Recensione Prince Of Persia

L'inizio di un nuova era per il Principe di Ubisoft

Prince Of Persia
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Diciannove anni e non sentirli. Un franchise seminale, intriso di storia, magia e aspirazioni. Quelle di Jordan Mechner, innanzitutto. Chissà se il leggendario game designer, mentre riprendeva i movimenti "principeschi" del fratellino, si rendesse conto di ciò a cui stava dando vita.
    Un dolce, dolcissimo sogno quello di Prince of Persia, lungo quasi due decadi, con buona pace delle mille e una notte.
    I sussulti, tuttavia, non sono di certo mancati. Piccole apnee notturne sfocianti poi in gameplay da incubo (si pensi a Prince of Persia 3D, 1999). Fino alla svolta, radicale e lungamente attesa, del 2003. Sands of Time rappresentò la chiave di volta di una saga che abbisognava d'un nuovo inizio, una visione innovativa per un concept piegato dal peso degli anni, ma non per questo stantio o logoro. Una nuova trilogia, quindi, i cui fasti sono ancora impressi nelle menti HD degli appassionati dei giorni nostri.
    Ora, rigirata la clessidra del tempo, Ubisoft Montreal ricomincia daccapo. Prince of Persia, ancora una volta. Ma stavolta l'attenzione è tutta tesa alla spettacolarità dell'offerta.
    Sempre più matura e smaliziata, la sussidiaria canadese del publisher ha imbastito un'opera capace di parlare a tutti, di essere apprezzata anche da chi ostracizza di norma i videogiochi. Una fiaba variegata, coreografica all'inverosimile e appagante fin da subito, per un tipo di divertimento eminentemente mass market.
    Uno spettacolo che abbraccia dinamiche di gioco tanto accessibili quanto esteticamente raffinate. Di fatto, ammirarlo sullo schermo è appagante anche per chi non impugna il pad. Tuttavia un simile orientamento porta in dote qualche idiosincrasia, avvertibile soprattutto da quella parte di pubblico che fa dell'hardcore gaming una ragione di vita. Eppure, e lo diciamo a chiari lettere fin da adesso, Prince of Persia merita di essere amato. Perché sa regalare sprazzi di giocabilità ipnotica, tratteggiandola tra scorci suggestivi o semplicemente incantevoli. Una formula che non spinge il senso di sfida verso nuovo picchi di difficoltà, sia chiaro, né amplifica a dovere l'eco di alcune intuizioni di design, tuttavia pare davvero difficile privarsi di un'esperienza così poetica, così coinvolgente, così favolosamente Prince of Persia.

    Ladro Principesco

    Laddove nel masterpiece Ubisoft dello scorso anno -Assassin's Creed- la volontà di pennellare un affresco "realistico" era piuttosto evidente, in Prince of Persia è il fascino fantasioso ed esotico a prendere il sopravvento. Una favola che trae ispirazione da stralci religiosi (zoroastrismo) di una Persia spazzata dalle sabbie del tempo: luce e tenebre, vita e morte si fronteggiano in uno scontro fratricida fra divinità ancestrali. In mezzo, la storia di Elika e del suo popolo, capaci sì di rinchiudere un dio corrotto nell'Albero della Vita, ma impotenti dinanzi alla bassezza dell'essere umano, che svelto scivola nel vizio delle tentazioni.
    La Corruzione avanza libera, e non solo metaforicamente. I malefici di Ahriman ricoprono ormai l'intero regno. Ovunque si guardi, solo strati di morte e malvagità distesi su di una vita ormai spenta e accasciata. Insomma, niente male come inizio.
    Fortuito o meno, l'ingresso in scena del Principe fissa i primi puntelli per un tipo di narrazione fortemente disneyano. Il rapporto che si instaura fra i due protagonisti è assolutamente gustoso: si passa dunque senza strattoni da momenti più gigioneschi ad altri ben più drammatici.
    Avventuriero fino al midollo, furfante e anche ladro, il Principe ha assai poco di regale. E difficilmente riesce a tenere la bocca chiusa. Talvolta le sue espressioni possono stridere col contesto -apparendo fin troppo moderne- tuttavia diversi scambi di battute si rivelano semplicemente esilaranti, per taglio, costruzione e tempi comici. Guybrush Treepwood dalla sua Monkey Island non saprebbe fare di meglio. Elika, dal canto suo, confessa un maggior equilibrio, merito anche del plot che indugia molto sul suo passato, sparpagliando tra le righe quello del Principe.
    Scavare tra le due esistenze è un compito demandato al giocatore: premendo LT il duo comincia a colloquiare, fornendo particolari utili a comporre il puzzle narrativo.
    Lo storytelling, privo di sbavature o ridondanze, e assai parco di cut scenes invasive, si avvale anche di un'ottima recitazione: posture, animazioni e mimica facciale alimentano la credibilità del tutto, immergendo il giocatore in una relazione sfaccettata che stimola la curiosità: i riverberi di Ico e Yorda sono lontanissimi, eppure mai così vicini come in quest'ultimo Prince of Persia.
    Fantastico.

