Recensione The Last Story

L'ultima storia del papà di Final Fantasy

Recensione The Last Story
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Wii
  • La storia della serie di Final Fantasy la conosciamo più o meno tutti: in un periodo di grandi difficoltà economiche per l’allora Squaresoft, un game designer di belle speranze, Hironobu Sakaguchi, ed il suo team di sviluppatori, affidarono ad un unico titolo le speranze dell’azienda, ben sapendo che dal suo successo sarebbe dipeso il loro futuro. La fantasia finale; quell’ultimo sogno che paradossalmente poi fu replicato altre dodici volte, dando vita ad una delle serie più iconiche del genere videoludico. Sakaguchi è però ormai da tempo estraneo a quella fantasia che egli aveva contribuito a creare e che l’ha reso una persona dal prestigio assoluto. Col decimo episodio di Final Fantasy concluse il suo rapporto lavorativo con Square, per dedicarsi ad altro, probabilmente cercando di trovare altrove gli stessi stimoli e la stessa passione che gli avevano reso possibile la realizzazione di un’opera così incredibile.
    Tra collaborazioni, ruoli mai troppo chiari ed il rapporto con un’industria che difficilmente lo riusciva a vedere come altro che il creatore di Final Fantasy, ha avuto non poche difficoltà. Ed ecco forse che possiamo affermare, in maniera pressoché certa, che è The Last Story il suo vero ritorno sulle scene, il nuovo parto di un uomo geniale che probabilmente ha avuto bisogno di respirare aria nuova per ossigenare una mente così fervida e capace. Su The Last Story Sakaguchi ha messo la faccia, fin dalla copertina del gioco, rivendicandone la paternità ed affermando fortemente la distanza dall’ormai per lui innominabile serie, suo più grande successo ma allo stesso tempo pesantissimo fardello, in un mondo che è infinitamente più conservatore di quello che vorrebbe mostrare.
    La volontà di rompere con questi tradizionalismi è evidente in un titolo che porta ben impressa la concezione del suo creatore, ed è necessario quindi rispettarla. Accettando questa “dichiarazione d'intenti” intendiamo aprire l’analisi: una premessa necessaria ma che non ci farà venire meno al nostro dovere.

    Raccontami una storia

    Hironobu Sakaguchi vuole raccontarci una storia, prima di tutto: una storia che ci narra di come un assortito gruppetti di mercenari si metta al servizio del conte di Lazulis, splendida e pacifica isola, baluardo di un impero continentale una volta diviso da lotte intestine ed ora finalmente sereno, seppur per merito non di capaci diplomatici ma di un tremendo potere nascosto. Ed ecco, come nella più classica delle favole, che uno dei mercenari, il generoso ma un po’ indeciso Zael, fa conoscenza di una misteriosa ragazza, nel bel mezzo di una notte di festa illuminata da una serie di pirotecnici fuochi d’artificio. Un incipit più che mai classico, un primo segnale di una storia che avrà nell’amore, evidentemente, il suo primo ma non unico motore.
    C’è poi, infatti, un’altra storia, secolare, lascito di un’epoca tormentata dalla guerra, ormai dimenticata da tutti, ma che potrebbe essere sul punto di tornare. La storia di due razze in lotta da secoli, figlie però di un passato comune. Ed allora, senza voler entrare nei dettagli del plot, è prevedibile che queste due vicende s’intersechino, col prevalere ora della prima ora della seconda componente. Sullo sfondo, poi, un mondo morente, i cui frammenti pallidi e polverosi vengono sollevati dal vento e portati in giro, ammirati come se fossero petali di ciliegio, ma tristissimi presagi di un incombente deperimento.
    Quelli che ci troveremo davanti sono temi decisamente classici, ma narrati con una poetica inconsueta, una non comune delicatezza, una precisione che non viene mai meno neppure quando le vicende del gioco sembrano allontanarsene, proponendo avventure particolari o piacevoli diversivi. E’ chiaro lo sforzo nel voler trasmettere qualcosa, nel coinvolgere il giocatore in un racconto che non deve mai annoiarlo. La trama è sempre “onesta” con lui, evitandogli il tedio di seguire complicate evoluzioni e decifrare pretestuose soluzioni. La componente narrativa ha un ruolo fondamentale, accompagnando sempre il fruitore, legandosi saldamente al gameplay, anzi rendendosi ad esso siamese, nascondesi dietro di esso o sopravanzandolo, a seconda del momento. Un equilibrio che regge praticamente sempre, sebbene alcune volte si perda. Nel momento in cui, ad esempio, una serie troppo folta di sequenze animate spezza la progressione all’interno di una determinata area di gioco. E’ infatti ad esse che ci si affida maggiormente per perseguire lo scopo narrativo, simili ad un genitore che tiene per mano un bambino: certe volte ce n’è davvero bisogno, altre quella mano la si poteva tranquillamente lasciare. Allo stesso scopo servono le magnifiche sequenze in FMV, allo stato dell’arte e massima espressione di quanto tecnicamente possibile su Nintendo Wii. Queste scene, presenti in minor numero, sono ottime per regia, perfette nel sottolineare i momenti di maggior enfasi all’interno del racconto.
    The Last Story ha un’anima fulgente, magari alcune volte ingenua, ma di quella genuinità che è difficile trovare ormai in simili produzioni. I dialoghi si fanno chiari, spontanei, eppur estremamente curati, i personaggi certo un po’ stereotipati ma comunque credibili, caratterizzati in maniera ottima, presentandone gli aspetti particolari come tutto sommato umane inclinazioni. Alcuni di essi saranno memorabili per molti, così come lo saranno alcuni degli episodi minori, quelli slegati dalla trama ma che contribuiscono molto ad innalzare la bellezza della storia.

