Recensione Echoshift

Il seguito spirituale di Echochrome: tra cromoterapia e viaggi temporali

Recensione Echoshift
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  • PS3
  • Psp
  • E' il tempo il vero lusso di questi tempi. Avere a disposizione ore e ore per concedersi la facoltà di affrontare con calma ogni impegno, ogni disguido, ogni incontro. Apprezzare ogni istante e assegnare ad esso il giusto valore. Ma sopratutto riavvolgere il tempo e poterlo svolgere in modi differenti, riparare a incresciosi errori. Già, ma come controllarlo?
    Echoshift, nuova creatura di Sony Computer Entertainment Japan per Playstation Store (via Playstation 3 e PSP) ambisce ad essere un puzzle game originale, uno spremi meningi, un raffinato gioco con e contro il tempo. Questo senza smarrire una propria valenza all'interno della game art, trasmessa dal predecessore Echochrome, uscito nel 2008 su PSP e Playstation 3.
    Secondo la teoria della relatività ristretta, formulata da Einstein nel 1905, spazio e tempo non solo sono in saldo rapporto, ma è necessaria una assoluta identità tra tali elementi per dichiarare la simultaneità di due eventi. La fisica di tutto il Novecento si è mossa da questi presupposti, nel corso del quale certe linee teoriche hanno trovato grande applicazione pratica. Non ultima il videogioco, come testimonia appunto Echoshift. Echochrome, suo prequel spirituale, colpì positivamente vuoi perché originale, vuoi perché esteticamente gradevole o semplicemente perché pubblicizzato alla grande da Sony. Ma ciò non fu sufficiente a cancellare i difetti strutturali del prodotto, a cominciare dall'impossibilità di controllare la camminata dell'avatar.
    Dal gioco spaziale il team giapponese è quindi passato a quello temporale, con il preciso intento di porre rimedio ai difetti congeniti di Echochrome.
    Echoshift quindi supera con sbarazzina disinvoltura i panorami escheriani del predecessore, abbandona la sua presuntuosità artistica, per approdare infine a una esperienza più vivibile, godibile, giocabile.

    Punto di (ri)partenza

    Oberato dai molteplici impegni (Locoroco, Patapon e Patchwork Heroes) il Sony Japan Studio ha preferito delegare in parte lo sviluppo di Echoshift ad Artoon, team che sul suo curriculum vanta giochi quali Blue Dragon e Yoshi’s Island DS. Le linee morbide e affusolate, la plasticità dei colori sono il punto comune di queste produzioni, nel gameplay assai distanti tra di loro. Buona parte di queste caratteristiche trovano eco anche in Echoshift, a cominciare dal logo del gioco scarabocchiato, pare, da un frenetico carboncino. E all'interno dei livelli ecco spuntare quelle texture barbaramente assenti in Echochrome, elementi dello scenario pitturati con tonalità calde, ma soffuse e disperse, allo scopo di preservare l'eleganza delle linee geometriche.
    Ma l'apporto più significativo da parte di Echoshift risiede nell'aver trasformato un puzzle game amorfo pudicamente, come lo era il predecessore, in un videogame completo, consapevole e ben ritmato.