    Il buio oltre il muro

    Reminiscenze anche da Shadow of Colossus. Il mondo di gioco è ripartito in quattro aree principali (Roccaforte, Valle, Città della Luce e Palazzo Reale), suddivise in sei livelli, che fanno riferimento ad un hub centrale (Albero della Vita) da cui si diramano gli snodi principali e secondari per ognuna di esse. I percorsi seguibili sono dunque diversi, a tutto vantaggio dell'illusione di libertà.
    La conformazione sopraffina dei livelli estende la concezione del vecchio Jak and Daxter: è possibile quindi prefiggersi un punto dell'orizzonte visivo e raggiungerlo. Per quanto eccentriche ed estremamente gratificanti, le opzioni disponibili non sono numerosissime. Prince of Persia è di fatto un platform, non un free roaming. Per chi non se la sentisse di orientarsi a vista c'è comunque la mappa generale, oltre alla scia luminosa emanata da Elika e indicante la retta via da seguire.
    Il level design si avvantaggia di un sistema di controllo praticamente perfetto. Saltare, arrampicarsi e prodursi in spettacolari wall running (verticali ed orizzontali) sono operazioni possibili ricorrendo all'accoppiata stick destro e tasto A, che chiaramente si adegua con puntualità al contesto. Se il protagonista è prossimo ad un muro, basta inclinare con cognizione la levetta (a sinistra o a destra) e premere il pulsante per una sana corsetta sulla parete. Di converso il succitato pulsante è deputato al solo salto.
    Tramite RT si controlla invece il guanto artigliato del Principe, utile nelle fasi esplorative per discendere le pareti rocciose scongiurando rovinose cadute.
    L'aiuto di Elika e del suo doppio salto, volto a coprire distanze maggiori, viene invocato tramite Y.
    La pressione di B è invece indispensabile per agganciarsi agli anelli disseminati con frequenza sulle pareti, naturali o artificiali che siano.
    Viaggiare a perdifiato per i vari livelli, correndo sui muri, sfruttando le pareti come trampolini, saltando da una colonna all'altra per atterrare su una trave sospesa nell'azzurro del cielo o scivolando tra dei massi inclinati e privi di appigli, è semplicemente esaltante: di fatto, una delle esperienze più immersive dell'anno. La ricchezza strutturale particolareggia e diversifica in maniera considerevole ogni ambientazione e anfratto. La posizione nello spazio di elementi utili mette in luce l'anima spettacolosa del gioco: timing e velocità d'esecuzione sono fondamentali, sebbene Prince of Persia sia piuttosto accondiscendente nei confronti degli errori, soprattutto quando a mancare è il tempismo. Leggere la scena è altrettanto importante: muri furbescamente graffiati ne indicano un possibile sfruttamento, così come la presenza su di essi di rampicanti o di crepe saldate con del legno. Tutti fattori sfruttabili per le proprie esibizioni, che vanno avvistati con prontezza. C'è da dire che talvolta è persino consentito uscire dal pattern prefissato, semplicemente sfruttando particolari situazioni ambientali in unione alle doti della coppia. Nei casi di piccoli canyon squarciati sul fondo dal vuoto, abbiamo provato a dimenticarci della serie di invitanti colonne che li attraversavano, producendoci in continui doppi salti per passare da un parete all'altra e sfruttando il solo wall running per arrivare a destinazione.
    Un'interfaccia di controllo così pulita e rarefatta, sebbene avvantaggi la fruizione del prodotto, potrebbe però fomentare qualche dubbio sul reale contributo dato dal giocatore: non è difficile ipotizzare che parte dell'utenza si possa sentire più spettatrice che parte attiva, poiché trasportata da un'opera che talvolta può dare l'idea di eccedere nel semplificare l'impegno di chi gioca. Il che non significa ovviamente che Prince of Persia sia un gioco facile o in cui "non si muoia mai".
    La Corruzione che invade i livelli, mentre li spoglia della loro vitalità, cambiando l'acqua in lava e oasi felici in turbini di sabbie mobili, li riempie di una melma viva e oscura, in grado di inghiottire il protagonista. Più in là nel gioco, l'informe sostanza si tramuta in nemici basici, che si interpongono sui vari tragitti muovendosi tramite script predeterminati (spostamenti laterali o ascensionali; altri invece scompaiono qualche istante per ritornare sputando degli odiosi tentacoli).
    Evitarli, è la regola numero uno del gioco. Capirne le movenze, e passare nel momento opportuno, è la numero due. Spesso taluni passaggi sono sequenziali, per cui oltre agli spostamenti dei nemici più prossimi è fondamentale monitorare quelli striscianti qualche parete più in là. Tensione e appagamento vanno così a braccetto, soprattutto quando bisogna concatenare più azioni con l'opportuna celerità.
    Le congetture su cosa comportasse l'immortalità del Principe sono divampate con frequenza nei vari forum. In realtà, le dipartite in Prince of Persia sono all'ordine del giorno. Errori nei salti, direzioni fallate per la fretta o anche l'abbraccio della melmosa Corruzione. Ciò che riscatta l'avatar è la mano magica di Elika, che funge dunque da mero checkpoint istantaneo, riportandolo sulla piattaforma sicura più vicina. Dal punto di vista pratico, cambia poco o nulla. La frustrazione viene mantenuta così sotto il livello di guardia poiché è possibile riprovare più volte un passaggio ostico senza il timore di dover ricominciare daccapo il livello (o senza preoccuparsi della vetusta filosofia delle "vite a disposizione" dei platform vecchia scuola). Sotto il profilo concettuale, Ubisoft Montreal ha cercato di dare una propria risposta alle discussioni accademiche di quest'ultimo periodo, vertenti sulla scarsa plausibilità della morte del protagonista di un videogioco. L'importante, comunque, è che tale artificio si riveli alla prova dei fatti inappuntabile, una sorta di benedizione per un gameplay così peculiare.