    Ovviamente non può esaurirsi nella componente narrativa il quid di un prodotto che deve per forza presentare una corrispettiva componente ludica, anche in un contesto in cui questa venga occasionalmente messa in secondo piano. Definire un gioco di ruolo giapponese The Last Story non renderebbe del tutto l’idea della struttura che tiene unito il gameplay, anzi rischierebbe di essere quantomeno fuorviante per coloro che, ancorati alla tradizione classica, si aspetterebbero mappe del mondo, sotterranei da esplorare, miriadi di piccole città e magari pure qualche vetusto incontro casuale. La produzione di Sakaguchi si discosta in maniera netta dal genere che egli ha contribuito a inventare, fornendone una rielaborazione che ne elimina numerose componenti, al punto da non essere più immediatamente identificabile come tale.
    Probabilmente per la volontà di rendere quanto più vicini racconto e gioco il game designer ha optato per una linearità nel gameplay che di fatto è il principale motivo per il quale la produzione si discosta dall’RPG orientale. Il gioco va avanti su linee del tutto stabilite, con una possibilità di deviazione prossima allo zero. I capitoli che ne compongono la storia, siano ben attenti gli appassionati, potrebbero essere persino avvicinabili a veri e propri livelli, per modalità di progressione e ristrettezza delle possibilità di scelta, e spesso capiterà per ore e ore di gioco di non aver alcuna capacità decisionale nemmeno sul prossimo posto da visitare. Figuriamoci quindi rifugiarsi in attività estranee alle vicende principali. La storia è anche una colossale spada di Damocle, che pende sulla testa di un giocatore praticamente privo di scelta; una sensazione mitigata in parte dalla varietà di situazioni che ci si troverà ad affrontare, seppur in maniera del tutto prestabilita.
    I fan staranno gridando alla blasfemia, ed è qui che invochiamo il rispetto già richiamato. The Last Story è un’opera concepita in questo modo, non è il ritorno di Sakaguchi al genere che ha creato: è una particolare reinterpretazione, se vogliamo più vicina ai gusti moderni, che tuttavia non vengono assecondati per piaggeria: è invece una precisa dichiarazione creativa. Un libro, del resto, non potete iniziarlo dalla metà, tornando indietro e poi saltando in avanti. E certo, sappiamo che sarebbe stato possibile usare altri metodi per raccontare una storia (questo termine chiave dell'intera produzione): c’è una pletora di titoli che potremmo portare come esempio, come il monumentale Xenoblade. Ma non ci sentiamo di condannare il titolo senza appello.
    Possiamo e dobbiamo però criticare la rigidità del level design all’interno dei capitoli stessi, e in generale la maniera in cui sono state realizzate le aree di gioco. Ci si trova di fronte infatti una successione di corridoi e stanzoni, con le ovvie variazioni sul tema ma senza mai alcun diversivo che possa essere un bivio, un’area un po’ intricata, un minimo di backtracking. Niente di tutto ciò, con alcune sequenze in cui è addirittura impossibile persino tornare nella stanza precedentemente visitata. Il rischio di perdersi non lo si corre mai, con i compagni che si fiondano subito sul prossimo luogo da raggiungere; ed anche in loro assenza, non è che le opzioni siano poi molte. Anzi, non ve ne sono affatto. Non cercate insomma libertà in The Last Story, perché è un titolo che ve ne dona veramente poca.
