi: il survival horror di Frictional Games (già creatori del torbido Penumbra) esasperava e rinnovava il concetto d'inquietudine, grazie ad un'atmosfera terrorizzante che distillava, con sapienza, la giusta dose d'ansia nei tachicardici cuori degli utenti. Al momento della sua release, The Dark Descent fu accolto con fervore da una community mai sazia di (mal)sani spaventi, e venne immediatamente acclamato come nuovo metro di paragone del genere. Più tiepida invece la risposta degli appassionati nei riguardi di A Machine for Pigs, sequel che Frictional Games (impegnato con l'ottimo Soma) affidò nelle mani del team The Chinese Room, autore dell'evocativo Dear Esther: un titolo meno agghiacciante del capostipite ma comunque in grado di provocare genuini sussulti. Per lungo tempo, questi due capisaldi dell'orrore videoludico sono stati appannaggio esclusivamente del pubblico PC, almeno fino ad ora: la Amnesia Collection esordisce quindi per la prima volta anche su PS4 con una raccolta che contiene non solo The Dark Descent e A Machine for Pigs, ma anche l'affascinante DLC Justine, in modo tale che persino i giocatori console possano perdersi in un incubo che li farà sobbalzare, rabbrividire, impazzire.

    Il buio oltre l'oblio

    La perdita di memoria è il filo conduttore che lega i tre episodi contenuti all'interno della Collection: in The Dark Descent, il protagonista Daniel si risveglia privo di ricordi in un antico, tonante maniero , che siamo costretti ad esplorare in ogni oscuro anfratto pur di riuscire a ricollegare i pezzi del nostro passato.

    Il castello di Brennenburg è un luogo maligno, sede di perversioni indicibili e paure arcane, dimenticate negli scompartimenti più profondi dell'inconscio: dialogando con se stesso, col suo "io" annichilito da chissà quale senso di colpa, Daniel scoprirà, orrore dopo orrore, una terrificante verità. La storia di The Dark Descent è narrata con un piglio frammentario che acuisce la tensione: la ricerca di pagine di diario e di annotazioni sparse, che contengono parte della trama complessiva, è affiancata da sequenze oniriche che rivelano l'identità del protagonista e il motivo della sua presenza in quella dimora infernale. La necessità di esplorazione si fa allora incalzante e opprimente, mentre il buio e il terrore, pian piano, prendono il sopravvento. Pur senza lesinare in sequenze più violente e sanguinose, The Dark Descent gioca con l'ansia, l'angoscia e la lenta agonia dell'ignoto. Di diverso impatto, invece, il breve ma intensissimo Justine: un piccolo contenuto extra che narra una vicenda di terrificante crudeltà. Una gentil donzella si ridesta, anche lei senza alcun ricordo, in una cella sotterranea lercia e angusta. È prigioniera della sadica Justine, nobildonna che la sfrutta per il suo disgustoso sollazzo: la protagonista dovrà superare alcune prove di coraggio e di astuzia per salvare la pelle, in un crescendo di dramma e brutalità. A differenza del capitolo principale, questo spin-off dall'esigua durata (può essere completato in una mezz'oretta) offre una diversa visione della paura: all'ansia si accompagna quindi una violenza più spinta, che ci pone subito dinanzi al pericolo, senza troppi fronzoli né climax di sorta. È sorprendente come in soli 30 minuti o poco più, Justine nel suo essere esplicito e diretto, riesca comunque a farci sussultare, sudare, tremare. Dopo due capitoli di tale intensità, A Machine for Pigs, sotto certi aspetti, equivale ad un leggero passo indietro. Con il timone passato dalle mani di Frictional Games a quelle di The Chinese Room, a cambiare è stato anche il modo con cui è veicolata la paura: al pari dei suoi precedenti lavori, infatti, il team ha preferito orientarsi principalmente verso una narrativa di stampo ambientale. Sebbene permangano ancora appunti da leggere e fonografi da ascoltare, buona parte delle suggestioni orrorifiche di A Machine for Pigs sono filtrate da un uso del setting come raffigurazione perturbante dell'inquietudine: dipinti dal forte simbolismo, statue, alcove nascoste, ritratti di donne e bambini possono aiutarci quindi a ricostruire le reminiscenze di Oswald Mandus, un uomo (di nuovo) svegliatosi dal torpore di un incubo solo per finire nelle tristi fauci di un altro ancor più terribile. La ricerca dei figli perduti all'interno di una grande villa in apparenza disabitata, però, non trasmette le medesime sensazioni angoscianti del capostipite della serie, complici un uso abbastanza prevedibile degli script e di qualche soluzione narrativa non sempre efficace. In un aspetto, tuttavia, A Machine for Pigs forse supera persino i predecessori, ossia nella forte originalità delle tematiche trattate, che culminano in un finale dove riflessione, sgomento e repulsione si coniugano in un amalgama decisamente inusuale.

