Recensione American Horror Story: Coven

Tra torture, rituali e sacrifici le vicende della congrega di streghe più famosa dell'anno giungono al termine.

Recensione American Horror Story: Coven
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Valutare una stagione di American Horror Story rappresenta sempre una sfida. Nonostante la folta schiera di fan sparsi per il globo (molti dei quali oltreoceano), la serie di Ryan Murphy rappresenta forse il caso più esemplare di “atipicità televisiva". Un prodotto ben difficile da giudicare: a tratti acerbo, pretestuoso, carente, e a tratti geniale, surreale, innovativo. Nelle tre stagioni visionate (Murder House, Asylum e Coven) le puntate alternano tra loro non solo tematiche spesso gettate alla “carlona” o elementi che sembrano inseriti per puro caso (quasi sempre lanciandosi ben oltre la soglia del trash più volgare), ma anche scene e personaggi senza dubbio affascinanti, fotografie ed espedienti registici di forte atmosfera, scelte attoriali semplicemente perfette. Insomma, se le vicende sembrano proseguire senza alcun tipo di senso logico (sebbene nelle passate stagioni vi sia sempre stato un qualche tipo di miglioramento nelle puntate finali sotto l’aspetto narrativo) lo stesso non si può dire del carisma dei personaggi, dell’atmosfera malsana e particolare o della bravura degli attori. Guardare quindi uno show come questo significa godersi in primis determinati elementi difficilmente disponibili altrove, capaci però di rendere questo prodotto unico nel suo genere.

Una congrega fin troppo caotica.

In Coven, a differenza dell’exploit negli anni 50 di Asylum, le vicende prendono luogo ai giorni nostri e precisamente a New Orleans, in una piccola congrega di streghe. Esse sono tra noi fin dagli albori della civiltà, sebbene in un numero di molto inferiore rispetto al passato, e sono perennemente braccate dai vari witch hunter, nonché in lotta tra frazioni opposte. Ai vertici della congrega vi è la “Suprema” Fiona (interpretata da Jessica Lange), incaricata di vegliare sulla congrega e sui suoi membri. Nel serial vi sono inoltre ripetuti rimandi ai secoli precedenti, volti a descrivere l’intensa malvagità di Delphine Lalaurie (Kathy Bates) e della sua superba vena razzista/torturatrice nei confronti dei suoi malcapitati servi, o a descrivere il passato dei vari protagonisti che compongono la storia. Il primo e il secondo episodio in particolare ci aiutano a comprendere meglio i vari personaggi, che riescono a differenziarsi tra loro in maniera abbastanza marcata (gli stessi poteri cambiano a seconda della strega, spaziando dalla lettura del pensiero alla magia voodoo), perlomeno inizialmente. Si, perché almeno dalle premesse introduttive questo Coven si mostra quantomeno rassicurante rispetto al confusionario Asylum ma anche alla season precedente Murder House. Si riescono in linea di massima ad individuare i “bad guy” (sebbene in American Horror Story la malvagità è sempre fine a se stessa e anche l’animo più puro e lindo riesce a nascondere scottanti insidie), e a capire il ruolo che ricopriranno i protagonisti sebbene questa, purtroppo, resti la sola e sfuggevole premessa iniziale. Ben presto infatti, con il passare degli episodi, vedremo come gli autori, noncuranti delle critiche precedenti, si siano oltremodo sbizzarriti nel gettare quanti più elementi caotici e slegati tra loro all’interno della vicenda, e nell’offrire un quadro complessivo complesso e frammentato. Ogni puntata sembra offrire nuove situazioni che si sovrappongono o sovrascrivono azioni fatte in passato, tutto sembra lasciato al caso, non vi è coerenza di fondo, e sembra che gli autori non si siano fatti alcun tipo di problema nell’inserire ogni tipo di nuova idea all’interno della trama. Tutto questo a discapito della chiarezza, della coerenza narrativa, della credibilità generale. Le tematiche e i risvolti razziali, le autocitazioni e il nonsense favoriscono la mediocre riuscita di un prodotto dalle premesse esplosive.

Stregati dalla parte.

Vanno sicuramente lodate, come da tradizione del serial, la fotografia, l’atmosfera malsana che traspare da ogni fotogramma, la regia (capace di donare ad ogni scena un forte impatto emotivo) e gli attori. Jessica Lange, Sarah Paulson, Kathy Bates, Lily Rabe, Angela Bassett, Emma Roberts ed Evan Peters donano ai loro personaggi una forte personalità e una lodevole caratterizzazione (sebbene il ruolo della Lange risulti davvero troppo simile a quello di Constance o di Sister Jude), e si rivelano delle scelte perfette e indispensabili per la stagione. Il problema non sono le interpretazioni, ma i ruoli degli stessi personaggi nella vicenda che lasciano un retrogusto amaro. Il caos narrativo colpisce soprattutto loro, e in particolare il ruolo della vera guest star di questa stagione, Kathy Bates (Delphine Lalaurie). Sebbene la bravura dell’attrice conferisca il giusto rapporto di malvagità e sgomento al personaggio, è indiscusso chiedersi ai fini della trama il ruolo che Delphine abbia avuto nell’economia della storia: non vi è miglioramento né cambiamento dalla situazione iniziale, e i personaggi non beneficiano in alcun modo, nel bene e nel male, della sua presenza. Insomma, proprio come accadeva con le altre due stagioni i demeriti di Coven vanno ricercati non nella sua realizzazione tecnica o nel suo “organico” inteso anche come cast, ma proprio nella trama, nell’inconsistenza e nel caos narrativo che si va a creare. Neanche il finale di stagione, da sempre punto “quasi” chiarificatore di American Horror Story (che almeno riusciva a far riemergere gran parte dei rami narrativi portandoli ad una conclusione) riesce ad appagare la delusione complessiva. E il dispiacere è tanto, visto che gli elementi per produrre un prodotto lodevole ci sono tutti.

American Horror Story: Coven American Horror Story: Coven si presenta con gli stessi pregi e gli stessi difetti delle stagioni precedenti. Come pregi ritroviamo una cosmesi artistica e una regia formidabile, elementi arricchiti anche da ottime interpretazioni grazie ad un cast sempre azzeccato e funzionale. Come difetti ci scontriamo contro una forte incoerenza e inconsistenza narrativa segnata da elementi caotici e incompatibili tra loro, da scelte discutibili e da un finale poco riuscito. Ma la regola degli anni precedenti resta ancora valida: pur con i suoi difetti che ne minano indiscutibilmente la resa finale, American Horror Story rappresenta un prodotto sicuramente diverso e adatto a chi cerca qualcosa di alternativo, ed essendo unico nel suo genere la scelta per chi non si accontenta dei “soliti” generi televisivi resta quantomeno obbligatoria. Si spera che gli autori, nella prossima stagione, possano limare questi difetti e unirli ai pregi indiscussi che il serial possiede.