    Il titolo Artoon comincia a ripensare l'esperienza di gioca adottando una visuale laterale, che seppure non intende abbandonare il profilo tridimensionale, si concentra su uno schema classicamente bidimensionale. Tale scelta di design ricorda molto da vicino la serie Exit di Taito, che proprio sul portatile Sony ha mosso i primi passi. In secondo luogo si fornisce finalmente al giocatore la facoltà di gestire come meglio creda il movimento del personaggio, la cui deambulazione viene assegnata ora alla croce direzionale. Adesso che finalmente la serie Echo assurge allo status di prodotto videoludico, Artoon può lavorare per gestire enigmi e design dei livelli. Le regole del gioco sono assai semplici: raggiungere il limite opposto dello schema entro un tempo prefissato, variabile tra i trenta e i cinquanta secondi. Ma vi accorgerete ben presto che la sabbia nella clessidra scorre con troppa fretta e che determinati pulsanti aprono percorsi soltanto se qualcuno si sofferma sopra di essi. La soluzione non deriva da movimenti inconsulti dello scenario di gioco, ma dall'agire controllando il tempo. Non riavvolgendolo a piacimento, ma potendo compiere più azioni simultaneamente. Il concetto di Echoshift ruota attorno al fatto che il gioco "riprende", filma, per filo e per segno, le azioni svolte dal manichino nel lasso di tempo concesso dal gioco. Dopodiché si ritornerà al secondo zero e una nuova marionetta sarà assegnata alle mani del giocatore, le cui azioni si sovrapporranno a quelle effettuate nella sessione precedente, ora riecheggiate sotto forma di fantasma. Ma non si tratta di una figura evanescente come i ghost nei Time Trial dei racing game, quanto piuttosto di un essere in grado di agire sul mondo di gioco riproducendo fedelmente le pressioni, i movimenti e le interazioni precedenti. Ad esempio occorrerà spesso che un manichino si arresti sopra un pulsante colorato per poter far comparire dei blocchi su cui far passare il proprio successivo omologo.
    Emerge così un gameplay fortemente basato sul "trial and error", per cui raramente avrete modo di superare al meglio i livelli al primo colpo: solo dopo ripetute prove e una certa dimestichezza con gli assetti di gioco (gli elementi con cui interagire sono in numero maggiore rispetto ad Echochrome), si sarà in grado di cogliere puntualmente il fil rouge mentale che gli sviluppatori avevano pensato anzitempo. Se da un lato la possibilità di manovrare a proprio piacimento l'alter ego è un toccasana per la pazienza dei giocatori, dall'altro un simile inasprimento del level design, certo più elaborato del predecessore, rischia di prolungare più del dovuto le sessioni di gioco, contraddicendo la natura mordi-e-fuggi, da comodino (o da metropolitana) del puzzle game Sony.

    Tempo di DLC

    Nel momento in cui scriviamo sul Playstation Store europeo Sony ha già distribuito due contenuti scaricabili per Echoshift. Entrambi sono gratuiti e così dovrebbe valere per quanti si aggiungeranno in futuro. "Spazio" e "Navicella" sono due stage di gioco caratterizzati da una elevata difficoltà, una vera sfida per tutti i giocatori: come i nomi lasciano intendere, inoltre, ognuno ha un proprio tema, ben presentato da caratteristici fondali bidimensionali con taluni elementi in movimento.

    Crono-Terapia

    Questi tuttavia, sono inevitabili difetti marginali di un titolo intenzionato ad essere ben più che un videogame, ben più che un puzzle game.
    La longevità del titolo dipende molto da quanto lavorerà la vostra materia grigia per avere la meglio sugli oltre 50 livelli messi a disposizione dagli sviluppatori. Purtroppo manca un editor che avrebbe reso il gioco virtualmente infinito.
    Gli elogi invece si sprecano sull’aspetto visivo e uditivo: le melodie ad archi ad opera di Yutaka Minobe, le colorazioni cromoterapiche e la grande chiarezza delle piattaforme di gioco, invitano a godersi l'esperienza in forma totalmente rilassata, connaturando un pensiero alternativo che rimanda a una dimensione altra, dove già esisteva la personalissima fisica di Echochrome a cui ora si salda la relatività temporale di Echoshift: un eterno ritorno dei secondi, l'eternità in un palmo di mano, il limite sempre reiterato. La scomposizione ontologica come strumento per arginare e quindi superare le barriere spazio-temporali.
    Se questa non è filosofia del game design...

    Echoshift EchoshiftVersione Analizzata PSPEchoshift fa dei propri limiti le migliori virtù: entro un tempo limitato dovrete raggiungere la porta d'uscita del livello. Ma come? Creando copie di sé stessi che agendo in cooperazione, permettano di superare gli ostacoli frapposti, muri, burroni, eccetera. Riprendendo le varie intuizioni di Echochrome, i nuovi sviluppatori di Artoon hanno ideato una struttura più ludica, più immediata da giocare e da sopportare (per gli spazientiti dalle asperità del titolo del prequel). Un passo avanti notevole rispetto a Echochrome, troppo sofisticato e concettuale per essere apprezzato pubblicamente, che paga però il fatto di essere stato scarsamente sponsorizzato da Sony.

    7.3

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