    Cercatevi invece un fantastico incrocio tra un gioco di un ruolo ed un action crudo e puro, ovviamente in maniera ponderata rispetto al contesto. I combattimenti, e ve ne saranno davvero moltissimi, sono gli elementi meglio riusciti del gameplay, probabilmente il suo vero cuore. Non ci sono limiti ai personaggi che saranno impegnati in battaglia: alcune volte sarete soli, altre coinvolti in fenomenali risse con una ventina tra alleati e nemici, ma sempre avrete un nutrito numero di possibilità d’azione, superiore a qualunque altro gioco del genere. Utilizzeremo sempre e solo il protagonista maschile, Zael, che di base ha un attacco normale performabile semplicemente spingendo il control stick nella direzione del nemico, ed un attacco dalla distanza tramite balestra. Già solo queste poche opzioni s’inseriscono ottimamente nei combattimenti: una volta a disposizione le altre, molte e varie, potrete affrontare ogni nemico con un diverso approccio, collegandovi in maniera ottimale alle peculiarità dei propri compagni.
    Il lavoro di squadra è fondamentale, visto che i nemici colpiscono forte e duro, per cui è importante muoversi sapendo quello che si fa. Il maggior focus è stato posto sull’abilità di concentrazione, che prevedibilmente attira su di sé la maggior parte dei nemici; questa però allo stesso tempo rende più veloci le magie dei compagni e permette di rialzarli se finiti a terra, potenziandoli addirittura. Sfruttarla al meglio è la prima chiave per vincere le battaglie. L’altro aspetto importantissimo è la presenza delle coperture, dietro le quali ripararsi durante i combattimenti, che forniscono persino un bonus d’attacco quando ci si lancia all’assalto da dietro di esse: vista al corazza dura di molti nemici, tale bonus è spesso vitale. Così come lo è saper espandere il raggio delle magie degli alleati, o dissipare quelle dei nemici: ogni incantesimo ha un’area d’effetto, e tramite una mossa apposita è possibile influenzarlo nella maniera più opportuna: agire su di esso porta anche effetti secondari come la riduzione della difesa nemica o lo stordimento. E nemmeno abbiamo descritto la metà delle possibilità a disposizione, sempre più ampie mano a meno che si procede nel gioco.
    Non è solo sulle capacità dei membri del proprio gruppo che si può contare in combattimento: spesso sarà possibile volgere gli scontri a proprio favore utilizzando elementi dell’ambiente circostante. Una roccia in bilico può esser fatta franare addosso a un nutrito gruppo di nemici, un ponte fatto crollare nel momento del loro passaggio, una stanza con più accessi utilizzata per un efficace attacco a tenaglia. Gli sviluppatori si sono divertiti a fornire situazioni sempre più varie nelle quali sfruttare tali possibilità, e sebbene alcune diventino presto immediatamente riconoscibili e usufruibili, altre richiederanno un colpo d’occhio decisamente pronto.
    Il momento topico, che racchiude al meglio le molteplici opzioni del sistema di combattimento e lo sfruttamento di ogni singolo aspetto del campo di battaglia è senz’altro lo scontro con il boss di turno. Forti oltre ogni limite, capaci con un sol colpo di levarvi una delle cinque vite a disposizione prima di andare definitivamente KO, richiedono un approccio ragionato, una fase di studio nella quale ponderare il da farsi, magari seguendo i consigli che arrivano dagli alleati. Sapere cosa fare e metterlo in atto è ben diverso, e bisognerà essere molto abili nello sconfiggere nemici tosti ma mai frustranti. Il piacere della battaglia è, come detto, gran parte del gameplay in The Last Story, e per fortuna non viene mai meno per tutta la durata dell'avventura.