    Pur contenuti rispetto al recente passato, i puzzle tornano ad arricchire un pacchetto ludico già sostanzioso. In minor misura, quelli ambientali (più intelligibili di quelli di Sands of Time o del più recente Mirror's Edge): scalare ad esempio una delle torri Reali, coi suoi intricati meccanismi girevoli, richiede più manualità che cervello; lo stesso dicasi per la Scala Celeste, funestata da un'aria irrespirabile e mortifera, che richiede soprattutto una gran velocità di movimento. Sono altresì presenti enigmi strutturali, posizionati in maniera ragionata per rallentare un ritmo di gioco geneticamente indiavolato. Su tutti, quello posto nei pressi dei Giardini Reali esige una buona dose di arguzia per essere superato. Due vasche da riempire, un numero consistente di manovelle da manovrare. In sintesi, vi terrà impegnati.

    Ogni area è presieduta da uno dei quattro Guardiani. Il compito del giocatore è di giungere al suolo fertile di ogni livello (ventiquattro in tutto), sconfiggere il Corrotto di turno e ripristinare la vita in un tripudio cromatico tecnicamente stupefacente. Una meccanica del genere comporta due conseguenze piuttosto evidenti: la prima, già sviscerata nei mesi scorsi, è che ogni scontro è un autentico duello. In seconda istanza, ogni Guardiano andrà affrontato più e più volte nel corso dell'avventura. Perlomeno sotto il profilo quantitativo, sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di più. Per ovviare ad una chiara scelta di design (opinabile o meno), gli sviluppatori hanno ben pensato di inserire dei cambiamenti nella tattica offensiva dei nemici, che varia da scontro a scontro, seppur non considerevolmente. La differenziazione, ad onor del vero, è spesso scenografica (le battaglie su piani diversi, scelte dal Cacciatore, o gli incantesimi fittizi della Concubina), sebbene siano contemplati attacchi più coriacei, combinazioni più performanti e lo sfruttamento diversificato della piattaforma in cui ha luogo lo scontro (si pensi alla Corruzione -posta ai lati del "ring"- utilizzata dall'Alchimista per intrappolare il giocatore, o le colonne parcheggiate in simpatia dal Re Guerriero sulla schiena del Principe).
    In linea di principio, i quattro Corrotti denunciano tre configurazioni base -che abbisognano quindi di attacchi specifici: alcune neutralizzano la proiezioni magiche di Elika, altre si beffano delle mosse acrobatiche eseguite in tandem e così via- che unite ad un set di mosse non corposo ma comunque estremamente efficace rendono gli scontri tutt'altro che banali.
    Il Principe dispone di quattro attacchi peculiari, associati ai pulsanti principali del pad: i già citati acrobatici e magici, i fendenti con la spada e quelli prevedenti l'utilizzo del guanto, per agguantare e lanciare il diretto avversario. Concludono l'elenco le capacità di parare e di svincolarsi -rotolando o scattando-. Le mosse, concatenabili a piacimento, offrono un ventaglio di opportunità davvero appagante. Vasta dunque la lista delle combo, sebbene così come occorso con Heavenly Sword su PS3, il gioco si accontenti di una conoscenza solo elementare delle tecniche complessive. Siamo fortunatamente lontani dalla tristezza del button mashing più forsennato, tuttavia non era forse azzardato richiedere un pizzico di impegno e dedizione in più al giocatore. Inoltre, avremmo preferito un bilanciamento più oculato dei vari avversari: tra tutti, il Cacciatore -per quanto splendido sul fronte artistico- è sicuramente il meno pericoloso: sottovalutarlo non è propriamente una buona idea, nonostante ciò arguzia strategica, riflessi pronti (soprattutto nel parare i colpi) e sfruttamento intensivo dei vari attacchi disponibili risolvono gran parte dei problemi. Al contrario, il Re Guerriero (un colossale mastodonte di pietra) è praticamente invulnerabile alle mosse anche più diversificate, e per batterlo -di volta in volta- il giocatore è costretto ad armarsi di pazienza, cercando di trarre vantaggio dall'ambiente circostante e dalla mole del nemico. Non è vero forse che più sono grossi e più fanno rumore quando cadono?