    È interessante constatare come i differenti stili di racconto vadano di pari passo con altrettanto diversificate meccaniche di gameplay. The Dark Descent - lo abbiamo detto - sfrutta un tipo di terrore tutto basato sull'attesa e l'imprevedibilità: in tal senso, il gioco ci impone di misurare ogni passo, continuando imperterriti a mantenere su livelli accettabili il nostro stato di sanità mentale. Dopo aver assistito ad eventi inspiegabili, non a caso, Daniel inizierà a dubitare delle proprie capacità cognitive: lo schermo allora si contorcerà, la vista si annebbierà, ed ombre deformi ci appariranno dinanzi agli occhi, mentre rumori anomali, gridolini e stridii di indefinita provenienza continueranno a tormentarci, con conseguente ritardo nella risposta dei nostri input di comando. Per tranquillizzare il protagonista, allora, dovremo compiere azioni che gli permettano di riprendere contatto con la realtà, come leggere alcune note sparse negli ambienti, risolvere enigmi e rintanarci in luoghi illuminati.

    Le risorse in nostro possesso sono disgraziatamente parecchio limitate, e la lampada che potremo utilizzare per irraggiare un angolo oscuro dovrà essere rifornita d'olio molto spesso, pena una quasi totale sopraffazione delle tenebre. Questo gameplay lento ed ansiogeno esplode durante le fughe dagli abomini che infestano il castello: la corsa dalle creature (unico modo per sopravvivere ai loro assalti) rischia di farci perdere l'orientamento, di farci sprecare oggetti preziosi pur di trovare una scappatoia, oppure finanche di farci divenire completamente pazzi. Se in The Dark Descent il ritmo compassato si muove in simbiosi con una narrazione in cui predomina la suspense, in Justine le nuove tempistiche del racconto impongono una velocizzazione delle dinamiche di gioco, molto più asciutte ed impietose: le prove della nostra psicopatica carceriera ci pongono subito faccia a faccia contro l'orrore, obbligandoci a pensare alla svelta a soluzioni alternative per evitare le mostruosità e per superare il test senza rimetterci la vita. La presenza della morte permanente, inoltre, acuisce di gran lunga il peso opprimente dell'eventuale errore. In un'esatta via di mezzo tra i due precedenti capitoli si situa A Machine for Pigs: da una parte la narrativa ambientale richiede un'esplorazione meticolosa e oculata, senza la fretta di sopravvivere o cercare nuove risorse, dall'altra la scrematura di alcuni elementi di gameplay di The Dark Descent snellisce, anche troppo, la profondità dell'esperienza, movimentandone la progressione. Nel sequel targato The Chinese Room scompare sia la necessità di tenere a bada la nostra sanità mentale, sia di analizzare ogni angolo dell'ambiente alla disperata ricerca di cerini o boccette d'olio per la lampada, che in questo episodio ha una durata illimitata: la tensione, in tal modo, viene considerevolmente smorzata, e l'inedita tranquillità ci concede di scrutare il setting con più calma e pacatezza, nonché di correre tra i corridoi senza la paura di rimanere perennemente al buio. A Machine for Pigs diviene così un'avventura meno impressionante dei suoi prequel, più contemplativa che interattiva, in cui l'orrore è quindi più "concettuale" che realmente "concreto".

