Recensione Virginia

Virginia è un videogioco cinematografico, talmente cinematografico da mettere in dubbio l'essenza stessa del videogioco...

Recensione Virginia
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Del rapporto tra videogiochi e cinema si parla di frequente, persino troppo. Il più delle volte si abusa del termine "cinematografico" per definire narrazione e messa in scena, per catalogare quei titoli in cui l'impronta registica invade lo schermo. Punti di vista, spesso parziali. Le relazioni tra videogioco e cinema vanno ben oltre la forma, tant'è che ci sentiremmo di consigliare maggior cautela nell'utilizzo del termine sopraccitato. Virginia è un videogioco cinematografico, talmente cinematografico da mettere in dubbio l'essenza stessa del videogioco. Un titolo in cui le retoriche del cinema sovrastano quelle videoludiche al punto da farci riflettere sui confini tra i due media. Per certi versi, Virginia segna la morte e del cinema e del videogioco, nello stesso esatto momento.

    Primo Atto

    I titoli di testa sembrano introdurre un film, la tipica sequenza che culmina col nome del regista. Nel mentre, il cartello Virginia ci ha introdotti al film in questione. Il sottofondo orchestrato suggerisce un'atmosfera raffinata, la stessa raffinatezza che emerge dalla direzione artistica chiaramente poco mainstream. Siamo di fronte allo specchio, nei panni dell'agente dell'FBI Anne Tarver. Sono poche le azioni consentite, è il cursore a suggerire con cosa possiamo o non possiamo interagire. Virginia inizia come un film e sembra la tipica avventura grafica. Tutto farebbe presagire l'imminente svolgimento dell'ennesimo walking simulator. Non fosse che l'esplorazione, in Virginia, è quasi completamente negata. Il regista mantiene il controllo della narrazione e il giocatore s'improvvisa attore, incastrato in una linearità che gli concede poco margine di manovra.

    Secondo Atto

    L'agente Tarver ha una missione da svolgere: indagare, insieme a una collega, sulla sparizione del piccolo Lucas Fairfax. Scomparso da Kingdom, Virginia. Sin dai primi stacchi si percepisce l'intenzione degli sviluppatori, raccontare una storia che va oltre la superficie delle cose. Virginia è il racconto di un'indagine, ma è anche il resoconto di un rapporto professionale, di un rapporto familiare, di oscuri segreti e di un viaggio traballante nella psiche umana. Si è parlato spesso di Lynch e Twin Peaks. In effetti, gli autori dimostrano notevole consapevolezza sul fronte cinematografico.

    Gli omaggi sono disseminati lungo il racconto, tutta la parte finale del gioco è un'esperienza surreale che si spinge ben oltre i limiti della comprensione.In genere si pensa alla narrazione come a una linea che va da A a B. Si può saltare all'indietro (flashback) o in avanti (flashforward), talvolta pure a destra o sinistra (universi paralleli), ma infine si arriva a una destinazione. Di solito, un film o un gioco possono essere raccontati a un amico. Non Virginia. Di Virginia si può raccontare la premessa, ma poi il meccanismo si rompe, la narrazione esplode. Non è più solo questione di interpretazione, è questione di moltitudine, di accostamenti quasi d'avanguardia che danno vita a infinite potenzialità narrative. Non c'è quindi una storia, ci sono tante possibilità quante sono le sfumature della realtà. Opzioni che si escludono o possono convivere, che si legano oppure no. Non c'è mai realmente una conclusione, ogni scena è una storia a sé. Confusi? Anche noi.

    Epilogo

    Confusi, ma affascinati. Di solito si tende a credere che il giocatore, per quanto guidato dalle mani (più o meno) invisibili dello sviluppatore, sia padrone delle proprie azioni e del proprio divenire. L'azione non viene interrotta, se non alla fine della sequenza. Il montaggio videoludico ha retoriche che spesso nemmeno notiamo, tanto le diamo per scontate. Virginia ambisce però a essere un film, per cui il montaggio si adatta di conseguenza. La progressione è scandita da stacchi che non tengono conto delle azioni del giocatore, ma solo delle necessità narrative. Dovete scendere dieci rampe di scale? Dopo due piani, mentre state ancora camminando, ecco uno stacco.

    Vi ritrovate quindi nei sotterranei, come per incanto, e continuate a proseguire, perché la retorica cinematografica l'avete ben scolpita in testa e siete consapevoli che quella era una comoda ellissi per evitare di farvi percorrere anche le altre otto rampe. Nei videogiochi, tuttavia, una strategia simile non è certo all'ordine del giorno. Il gioco sfrutta sovente questa artificio. Funziona. L'esplorazione quasi non esiste e in quei pochi frangenti in cui gli spazi si aprono non è nemmeno indispensabile. Il film deve continuare, fino alla prossima scena, fino al prossimo stacco.

    Questo è il vero epilogo

    Nessuna parola viene proferita. Virginia ha il sapore del cinema muto, senza però didascalia alcuna. La sua è una narrazione affidata completamente alle immagini, alla gestualità, a reazioni che sappiamo decifrare perché codificate. Poi tutto esplode, come dicevamo, e dalla metà in poi il gioco diventa pura surrealtà. Virginia è la morte del videogioco perché segna la fine dell'esplorazione, e in senso lato dell'interazione. Virginia è la morte del cinema perché ne tradisce le retoriche, esportandole altrove e limitandosi a simularle. Virginia è il primo vero film interattivo della storia. Né film, né gioco.

    Virginia VirginiaVersione Analizzata PlayStation 4Che annata incredibile: dopo Inside, ecco un altro gioco destinato a influenzare la narrazione a venire. Nel bene e nel male. Perché Virginia non è un bel gioco. Non è nemmeno un bel film. Non sapremmo nemmeno dire se ci è piaciuto. Fidati del tuo punto di vista, ti sentirai libero, diceva qualcuno. Non mediare: scegli. E se invece non volessimo scegliere? Piaciuto o non piaciuto, non è questo il punto. Facciamo esplodere anche questa recensione. Virginia va semplicemente giocato, perché altrimenti si rischierebbe di perdere qualcosa, che piaccia o meno, bello o brutto che sia. Sono due giorni che non facciamo altro che pensare a Virginia. Gli diamo 9, ma poteva benissimo essere 3.

    9

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