    Svariate le funzioni degli immancabili QTE: liberarsi dalle prese o schivare taluni colpi devastanti è subordinato alla pressione di un tasto. Diverso il caso di un colpo "mortale", che puntuale sopraggiunge dopo l'incasso di tre mazzate consecutive: in questo delicato frangente azzeccare il pulsante giusto ha come corollario un insperato divincolamento; viceversa, è Elika a salvare il giocatore attingendo dal proprio flusso magico. La pena per l'errore è il parziale recupero dell'energia da parte del nemico. Tedioso? Mai quanto dover ricominciare tutto dall'inizio come accade in un numero sconfinato di produzioni concorrenti.
    Nonostante le imperfezioni di cui sopra, il sistema di combattimento elargisce grandi soddisfazioni.
    Varietà situazionale e presenza scenica rendono gli scontri dei balletti di morte enfatici e coreograficamente strabilianti. In nessun altro modo infatti si potrebbe definire un duello con un gigante di roccia totalmente invaso dal fuoco, che piange la scomparsa del suo popolo.
    Combattimenti "casuali" sono presenti anche durante la fase esplorativa: come nei tet-a-tet con i Guardiani, la telecamera si libera dal controllo della levetta analogica destra per automatizzarsi e seguire l'evento in maniera dinamica. Inutile ricordare la natura tutoriale di queste lotte, simili a semplici allenamenti favorenti l'acquisizione delle tecniche più raffinate.
    Allontanatone il Guardiano, la relativa area si ripulisce colorandosi di vita ed elargendo i così detti Semi di Luce. La loro raccolta non è un mero orpello accessorio: l'accesso ai vari livelli è subordinato all'acquisizione di un potere specifico (quattro, in totale) che appunto richiede un numero adeguato di semi. Non vi è un ordine preciso per l'assimilazione dei vari poteri: la scelta spetta unicamente al giocatore.
    Le loro lastre di attivazione sono contrassegnate con colori differenti e rendono possibili -previa pressione del tasto Y- salti ed acrobazie (predeterminate) assolutamente impensabili, consentendo di raggiungere - balzando di lastra in lastra- punti inaccessibili durante la normale esplorazione. Sono evoluzioni scriptate, su cui il giocatore non ha nessun controllo.
    Due poteri invece ispessiscono -o snaturano?- il gameplay, infarcendolo con corse e voli on-rail. Dalle lastre gialle parte una sequenza di volo onirico piuttosto straniante per via delle distorsioni visive che l'accompagnano, nella quale al giocatore è data la possibilità di effettuare piccoli spostamenti per evitare gli ostacoli. Quella verde, invece, gioca con la visuale offrendo l'opportunità di scalare in verticale le strutture preposte, consentendo anche qui quel minimo di libertà necessaria per schivare gli ostacoli. Divertenti e pittoresche di primo acchito, alla lunga tendono a stancare, in virtù soprattutto di un sistema di controllo poco preciso. Inoltre, in special modo nelle battute finali, quando la concatenazione di più lastre e della tipica esplorazione free running richiede un livello di attenzione estremo, schiantarsi su un muro perché non è chiaro dove oltrepassarlo comporta la rilocazione in checkpoint non propriamente vicini. In linea definitiva, bocciare in toto tali soluzioni sarebbe ingiusto, tuttavia un loro ridimensionamento sarebbe stato preferibile.
    Quindici ore sono sufficienti per godersi i titoli di coda, tuffarsi nel back tracking e recuperare tutti i Semi di Luce. Ore che, senza scivolare in una retorica che non appartiene ad Everyeye.it, difficilmente si scordano. Nonostante talune imprecisioni strutturali ne minino in parte la godibilità, e ne tarpino il viaggio verso valutazioni ancora più alte, Prince of Persia rimane un'esperienza pregna di emozioni.