    La definizione di spavento

    Se è vero che il terrore non si misura in pixel, d'altro canto una componente tecnica realizzata con perizia potrebbe indubbiamente favorire l'immersività del giocatore nei tremendi mondi di Amnesia. The Dark Descent è un titolo uscito ben sei anni fa: un lasso di tempo molto ampio nel settore videoludico, che avrebbe potuto facilmente arrugginire le mura del castello di Brennenburg. Ebbene, nonostante qualche evidente limitatezza causata dagli anni, in linea generale la versione console si difende con dignità.

    Senza nulla da invidiare all'edizione PC per pulizia dell'immagine e qualità dell'illuminazione, The Dark Descent ci avvolge con un'atmosfera malsana, con un continuo contrasto tra luce e oscurità: la nostra fioca lampada ad olio evidenzia un corredo di texture sufficientemente ricco da impreziosire ogni dettaglio della magione, dalle polverose librerie ai putridi e sporchi scantinati. Alcune, inevitabili debolezze s'intravedono però ancora in modelli poligonali abbastanza grezzi e in tempi di caricamento tra una macro area e l'altra un po' invasivi. Medesima realizzazione estetica anche per Justine, che presenta un colpo d'occhio più rifinito per quanto riguarda gli oggetti scenici e la realizzazione delle implacabili creature alle nostre calcagna. Entrambi i suddetti titoli vantano un frame rate stabile intorno ai 60fps: lo stesso non si può dire, paradossalmente, per A Machine for Pigs, il gioco più "recente" della Collection. L'horror di The Chinese Room non mantiene sempre la medesima fluidità in ogni circostanza, e qualche inspiegabile calo di fotogrammi si ravvisa durante le corse tra gli ampi saloni della villa londinese. Di contro, A Machine for Pigs dona al giocatore un comparto grafico più elaborato e rifinito, con ambienti ben particolareggiati e piuttosto saturi di suppellettili e mobilia. Anche il level design si fa più contorto e perverso rispetto a quello dei giochi precedenti, grazie a tocchi d'arredo decisamente inquietanti. Menzione d'onore, infine, per quanto concerne il reparto sonoro: senza mezzi termini, musiche ed effetti ambientali restano eccezionali, ora soffusi, ora preminenti, ora eleganti, ora grevi e martellanti, cui si aggiunge altresì un doppiaggio dallo squisito accento inglese (sottotitolato in italiano in modo non sempre impeccabile), forse un po' teatrale nella pronuncia, ma perfettamente in grado di farci immedesimare nei sussulti di uomini che hanno davvero molta, molta paura.

    Amnesia Collection Amnesia CollectionVersione Analizzata PlayStation 4Amnesia Collection è una raccolta assolutamente imperdibile per tutti i giocatori che bramano abbandonarsi al piacere del brivido. Si tratta di tre capitoli che giocano con una nuova tipologia di orrore: intelligente, quasi mai scontato, privo d’inutili e banali jumpscare, ma soprattutto capace di mantenersi costante per tutta la durata delle avventure, senza quasi nessun momento di rilassatezza. L’edizione PS4 propone all’utenza un’offerta contenutistica ottimamente commisurata al prezzo budget di vendita (circa 30 euro solo in digital delivery), impreziosita da una conversione grafica che non sfigura rispetto alla controparte PC, con solo qualche prevedibile mancanza tecnica connaturata nelle versioni originali e alcune piccole, perdonabili approssimazioni in fase di porting (ad esempio, nel caso volessimo cambiare episodio mentre siamo in gioco, ci toccherà necessariamente riavviare l’intera applicazione). Amnesia Collection porta quindi anche su console la sua personale idea di terrore videoludico, per ricordarci che la paura - quella vera - non può mai essere dimenticata.

    8

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