Recensione Six Feet Under - Stagione 5

Il capitolo conclusivo della saga dei Fisher emoziona: la serie Six Feet Under lascia un vuoto difficile da colmare in futuro

Recensione Six Feet Under - Stagione 5
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The End

Six Feet Under, dopo aver emozionato per quattro anni le platee televisive, giunge all'inevitabile epilogo. Il serial creato nel 2001 da Alan Ball taglia il traguardo delle cinque stagioni terminando in grande stile, com'è buona norma nelle produzioni HBO, prima che il gioco abbia tempo di mostrare la corda. Il risultato non delude, delineandosi piuttosto come una delle vette più alte dell'intero percorso. La stagione conclusiva arriva sugli schermi italiani nel 2008 (grazie a Sky Cult), con tre anni di ritardo rispetto alla programmazione americana. I diritti della trasmissione in chiaro invece sono come d'abitudine nelle mani di Italia1. Gli episodi rispettano ovviamente la struttura canonizzata dalle precedenti stagioni: l'incipit mette in scena un decesso (grottesco, tragico, imprevedibile) le cui conseguenze accompagneranno le vicende dei protagonisti nel corso della puntata. La saga della famiglia Fisher trova compimento in questi dodici intensi episodi, culminando in una chiusa pregna di commovente carica poetica, che stringerà in fondo alla gola dello spettatore un nodo quasi impossibile da sciogliere.

Famiglia

Questa volta il percorso dei personaggi sembra indirizzato verso la (ri)costituzione di un nucleo famigliare. Nate e Brenda, nonostante i turbolenti trascorsi, intendono sposarsi dato che lei è rimasta incinta. Per il maggiore dei Fisher si apre forse uno spiraglio di rinnovata serenità, considerata la tragica fine del precedente matrimonio. Claire invece ha abbandonato gli studi, ma non le proprie aspirazioni artistiche. È tornata a stare con Billy e la relazione pare funzionare, almeno finché quest'ultimo non smette di assumere gli psicofarmaci. David e Keith vogliono avere dei figli, tentano dunque l'adozione e la fecondazione artificiale. Ruth dal canto suo deve fare i conti con l'improvvisa psicosi di George e la conseguente, impervia, riabilitazione. Federico si è ormai separato ed è alla disperata ricerca di nuove relazioni, pur non avendo rinunciato del tutto a Vanessa.

Vita, Solitudine e Morte

Con la stagione conclusiva Six Feet Under prosegue dritto per quella strada imboccata fin dall'inizio. Il serial, vestendo spoglie che rasentano la soap opera, conduce in realtà un'attenta analisi dell'essere umano, dipingendo i propri personaggi senza alcun compromesso, con estrema onestà e naturalezza. Le vicende della famiglia Fisher, benché presentate come atipiche e fuori dal comune, racchiudono in realtà ansie, timori, gioie e sentimenti che sono specchio fedele ma impietoso della vita stessa. L'evolversi delle relazioni interpersonali viene rappresentato con precisione chirurgica, grazie ad una magistrale caratterizzazione dei singoli protagonisti: uomini e donne capaci di offrire un appiglio di confortante immedesimazione ad ogni tipo di pubblico. Vita e morte s'intrecciano e si avvicendano (il fatto è tanto più evidente in un'impresa di pompe funebri) mentre nel mezzo, tra nascite e decessi, rimane l'Uomo e l'ontologica solitudine che lo contraddistingue. Siamo soli e tentiamo disperatamente di arginare il dolore che ne deriva cercando punti di contatto con il prossimo, nella speranza di venire almeno in parte amati e compresi. Ecco perché la coppia, considerata in ogni sua possibile declinazione (giovane, anziana, sposata, divorziata, etero e gay), diventa uno dei punti focali della narrazione, se non addirittura primum movens di tutte le dinamiche umane messe in campo. L'incessante susseguirsi di relazioni che nascono, si sciolgono, s'indeboliscono e si fortificano, non fa che ribadire il concetto, ponendo un triste accento sull'inevitabile attrito che si genera nell'approssimarsi all'altro. Consequenziale al concetto di coppia è la famiglia (vero centro tematico della stagione in esame), dove viene riproposto in altra forma quel contraddittorio binomio bisogno/attrito che caratterizza il rapporto a due.
Spesso ci si ritrova invece soli con sé stessi. In compagnia di una coscienza che non si ha gran voglia di ascoltare. L'espediente, geniale nella sua semplicità, di dialogizzare il monologo interiore dei personaggi ricorrendo ai morti, concretizza e intensifica i conflitti vissuti dai protagonisti. Il morto diventa un interlocutore scomodo, alter ego che incarna quelle ansie con cui, volenti o nolenti, si è chiamati a fare i conti. Affrontare sé stessi e capire il prossimo sono imprese probabilmente impossibili. Vale comunque la pena tentare, anche perché non ci sono alternative da percorrere.

Six Feet Under - Stagione 5 Six Feet Under finisce, lasciando nello spettatore un vuoto incolmabile. Eppure, allo stesso tempo, ci si accorge che qualcosa si è depositato sul fondo. Qualcosa che, per quanto incapace di riempire quel buco, sembra intenzionato ad accompagnarci per lungo tempo. I Fisher rappresentano un’appassionante epitome della vita moderna, in mezzo a loro c’è anche un pezzo di noi stessi. Pochi hanno saputo parlare dell’esistenza con onesta sincerità, senza salire in cattedra e senza eccedere in patetismi. Alan Ball è sicuramente uno di questi. Con Six Feet Under ha realizzato qualcosa di irripetibile, un gioiello incastonato nel piccolo schermo, capace di suscitare emozioni autentiche. Gli ultimi minuti della puntata finale poi mettono a dura prova anche lo spettatore più smaliziato, costringendolo ad un gran daffare per trattenere le lacrime.