    Tecnica Principesca

    Il profilo estetico lascia letteralmente senza parole. Lo stile "illustrative" dei personaggi, le animazioni che danno forma ai loro movimenti, le texture che ricoprono gli ambienti pennellano uno degli affreschi più impressionanti di questa generazione di console. La profondità dell'orizzonte visivo, tagliata da fasci di luce diseguali e sempre diversi per intensità e rotazioni, è un altro aspetto che rafforza la già estrema considerazione che si aveva del motore grafico di Assassin's Creed.
    La ricchezza architettonica delle ambientazioni è altrettanto stupefacente: dalle grotte fantasmagoriche racchiudenti intere città, con tanto di torri finemente decorate e colate laviche a colmare i baratri, alle grosse mongolfiere e macchine bizzarre della Valle; dai ponteggi Reali sospesi nel vuoto alle rovine di una Roccaforte oltraggiata dal tempo, tutto incornicia un'ambientazione complessiva che trova pochi termini di paragone.
    Notevoli, inoltre, gli effetti particellari: sabbia, folate di vento, strati sottili di pulviscolo così come gli spruzzi d'acqua denotano uno sfruttamento sapiente della tecnologia a disposizione.
    Le occasionali compenetrazioni poligonali, le negligenze della telecamera automatica durante gli scontri col gigante di pietra o i difettucci veniali confessati dagli algoritmi di self shadowing non intaccano minimamente un comparto cosmetico di primaria grandezza.
    Su tutto, comunque, emerge la danza armoniosa fra il Principe ed Elika. I movimenti di lei, governati da una IA perfetta e mai d'impiccio, si fondono con quelli del protagonista, creando un tutt'uno che nulla ha da invidiare alle produzioni animate che furoreggiano nei cinema.
    Eccellente infine il comparto audio. Le partiture, come da tradizione, accompagnano il viaggio dei due suonando temi ricchi di fascino, capaci di richiamare la musicalità tipica di quelle terre lontanissime.
    Ottimo il doppiaggio in italiano. I timbri e l'espressività dei due attori infondono la giusta caratterizzazione, non facendo rimpiangere, una volta tanto, il lavoro originale.

    Prince Of Persia Prince Of PersiaVersione Analizzata Xbox 360Prince of Persia è una delle esperienze più ipnotiche dell’anno. Le ore in compagnia del gioco volano letteralmente. Il rovescio della medaglia è che una volta portato a termine rimangono pochi spunti che sollecitino la rigiocabilità. Ma va bene così. Perché da tempo non si ammirava un viaggio tanto meraviglioso. Il fronte strutturale non è però esente, non tanto da pecche, quanto da soluzioni un po’ troppo orientate verso il grande pubblico, anche di non videogiocatori. Il che si traduce in una linearità di fondo innegabile, e in combattimenti fascinosi quanto privi di quel pizzico di complessità in più che li avrebbe resi memorabili. L’inizio di una nuova era per il Principe di Persia? Senz’ombra di dubbio.

    8

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