    Fantastiche Visioni

    Il colpo d’occhio fornito dal titolo di Sakaguchi è tra i migliori su Nintendo Wii. Abbiamo parlato già delle magnifiche sequenze in FMV, ma va ribadito nella parte dedicata all’analisi dell’aspetto tecnico del gioco come queste rappresentino probabilmente il picco più alto toccato dalla macchina nel suo intero ciclo vitale, per la straordinaria qualità con la quale sono realizzate. Non che delle sequenze in game possa dirsi altrimenti: anche qui siamo assolutamente al top, e lo testimoniano le piccole incertezze, rallentamenti più o meno accentuati, che l’azione di gioco subisce negli scenari più elaborati. Il giudizio rimane comunque ottimo: la modellazione poligonale dei personaggi è eccellente, capace di non sfigurare nemmeno a titoli che girano su console enormemente più performanti, le animazioni fluide, in maniera apprezzabile soprattutto nei coreografici combattimenti. Certo, le aree di gioco sono spesso piccole, non ci troviamo mai di fronte alla maestosità spaziale di Xenoblade, ma le risorse a disposizione sono sfruttate veramente tutte, come testimoniano i convincenti effetti che accompagnano le magie e le luci, anche queste tra le migliori su Wii. Il tutto, al servizio di una direzione artistica prevedibilmente di prim’ordine, che concede qualcosa agli stereotipi recenti del genere (capigliature ed abbigliamento in primis) ma rimane comunque sobria, nel rispetto di una classicità fiabesca. A contribuire a tale impressione l’utilizzo di un bloom simile a quello di The Legend of Zelda: Twilight Princess, che smussa le forme, spegne i colori, accentua i contrasti.
    Qualcosa di più, visto il nome alle spalle, ce lo saremmo aspettati dalla colonna sonora firmata da Nobuo Uematsu. Il brano principale, nelle sue varianti, è davvero meraviglioso, ma non trova molti altri simili; i brani non sono poi molti, ed il loro parco utilizzo, con fasi prive di accompagnamento musicale, a nostro avviso rende meno memorabile l’esperienza di gioco. Ci troviamo su livelli buoni, assolutamente, ma era lecito aspettarsi qualcosa in più. Ottimo invece il resto del comparto audio: il doppiaggio in inglese è convincente, con i personaggi che parlano con accenti dissimili, per una varietà di voci immediatamente riconoscibili, e gli effetti sonori, dal rumore della folla nel mercato al clangore delle armi in battaglia, sono ugualmente soddisfacenti.
    Ad una produzione curata in ogni suo aspetto gli sviluppatori hanno aggiunto una piacevole modalità multigiocatore, anche online, nella quale impegnarsi in battaglie a fianco o contro altri giocatori: poco più che un diversivo, ma decisamente apprezzabile, che rende il pacchetto ancora più completo.

    The Last Story The Last StoryVersione Analizzata Nintendo WiiThe Last Story arriva finalmente su Nintendo Wii, e probabilmente dividerà i giocatori. Non è affatto un gioco di ruolo giapponese di stampo classico, dal momento che fornisce un’esperienza di gioco poco libera, ma non per questo va prematuramente criticato. La volontà di raccontare una storia, così perfettamente esplicata dal titolo, è evidente, e la cura riposta in ogni aspetto della narrazione lo testimonia. Si sarebbe potuto fare altrimenti, sicuramente, ma non sta a noi decidere come un game designer come Sakaguchi debba trasmettere qualcosa a chi usufruisce della sua opera. L’importante è che questo impasto si sensazioni ed emozioni arrivi, e l’obiettivo viene raggiunto pienamente. Quello che invece possiamo fare è evidenziare come alcuni elementi del gameplay siano stati oggettivamente trascurati (ad esempio il level design, che non lascia alcun ambito di manovra), mentre altri siano eccellenti (il sistema di combattimento intrigante e versatile). Se poi vi aggiungiamo dei valori produzione elevatissimi abbiamo un prodotto di tutto rispetto, a suo modo storico, ma che siamo consapevoli potrà non essere apprezzato pienamente da tutti. A costoro possiamo solo suggerire di provare ad abbandonare i pregiudizi riguardo la forma del loro oggetto dei desideri, per lasciarsi catturare dalla romantica bellezza di un’ultima, sognante, storia.

    8

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